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I pani epifanici e la pinsa veneta

Quando ero piccina, mi sedevo accanto a nonna Ermenegilda e ascoltavo affascinata tutti suoi racconti e tutte le sue ricette, soprattutto quella della pinza. Un dolce semplice e molto antico. A Natale i primi cristiani portavano nelle chiese - per benedirlo- del pane dolce. Si trattava di grandi pani confezionati con farine di più cereali, addolciti con uva passa, pezzi di frutta e semi aromatici. Una tradizione tuttora presente in quasi tutta Italia, anche se i pani dolci sono diversi da zona a zona. In tutto il Veneto e in parte del Friuli occidentaleil dolce che trae origine dall’antico pan dolce è appunto la pinza. La pinza (o meglio pinsa come la chiamavamo noi) nella nostra famiglia era un vero rito da accompagnare al falò dell'Epifania (casera nella mia zona).
Sembra che l’usanza del falò risalga a riti pre-cristiani: i Celti infatti accendevano dei fuochi per ingraziarsi la divinità relativa e bruciavano un fantoccio rappresentante il passato. Rimasta intatta come rituale da svolgersi nella vigilia dell'Epifania, ancor oggi la fiamma simboleggia la speranza e la forza di bruciare il vecchio (o la "vecchia" posta sopra la pira di legna). La direzione delle scintille viene letta come presagio per il futuro: se le faive le va a matìna, ciòl su'l sàc e và a farina; se le faive le va a sera pàn e poènta a pièn caliera ("se le faville vanno a oriente, prendi il sacco e va a fare provviste; se le faville vanno a occidente, pane e calderone pieno di polenta). Tutto il vicinato si riuniva in una famiglia, si accendeva la casera, subito dopo la benedizione dell'acqua in chiesa, si mangiava un pezzettino di pinza, poi si faceva il giro (si accendevano le varie casere ) di tutte le famiglie del vicinato e alla fine si decretava la massaia che per quell'anno aveva preparato la pinza più buona. Nessun premio in palio. Solo la soddisfazione che per quell'anno si era state le migliori.  Mentre il fuoco ardeva, tutti cantavano inni propiziatori per l’anno in corso: pan e vin – la pinza soto el camìn – i fasjoi par i pori fioi – e pan e vin – poenta e figadei par i nostri putei – capon par i paroni – tabacco ai tabacconi – e vin ai imbriagoni – e pan e vin – ecc. ( pane e vino – la pinza sotto il camino – fagioli per i figli – polenta e salsicce ( i figadei sono le salsicce con il fegato) per i nostri bambini - cappone per i padroni - tabacco per i tabacconi e vino per gli ubriaconi, ecc). Venivano poi citati i nomi delle ragazze in cerca di marito e si chiedevano tanti fidanzati per loro.

Nei racconti di nonna relativi alla pinza ricorreva spesso il numero sette. Per far la festa ci vogliono sette pinze diceva.  Mangiare sette pinze porta fortuna. Una volta, quando il falò detto anche “Casera" o “Pan e Vin" si faceva in ogni casa contadina, i giovanotti in età di prender moglie ma che ancora non avevano trovato la ragazza con cui fidanzarsi, andavano ad assistere al fuoco e a cantare in coro in sette case diverse, mangiando in ciascuna una fetta di pinza con le persone di quella famiglia. Si presumeva che in una delle sette case visitate quegli scapoli avrebbero sicuramente trovato la ragazza da sposare. Fino a poco dopo la metà del secolo scorso nelle nostre case di campagna ogni famiglia aveva tanti figli, anche dieci e più, per cui c’erano ovunque ragazze da marito e la sera della “ Casera” era la più indicata per girare per le case e conoscere le ragazze da marito. Le ragazze da marito per poter usufruire della fortuna di trovare marito, il giorno della befana devono andare a mangiare un pezzetto di questo dolce in sette case diverse, si dice che il risultato sia garantito. Sempre per questa credenza, un pezzetto di questo dolce veniva avvolto in un tovagliolo di lino bianco e conservato anche per mesi.

La "pinza" è senz'altro uno dei dolci più antichi della cucina veneta, ne esistono di diversi tipi, ma tutte hanno come base la farina di mais e la farina 00 (farina de fior). Essendo un dolce povero, molto spesso gli ingredienti variavano in base alla disponibilità della dispensa. Un tempo veniva cotta sulle braci e coperta con foglie di verza perché non si bruciasse durante la cottura.La nonna Ermenegilda era nata in provincia di Pordenone, si era poi trasferita in provincia di Treviso. Visse gran parte della sua vita ad Annone Veneto. Mi raccontava che ogni famiglia aveva la sua ricetta segreta della pinza tramandata a figlie e nuore. La nonna si raccomandava: "la vera pinza deve essere poco dolce ed avere pochi oci cioè quando guardi una fetta di pinza si devono vedere all'interno solo pochi pezzetti di frutta secca". Il vero segreto per ottenere una buona pinza è la zucca che deve essere di buona qualità, meglio se si tratta di una zuca baruca (zucca marina di Chioggia ) di grandi dimensioni.

La ricetta in dettaglio la trovate QUI

Daniela Del Ben del blog l'ha realizzata per il contest I lievitati della nonna di Cucina Semplicemente in collaborazione con i Grandi Molini Italiani.

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