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Le bugie sono buone

La tradizione culinaria campana , al pari delle altre tradizioni regionali , fonda le sue basi sui prodotti del territorio, spesso reperibili solo in aree circostanziate della regione stessa.

La Campania appunto, essendo bagnata per un lato dal mare mediterraneo vanta una cucina che cambia aspetto e sostanza spostandosi dalla costa verso l’ interno.

Le dominazioni, la storia, gli usi e i costumi fanno il resto.

Basti pensare che la mozzarella di bufala , vanto sfrontato di quella che fu la Campanai Felix, ha origini germaniche.

La mozzarella di bufala tedesca ? La sola idea fa venire i brividi.

Eppure, alcune cronache riferiscono che le bufale furono introdotte nell’ alto casertano dai Longobardi, popolo germanico proveniente da oriente che tra il 4° e il 7° secolo ,nella politica di espansione verso Bisanzio, si fermarono in Italia instaurando un regno autonomo intorno al 568.

Ma questa, come dice qualcuno, è un'altra storia.

Per ritornare a tempi più recenti, traggo un piacere personale nel raccontare in questa occasione di una tradizione culinaria napoletana che fonda le sue origini su di una bugia.

La bugia in questione è frutto della mancanza di mezzi e della presenza di una soffocante necessità quotidiana per cercare di mettere insieme il pane con un companatico di lontana memoria e nostalgico ricordo.

Come accade spesso in cucina, dalla bugia, da un ingrediente sbagliato, per una tecnica maldestramente utilizzata vengono fuori dei grandi piatti.

Proprio perché la cucina , a differenza della pasticceria , non prevede rigidità ma fluidità.

Ebbene ,nella Napoli dell’ occupazione nazifascista, dove l’ arte di arrangiarsi ha dato il meglio di sé e si è affinata venivano proposti piatti della tradizione culinaria cittadina in chiave “ finta”.

E mi spiego; piatti tradizionali della cucina napoletana quali il Ragù ( ‘ O RRaù ) , il sugo alla Genovese ( ‘ A Genuvese ) , ‘O Ruoto ‘O Furno , sono piatti che prevedono come ingrediente centrale l’ utilizzo di carne , di manzo , di maiale o di agnello che sia.

Immaginarsi in quei tempi, dove il contrabbando dei generi di prima necessità era forse l’ attività più fiorente nelle città italiane occupate , conquistare un chilo di zucchero prevedeva l ‘investimento da parte di una società di capitali costituita da soci poveri e con tanta fame.

E allora, come fare ? Il popolo napoletano è ricorso nei millenni a due elementi che miscelati insieme possono fare miracoli, la fantasia e lo spirito di sopportazione.

Ecco la bugia, non è possibile fare il Ragù o il sugo alla Genovese nella ricetta ortodossa ?

Allora si fa finto ? Finto qualcuno direbbe , e che significa ?!

Significa che si utilizzano tutti gli ingredienti della ricetta tranne quello principale e cioè la carne.

Allora ecco il finto ragù che è fatto di cipolle, pomodoro, un bicchiere di vino, cotiche ( se a quell’ epoca reperibili ) , sale e pepe.

Il finto brodo di carne ? Solo odori e ossa.

Il finto sugo alla Genovese ? Cipolle , mazzetto di timo e maggiorana, poco pomodoro , sale e pepe.

Rigorosamente senza carne.

L’ elemento centrale quindi di questi piatti passa da essere la carne nei suoi vari tagli alla bugia.

Racconta mia madre, mia fonte storica per quanto riguarda queste notizie, che sua nonna buonanima addirittura usasse friggere con l’ acqua !

L’ aspetto interessante di questi piatti , espressione della voglia di non arrendersi , è risultato essere che gli stessi sono stati assimilati dalla cultura locale e sono poi diventati parte integrante della tradizione del luogo.

In questa occasione voglio proporre il piatto che a me piace di più tra quelli precedentemente elencati , il finto sugo alla Genovese, il quale con Genova non ha nulla a che vedere.

Di questo magari se ne parlerà in un’ altra occasione.

Questo condimento viene preparato mettendo a soffriggere con un cucchiaio di strutto ( si strutto, me ne assumo tutte le responsabilità ) una grossa quantità di cipolla bianca , diciamo 1 kilo per 2 persone, a fuoco lentissimo aspettando che le stesse si caramellizino diventando una crema di colore brunastro.

Dopo aver corretto di sale e di pepe, la pasta scolata non al dente, ma come amo dire “croccante “, va unita con un po’ della sua acqua di cottura alla padella e mantecata aggiungendo del pecorino romano grattugiato e infine una ultima spolverata di pepe nero macinato al momento.

Che dire, uno dei miei piatti preferiti , prodotto di una colossale bugia che viene raccontata a sé stessi prima di raccontarla agli altri e che tuttavia come tutte le bugie dette a fin di bene hanno lo scopo di lenire il dolore e consentire di continuare a campare con fantasia e spirito di sopportazione.

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