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Intervista al gastronauta Davide Paolini

L'ultimo libro del gastronauta Davide Paolini (editore Longanesi) va assolutamente letto, perché non parla solo di chef, ma ci racconta la storia della ristorazione - e quindi dell’alimentazione italiana- dagli anni ’70 a oggi, arrivando a concludere che oggi spesso ci troviamo di fronte a “sotto il piatto niente”. Parla di consumi alimentari che stanno contraendosi e di ristoranti che chiudono, intreccia i dati economici a sovrastrutture mediatiche che fanno oggi degli chef i nuovi dei. Ma fino a quando? Paolini è stato ospite di Palagurmé a Pordenone e ha affascinato la platea con parole e concetti semplici, che hanno lasciato davvero molto spazio alle riflessioni anche e soprattutto per noi che scriviamo di cibo e di cuochi. Impiattamento, hamburgheria, apericena, street food, gluten-free, cioccolato temperato e quinto quarto. Carbonara destrutturata azoto liquido e aria di rosmarino. Cucina spettacolo e orgia da cibo, che rischia di farci andare in overdose. 25 mila circa i blog sul food. 13 milioni almeno le foto di piatti e cibo sui social. Onnipresenza in Tv di programmi di cucina, ricettari e guide dei ristoranti a go go: di tutto ciò si parla nel libro. Una vera e propria "allucinazione mediatica", così la definisce Paolini,  di fronte alla quale c’è la realtà dei consumi alimentari in Italia in calo dal 2007, del saldo negativo dei consumi delle famiglie nella ristorazione (-6.1 miliardi di euro, a valori concatenati al 2010), delle cessazioni dei locali di ristorazione (meno 10.290 nel 2014 dati Fipe).

E del boom delle iscrizioni alle scuole alberghiere che cosa ne pensa?
Spesso una scelta di moda, che rischia di essere pericolosa: i giovani vogliono fare uno stage anche di soli 15 giorni ma in ristoranti di grido, per poi tornare e raccontare vantandosi di dove sono stati, convinti che quello che hanno visto in
un periodo limitato di tempo sia “la” cucina e magari non conoscono neanche le regole base per fare un buon piatto di spaghetti al ragù.

E il kilometro zero?
Uno slogan vincente che oramai ha fatto breccia, ma se lo applicassimo veramente torneremmo a una cucina autarchica e soprattutto i nostri produttori di cibo e vino come farebbero a resistere economicamente quando le quote maggiori di ricavi vengono dall’export? Non possiamo fare un km zero a senso unico.

Troppe combinazioni bizzarre nei piatti (fragole e acciughe #perdire e guai se osi criticare lo chef), dove sono finite le vecchie care due uova al padellino?
Consiglio a Milano la Latteria di San Marco, uova al padellino perfette con aggiunta di bottarga.

Tre cose che non le piacciono nei ristoranti oggi?
Il menu degustazione, l’omaggio dello chef appena seduti a tavola e la lista delle portate letta dal cameriere come fosse un’esperienza mistica.

Il suo titolo dice crepuscolo, non caduta degli dei, abbiamo ancora un po’ di luce allora, dove la possiamo trovare?
Non certo nei cuochi o negli chef, ma nei prodotti. Dobbiamo valorizzare le produzioni del territorio, solo da lì verrà la nuova luce alla nostra storia alimentare. E, come ha detto Bocuse, che ha fatto uscire i cuochi dalle cucine, “ora è tempo per loro di rientrarci in cucina”.

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