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Si chiama Moco, è un legume antico diventato Presidio Slow Food

Moco delle Valli della Bormida ph. Oliver Migliore Moco delle Valli della Bormida ph. Oliver Migliore Si chiama Moco, è un legume antico diventato Presidio Slow Food. Un legume che dopo vari studi è stato ricondotto alla famiglia della cicerchia (Lathyrus sativus). La pianta ha fiori bianchi con screziature azzurre rossastre e baccelli che contengono da uno a tre piccolissimi semi (4-6 mm) simili a sassolini, di forma irregolare e colore bianco o bruno marezzato.

Grazie ad alcuni ritrovamenti archeologici si ipotizza che il moco fosse coltivato nei terreni ricchi di tufo e cenge della zona già nell’Età del Bronzo.  All’inizio del ’900 la coltivazione era diffusa fra i calanchi e le vallate della Val Bormida (provincia di Savona) in particolare sulle alture di Cairo Montenotte e Cengio, tanto che gli abitanti di Rocchetta (frazione di Cairo) erano chiamati “mangia mochi”.

Era l’alimento dei contadini, specialmente negli anni di carestia. Con lo sviluppo industriale del territorio i pochi agricoltori rimasti scelsero di produrre legumi dalle rese maggiori, che richiedono meno lavoro manuale, come piselli e fagioli.

Caratteristiche della pianta del moco 

Moco delle Valli della Bormida ph Oliver MiglioreMoco delle Valli della Bormida ph Oliver Migliore
La pianta del moco è rustica, tenace, cresce in terreni poveri, poco fertili, non patisce la siccità cioè è capace di crescere in scarsità di acqua, resiste a basse temperature e non richiede trattamenti chimici per il controllo di malattie e parassiti. Si semina a mano il centesimo giorno dell’anno, nella prima metà di aprile. Dopo la fioritura – nella prima decade di giugno – e la formazione dei baccelli a metà luglio, si procede alla falciatura, che deve essere fatta nelle prime ore del mattino, prima che sorga il sole, per evitare l’apertura dei baccelli.

Le piante sono quindi raggruppate in piccoli covoni che si appendono a essiccare all’ombra, in fienili o porticati arieggiati. La battitura si svolge la prima domenica dopo ferragosto e coincide con la festa del moco. Infine le piante si trinciano e si usano come fertilizzante per i campi mentre i semi si selezionano a mano e si confezionano.

Moco delle Valli della Bormida ph Oliver MiglioreMoco delle Valli della Bormida ph Oliver MiglioreCome si cucina il moco 


Dopo un ammollo di ameno 24 ore il moco è pronto per essere cucinato in zuppe, minestre e insalate. Il sapore estremamente delicato lo contraddistingue nettamente dalle cicerchie più comuni. Si usa anche per la produzione di farina, che viene macinata a pietra ed è ingrediente per dolci, paste, sfoglie, impanature.

E anche per due preparazioni tradizionali: la farinata cotta in forno a legna e la panissa fritta o tagliata a cubetti con pomodorini e cipollotti.

 

Il difetto?

«Richiede molto lavoro: si semina a mano, si estirpano le erbacce a mano, si raccoglie a mano e non esiste neanche un setaccio che vada bene per tutti i semi, perché hanno dimensioni diverse», spiega Gianpietro Meinero, segretario della Condotta Slow Food Alta Valle Bormida e referente del neonato Presidio. 

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