Si può fare un pane con la corteccia degli abeti?
Pane dalla farina di corteccia degli abeti. Ormai per noi in Friuli è notizia abbastanza nota, ma forse non tutti l'hanno in memoria. Quindi vi ripropongo un mio articolo che ho pubblicato già due anni fa sul mensile qbquantobasta. In realtà è un'intervista che ho fatto a Stefano Basello lo chef che con la sua brigata ha creato questo pane con la farina di corteccia.
Farina di corteccia. "C'è un vecchio adagio che recita: “non c’è un male senza un bene”. Ora, a cercare di vedere del bene nell’alluvione che ha colpito la Carnia e l’alto Friuli a fine ottobre 2018, bisogna avere la vista davvero acuta. Qualcuno però c’è riuscito. Trattasi di Stefano Basello, friulano e chef del ristorante Il Fogolar Là di Moret (che nel frattempo è diventato Ristorante 1905, dall'anno di fondazione della struttura), che ha estratto farina dalle cortecce degli alberi abbattuti dall’alluvione.
Stefano, ma come ti è venuta l’idea di produrre farina dagli alberi?
Sono sincero, l’idea non è mia! Ho semplicemente riscoperto un’antica ricetta ormai dimenticata. Sai, un tempo la farina era riservata solo ai nobili o alle classi più abbienti, i contadini se ne privavano completamente. Quindi per preparare del pane, utilizzavano anche la corteccia interna degli abeti.
Cioè?
Dopo aver abbattuto gli alberi, toglievano la corteccia e utilizzavano la parte interna, ossia la linfa, che facevano essiccare per ottenere della farina. Con questa farina realizzavano il pane.
Un’idea davvero interessante la tua.
In realtà è un progetto a cui sto lavorando da circa due anni, con l’aiuto di Valeria Margherita Mosca (esperta in wild food n.d.a.) e soprattutto con l’aiuto della mia brigata. Samuel, uno dei miei collaboratori, a solo vent’anni si è trasformato in pancor. La ricerca che c’è alle spalle di questo progetto è davvero tanta e continua. Quando c’è stata l’alluvione di ottobre ho telefonato alla Guardia Forestale per ottenere i permessi. Pur trattandosi di corteccia e quindi di materiale di scarto, volevo evitare problemi. Una volta ottenuto il permesso, sono salito in
montagna con la mia brigata. Abbiamo tolto la corteccia agli abeti rossi e agli abeti bianchi e poi abbiamo dato il via al procedimento.
Il tuo “pane di corteccia” piace?
Lo stiamo producendo solo per il ristorante e lo serviamo la sera. Piace molto, incuriosisce. Ciò che vorrei però è che questa ricetta venisse utilizzata da qualche panettiere carnico o della montagna friulana perché lo ritengo un prodotto veramente valido che potrebbe diventare un volano anche per il turismo gastronomico. Al momento la ricetta è custodita nel nostro ristorante dove continuerà a essere prodotto.
Tu sei uno chef molto attento al territorio e ai suoi prodotti, da dove deriva questo tuo interesse?
Forse dal fatto che mi considero un allievo del grande Gianni Cosetti, che ho conosciuto ai tempi dell’“Orsetto d’oro”. Lui è stato davvero un precursore della cucina del
territorio. Mi piace poter dare valore alla mia terra e alle materie prime friulane.
Nei tuoi menù infatti c’è molto Friuli.
Certo. Ultimamente abbiamo anche fatto ricreare da un artigiano una crassigne (la gerla in legno utilizzata dai cramars), tale e quale a quella custodita al museo Gortani di Tolmezzo. In ogni cassetto c’è un dolce tipico; nei cassetti più alti ci sono le Esse di Raveo, in quelli più bassi il cioccolatino allo zafferano o quello alla gubana. Un concentrato di Friuli e di friulanità.
I piatti friulani che troveremo nei prossimi menù?
Sto lavorando alla realizzazione di un menù di contorni friulani. Anche in questo caso si tratta di ricette in disuso o dimenticate. Mi riferisco ad esempio agli ufiei, che sono delle piccole rape bianche bollite e saltate con aceto e zucchero. E anche alle patate cojonariis da servire con sale e cacao.
A questo punto Stefano mi conduce nella sua cucina, prende una pagnotta del pane di corteccia e la taglia per farmene sentire il profumo. Si sprigiona un acuto aroma balsamico, che sa di legno, di terra e di funghi. Un profumo di bosco intensissimo. Chiudendo gli occhi sono in Carnia: potere evocativo del cibo.
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