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Il vino va a fare le analisi

Per noi friulani la vendemmia è un appuntamento importante, attesissimo, a cui dedicare,con estremo rispetto, tempo e lavoro. C’è chi vendemmia per scopi commerciali, chi lo fa per piacere personale, ma in entrambi i casi vi è una forte tradizione. Quando era il lavoro nei campi a scandire la vita nel nostro Friuli la vendemmia era il tempo più atteso: le donne di casa preparavano i secchi, pulivano gli arnesi e lavavano il pavimento grigio delle cantine. I bambini, quel giorno, erano autorizzati a non andare a scuola e si svegliamo presto, felici di collaborare. La vigna si animava, fragorose risate echeggiavano lungo i filari che si riempivano di ceste colme di grappoli che gli uomini con i carri passavano a raccogliere. Era il tempo del ritrovo: tutto il vicinato veniva ad aiutare per condividere la festa. Qui all’Enologica assaporo ancora queste emozioni,

le vivo nel racconto dei clienti, quelli “piccoli”, come li definisco io (non me ne vogliate!), quelli che si fanno il “bianco” per gli amici e il “rosso” per la tavola di ogni giorno. Percepisco nei loro occhi l’emozione quando portano ad analizzare il mosto per capire se diventerà un buon vino. Aspettano l’esito con trepidazione, quasi fosse l’analisi del sangue, per poi mostrarlo orgogliosi alla moglie.

Ovviamente per le Aziende è diverso, l’analisi è “routine” che si fa con precise scadenze, ma sono convinta che anche l’enologo più esperto provi un po’ d’ansia ogni volta che effettua un’analisi. Come in tutte le filiere alimentari, anche in campo enologico per ottenere un buon prodotto finito è importante partire da una buona materia prima, altrimenti gli interventi che si andranno a fare serviranno solo a tamponare eventuali carenze o anomalie.

Ormai non solo gli Enologi ma anche chi vuol farsi da sé un “bon taj di vin” ricorre ai laboratori di analisi per valutare la qualità dell’uva, o meglio per seguirne la maturazione e definire il momento della vendemmia. Zuccheri, acidità totale e pH sono i parametri fondamentali per decidere se è ora o meno di vendemmiare: gli zuccheri accumulati nella bacca rappresentano il potenziale alcolico del vino finale e aumentano man mano che l’uva matura. Sono determinati per rifrattometria o per densimetria e normalmente vengono espressi in gradi Brix o babo.

L’acidità totale viene espressa normalmente in g/l di acido tartarico che ne è il maggior rappresentante. L’acidità diminuisce con l’aumentare del grado di maturazione; il pH rappresenta l’acidità reale cui concorrono tutte le sostanze presenti nell’uva: anche questo valore aumenta man mano che procede la maturazione. Si può ovviamente migliorare la qualità del mosto anche dopo la vendemmia, pratica peraltro regolamentata, con interventi additivi e sottrattivi: stiamo parlando principalmente di processi di arricchimento del tenore zuccherino, aumento o diminuzione dell’acidità.

Ricordiamo che la preparazione del mosto ha anche lo scopo di permettere ai lieviti, deputati alla fermentazione alcolica, di trovarsi nelle migliori condizioni per svolgere la trasformazione da mosto a vino. Pratica usuale, anche se alcuni cercano di evitarla, è la solfitazione del mosto con anidride solforosa, quell’ingrediente indicato in etichetta con la dicitura “contiene solfiti”. La solfitazione del mosto ha lo scopo di sanitizzare l’uva per permettere un buono sviluppo dei lieviti ed evitare fermentazioni anomale, che porterebbero ad alterazioni sgradevoli compromettendo la qualità del vino.

Durante la fermentazione è auspicabile eseguire analisi sul mosto specie se prima non si sono fatte valutazioni sull’uva di partenza. I parametri riguardano essenzialmente il grado alcolico potenziale, l’acidità totale, il pH, l’acidità volatile e il contenuto di solforosa. Il grado alcolico complessivo indica quanti gradi avrà il vino alla fine della fermentazione ed è costituito dall’alcol svolto e dal grado alcolico potenziale, dipendente a sua volta dalla quantità di zuccheri fermentescibili. L’acidità totale va mantenuta  a valori tali da conservare nei vini, soprattutto nei bianchi, la freschezza che il consumatore desidera. In questa fase più il pH è basso meglio è, per evitare il proliferare di batteri indesiderati e favorire l’attività dei lieviti.

Un parametro che va tenuto attentamente sotto controllo è l’acidità volatile: un suo eccesso, rilevato alla degustazione, basta a far giudicare negativamente un vino. La responsabilità di tale effetto è legata a una concentrazione eccessiva di acido acetico principalmente e di altri acidi volatili che sono la causa del sentore di “aceto”. La fermentazione alcolica conduce normalmente alle formazione nel vino di piccole quantità di acidità volatile, ma l’aumento eccessivo di tale parametro indica che qualcosa di anomalo è avvenuto nel mosto.

Monitorare questo parametro è importante per due ragioni. Innanzitutto ci dà un’indicazione di come sta procedendo la fermentazione: se tutto è regolare l’acidità volatile rimane a valori bassi, se invece i valori aumentano significa che, oltre ai lieviti, nel mosto c’è una considerevole presenza di batteri lattici (che in presenza di zuccheri portano a formazione di acidità volatile). In tal caso si deve intervenire subito per bloccare tale processo. Un altro parametro da analizzare è la determinazione della solforosa per verificare se l’eventuale aggiunta è stata adeguata alle condizioni del mosto.

E’ importante effettuare queste analisi prima della fine della bollitura in quanto interventi fatti successivamente potrebbero essere difficoltosi o non efficaci. Parlo per esempio dell’aumento del tenore zuccherino per ottenere un aumento del grado alcolico finale o, peggio, di un intervento atto a bloccare uno sviluppo di acidità volatile. Se queste righe le leggesse mio nonno, mi direbbe “lassa star... ghe penso mi a far bon vin”.

Forse avrebbe anche ragione, perché sono convinta che al di là di tutte le analisi e controlli, sicuramente utili, è con la passione e il cuore che si fanno le cose buone! Info: www.enologicafriulana.it

 

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