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Pinza e falò per l'Epifania

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Pinza e falò per l'Epifania. Il 5 gennaio, vigilia dell’Epifania, nei campi lasciati a riposo per l’inverno, in Veneto - e non solo - si accendono i falò, immutabili nel loro farsi, dalla notte dei tempi. Tenere la fiamma sempre viva fu impegno e responsabilità dei primi uomini finché capirono come avviare nuove scintille per riscaldare, cuocere, illuminare. Ancora oggi rimaniamo incantati davanti a un caminetto acceso, ne godiamo il tepore che crea intimità e protezione quasi a memoria delle antiche esperienze.

 


I fuochi che punteggiano l’oscurità nell’attesa della Befana fanno rivivere usanze legate ai riti propiziatori per la fertilità della terra, per favorire l’abbondanza dei raccolti. Nel bagliore delle fiamme è racchiuso il segno della potenza generatrice, della luce che scaccia le tenebre.

 


Le cataste vengono preparate giorni prima con sterpaglie secche, rami caduti, canne di granoturco ormai inservibili a simboleggiare la fine di un ciclo e la fiducia in una stagione carica di aspettative. Tutto il materiale viene assemblato attorno a un alto palo di sostegno nella classica forma a cono, funzionale a una buona combustione che rigenera e predispone al futuro. E il fumo che si alza viene osservato con attenzione per trarre
auspici dalla sua direzione: se va verso nord l’annata sarà buona, in caso contrario si profilano momenti impegnativi.

 

Il mio ricordo va a un “Panevin” di tanti anni fa a Spilimbergo. Mentre il più giovane dava inizio al rogo con un tizzone ardente, l’allegria era contagiosa e l’ospitalità generosa. Tutti insieme dopo che il falò era quasi consumato si beveva vin brulè e si mangiava un dolce rustico preparato dalla padrona di casa: di origini venete, non voleva perdere le tradizioni della sua terra mancando di offrirci la pinza.

 

La pinza dell'Epifania

 

La forma è quella di un panetto squadrato con una crosta invitante dalla quale occhieggiano le varie aggiunte golose che arricchiscono l’impasto: uvetta sultanina, fichi secchi, semi di finocchio, pinoli e da ultimo anche noci, mescolati tutti insieme o combinati in più versioni secondo il gusto personale o le abitudini locali. In principio era la disponibilità della dispensa a dettare il risultato di una preparazione che nasceva con
l’intento di condividere in amicizia un cibo simbolico. Un dono che le famiglie contadine si scambiavano a conferma di una sincera solidarietà.

 

Farine di grano e di mais sono la base della ricetta che prevede di mescolarle a zucchero, latte e a un po’ di lievito.

Anticamente la pinza veniva cotta sotto la cenere avvolta in foglie di verza, oggi è sfornata nei panifici a conferma del suo essere un dolce semplice ma ancora gradito, per ribadire un’identità territoriale da preservare.

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