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Conosci gli Svitati?

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Le basi del gruppo erano state poste già negli anni ’80, quasi quattro decenni fa, quando hanno iniziato a riflettere sul possibile utilizzo di altre tipologie di chiusure. Le nuove frontiere del vino già si stavano facendo largo negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda. Anni di viaggi, degustazioni, confronti e giri di vite, ognuno con la propria esperienza.

Mario Pojer aveva pensato di “sigillare la bottiglia con la fusione del vetro come fosse una fiala per non lasciar passare l’ossigeno”. Graziano Prà durante un viaggio in Colorado, ad Aspen, aveva avuto una rivelazione assaggiando un Sauvignon Blanc imbottigliato con tappo a vite e venduto a 30 dollari, il primo segnale che il pregiudizio stesse iniziando a tramontare.

Ciò che ha portato i cinque Svitati alla scelta del tappo a vite è l’obiettivo del perfetto mantenimento di quelle qualità organolettiche del vino tanto
ricercate e valorizzate dal lavoro in vigneto e in cantina.

Grazie alle sue caratteristiche questa tipologia di tappo permette infatti una micro ossigenazione costante, preservando il vino e permettendo una corretta evoluzione, oltre che un’omogeneità qualitativa anche nel caso di
vecchie annate.

“Siamo cinque aziende che cercano la precisione fin nei minimi dettagli, scegliamo i vitigni che più ci rappresentano e le uve migliori, in cantina abbiamo tutto quello che ci può aiutare a produrre un vino
di un’altissima qualità. Ma soprattutto abbiamo a disposizione il tappo ideale per mantenerla. 

L'articolo continua sul numero di aprile del mensile qbquantobasta. 

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