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Pizza Village: battilocchio di fronte al mare

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Liberiamoci subito dei dati dovuti e delle cifre, così da fornire la cornice in cui inquadrare le impressioni. Organizzato dall'Associazione Pizzaiuoli Napoletani, main sponsor la Molino Caputo, si è svolta a Napoli dal 2 al 6 settembre 2014 la quarta edizione della imponente manifestazione dedicata alla “Pizza napoletana”, terza nella attuale ambientazione  fronte mare di Via Caracciolo. 50 pizzerie cittadine, una teoria di forni a legna, 30.000 mq di spazio per i vari stand, 24 casse per il ticket unico di € 12 che dà diritto a una pizza una bevanda un dessert e un caffè. A scegliere tra le offerte di ogni stand. La postazione di Radio Kiss Kiss, voce dell'evento,  diffonde musica, interventi, comunicati, volumi alti, lunghi fasci di luci colorate, da megadiscoteca anni '70,  si allungano in mare.

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Organizzato dalla Molino Caputo un campionato mondiale del pizzaiolo, con relativo trofeo. Progetto di esportare la manifestazione  negli Usa il prossimo novembre.  Richiesta all'Unesco, in concomitanza con Expo 2015, di includere la Pizza nella lista dei “Beni immateriali” da tutelare, quelli per intenderci che concernono tradizioni e saperi artigianali popolari (promotore il già Ministro dell'Agricoltura, il campano Pecoraro Scanio). Richiesta che ha visto l'adesione di alcune firme celebri, quali i non napoletani Bisio e Pozzetto. Un'area didattica dedicata ai più piccoli e lezioni di pizza per tutti. E, infine, per il prossimo 2015, il gemellaggio,  con la germanica Oktober Fest
Nella direzione di fare dell'evento un attrattore di turismo, non solo, come a me è parso questa edizione, un luogo  tra altri di passaggio per turisti presenti in città.

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Ciò che conta , intanto,  credo sia la positività del risultato,  a cui lavorare per nuovi e più ampi incrementi e sviluppi. In senso commerciale ma anche più propriamente culturale. Fare sistema è ancora un obiettivo da raggiungere, in Italia e particolarmente in Sud Italia,  nei settori che sono quelli su cui  costruire un futuro: agroalimentare, gastronomia, turismo d'arte e di paesaggio, tutti tra loro connessi. Sollecitare il “pubblico” ad alleggerire pesi burocratici, chiedere al “privato” più competenza e cura e minore individualismo. La mission di qbquantobasta  è diffondere la cultura del cibo: è importante allora sottolineare un tratto  cultural  “sentimentale” su questo straordinario cibo “madre”, che da simbolo di una città nazione é divenuto protagonista del fast food di tanta parte di mondo.

Arrivo a Via Caracciolo con la luce rifrangente del tramonto. Quella che non nasconde le imperfezioni del manto stradale,i “rattoppi” d'asfalto, che anzi li sottolinea, come in quelle bellezze del sud del mondo, bellezze “scomposte” solo a tratti ineffabili. L'ineffabile, si sa, è divino e qui invece siamo nel più umano del “terreno” Via Caracciolo, il fronte mare di Napoli (l'attuale sindaco ne ha voluto la pedonalizzazione e l'ha  ribattezzata lungomare liberato... ma io non amo fare torto alla tradizione e al grande ammiraglio!). Pizza Village,  gran kermesse del più identitario tra i cibi della tradizione e della cultura partenopea. Il colpo d'occhio non è ordinario: una teoria di 50 forni a legna a pochi metri dal mare, con lo sguardo che abbraccia il Golfo da Castel dell'Ovo al Capo di Posillipo,  lo scuro  del Vesuvio e  la silhouette   di Capri, languida coccodrilla. Il panorama darebbe  nobiltà anche alla meno ricca delle pietanze da strada. E non è il caso di specie.

I pizzaioli, le ditte di famiglia, cosi è tradizione a Napoli, sono tanti, qualcuno molto accorsato come Sorbillo, il cui stand è pieno ininterrottamente dall'apertura alla mezzanotte, qualcuno meno famoso, come tanti pizzaioli di quartiere che sono li a farsi pubblicità fuori zona. Pizzaioli di quartieri popolari dove la clientela “borghese” deve recarsi appositamente, che hanno compiuto una svolta in senso gourmet, come  Concettina ai tre Santi del  Rione Sanità. Pizzaioli e pizzerie che ricorrono all'antica operazione del richiamo interponendosi con cortesia nel “passeggio” del possibile cliente, con gentile invito a voce o più sbrigativa consegna di un volantino con il menù.

Il prezzo, abbiamo detto è standard, uguale per tutte le pizzerie. Dinastie napoletane  della pizza, è difficile citarle tutte assieme in un'unica nota (magari in un apposito reportage futuro). Mi soffermo sulle due, assai diverse tra loro, con cui mi sono  fermata lungamente a chiacchierare.
E le cui pizze fuori sede ho degustato. Perchè la pizza fuori casa è altra storia (l'impasto è materia delicata, subisce gli stress delle variazioni climatiche) e, se risulta buona, questo garantisce un costante ottimo in sede.


 

Partiamo dal racconto di quella che è la tipologia di pizza piu popolare e antica, la pizza fritta che le donne dei quartieri popolari di Napoli preparavano a turno una volta alla settimana, in strada davanti alla propria casa,  per raggranellare qualche soldo da aggiungere al gramo menage familiare. La Masardona  della famiglia Piccirillo è una delle storiche pizzerie di “fritta” a Napoli. Dal 1945, di generazione in generazione, fanno solo ed esclusivamente pizza fritta. Quella che preparava la nonna capostipite Anna Manfredi, detta la “masardona” (la messaggera) per le qualità di saggia ed affidabile  mediatrice “relazionale”. Due dischi di pasta sovrapposti, assottigliati dalla sapiente manipolazione, la classica tonda con il suo ripieno di ricotta cicoli provola basilico con aggiunta di pomodoro, un mix di dolce e sapido, con il profumo della basilico in “back” e il dirompente profumo della pasta lievitata e magistralmente fritta. Anticamente si serviva accompagnata da un bicchierino di Marsala all'uovo, una chiccheria da gourmet.
C'è poi c'è la versione “allungata” da passeggio, in gergo il “battilocchio” o anche “piscitiello”,  entrambi sinonimo di cretinetti (ma la lingua napoletana ha parole intraducibili, da comprendere subliminalmente, inutile dunque farvi la disamina semantica) da gustare  in bianco. Enzo Piccirillo, il patron, prima di porgermi il mitico battilocchio della Masardona mi dà alcune indicazioni: “la pizza, signora, si mangia così... si stacca un angolo e ai porta al naso per sentire il profumo della pasta, poi si fa una leggera pressione della mano nella parte centrale del ripieno, per far uscire il vapore...”


Con Luciano Furia, l'amico fotografo grande esperto e gran mangiatore di pizza (sostiene di perdere peso se mangia solo pizza fritta e fornisce anche tabelle...insomma come si dice a Napoli “dà i numeri”) andiamo a mangiarla seduti sul muretto del lungomare, Un surplus di iodio e di piacere...
Non penso che un dietologo lo inserirebbe in alcuna tabella ma il battilocchio della Masardona è di fragrante leggerezza di gusto e di immediata digeribilità, lascia solo un dubbio: ne mangio un altro correndo il rischio di avvertire una sazietà che rompe il ricordo del desiderio o ripercorro mentalmente il gusto conservando il desiderio? Vada  per la seconda, chè, nel frattempo, gli stand si sono riempiti di folla variegata e noi vogliamo fare almeno un altro assaggio. Gente varia, che la pizza  unisce laddove il ristorante divide, oggi più che mai in tempi di crisi.

Da tempo ormai la pizza napoletana, per opera e ingegno di alcuni grandi maestri pizzaioli, seguiti dai più aperti e professionali tra gli altri,  si è fatta cibo gourmet, da degustazione, studio su farine e impasto, cura della lievitazione, rigorosamente lenta, per renderlo più leggero e morbido, utilizzo di materie prime di eccellenza, dal pomodoro all'olio ai latticini ai formaggi le verdure e i salumi, tutte le eccellenze dell'agroalimentare campano a servizio di vecchie e nuove ricette.

Scegliamo di provare la margherita di Palazzo Petrucci, (investimento recente del noto ristorante di Edoardo Trotta, in Piazza del Gesù, cuore del centro antico) dove opera il neostellato chef Lino Scarallo. Lasciato in sede lo chef pizzaiolo Michele Di Leo a rappresentare la casa  gli ottimi e gentilissimi Ivano La Pegna ed Alessandro Izzo, preparati e molto gentili sono prodighi di informazioni sulla filosofia aziendale, sui prodotti che utilizzano, menu e prezzi (equi) da listino della sede inclusi. Mangio una margherita a “filetto”,  con pomodorini di corbara particolarmente dolci e fior di latte. Leggera fragrante assolutamente squisita... d'altronde la maison Petrucci (sala pizzeria al chiuso e in terrazza) aveva provveduto ad allestire un furgone refrigerato per mantenere l'impasto al giusto livello di lievitazione!

Conclusioni: Al mio occhio critico ma ammansito dalla bellezza del luogo l'organizzazione pare di discreta efficienza, la fila alle casse  c'è, ma non è ressa e non pare destinata a generare risse. Il servizio ai lunghi tavoli di legno svolto in tempi standard. La radio Kiss kiss va a volume troppo alto, ma questo è in tema con il tono diciamo così “nazional popolare” della manifestazione.
Auguri dunque al Pizza Village e auguri a Napoli, che ha uno dei più resistenti “genius loci” dell'orbe terracqueo e dunque rimane, tra rattoppi e acciacchi, bella e intrigante.


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