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Venditrice di fritole-opera di Pietro Longhi

La venditrice di frittelle, Pietro Longhi, opera conservata a Ca' Rezzonico, Venezia La venditrice di frittelle, Pietro Longhi, opera conservata a Ca' Rezzonico, Venezia

Venditrice di fritole opera di Pietro Longhi. Anche sulle frittelle o fritole qubiste si è già sviluppato il - chiamiamolo - dibattito. A sostenere che la propria ricetta e storia sono quelle corrette, le uniche corrette, e a contestare quelle altrui. Nel nome della più inutile intolleranza. Siccome questo atteggiamento comincia ad annoiarmi, qui pubblico direttamente e integralmente la scheda del MUVE Fondazione Musei Civici Venezia che accompagna l'opera di Pietro Longhi (1702 – 1785).  

L’opera, nome e tecnica: La venditrice di frittole, olio su tela. La datazione: 1750. La collocazione: Venezia, Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento Veneziano. La descrizione dell’opera

Lo sfondo della scena è occupato da un muro di una casa su cui si aprono due finestre; al centro della parete un’iscrizione ricorda l’elezione del parroco della chiesa di San Basilio nel 1750 e permette così di datare il dipinto.

A destra un nobiluomo con tricorno chiede alla popolana seduta di fronte a sinistra tre frittelle (infatti indica il numero con le dita della mano sinistra) per poterne offrire alle due giovani donne che gli sono accanto e averne una per sé.

La venditrice di frittelle (in veneziano fritole) ne infilza quattro in uno spiedo prendendole da un cesto ricolmo. Accanto a lei, un ragazzino porta sulle spalle un secondo catino altrettanto pieno. I volti sono assai vivaci e divertiti, quasi caricaturali, e l’atmosfera ricorda un po’ una
scena di una commedia di Goldoni. 

Storia e curiosità

A Venezia numerosissime erano le varietà di dolciumi. Una delle golosità più antiche era la scaléta, ciambella composta da un impasto al burro e ricoperta di zucchero, simile nella forma alle cialde azzime ebraiche, il cui decoro ricordava una piccola scala a pioli, da cui il nome di scaletéri, attribuito ai pasticceri veneziani. Loro stessi o semplici venditori ambulanti percorrevano liberamente le strade per vendere
i dolci ma non potevano offrire la propria merce ad alta voce, per attirare i passanti, se non a Rialto e San Marco.

A produrre e vendere la frittella, la famosa leccornia, tipica non solo del periodo di Carnevale ma di ogni altra occasione festosa dell’anno, erano i fritoléri, riuniti dal Seicento in una Corporazione il cui luogo di ritrovo era la chiesa, tutt’oggi esistente, della Maddalena, nei pressi della Ca’ d’Oro. Severe norme regolavano la preparazione delle frìtole, i cui segreti erano trasmessi da padre in figlio.

I fritoléri impastavano gli ingredienti su grandi tavole di legno, poi friggevano i dolci in olio o burro (lo strutto veniva usato di meno) e li esponevano, zuccherandoli, su ricchi piatti di peltro o stagno. Per dimostrare la bontà del prodotto venivano esposti gli ingredienti utilizzati, farina, uova, mandorle, pinoli, cedro candito.

Come testimonia il dipinto del Longhi, le fritole venivano infilzate in uno spiedo per poter essere mangiate ancora calde, senza scottarsi le dita.

I fritoléri

I fritoléri erano facilmente riconoscibili dal loro abbigliamento: portavano sul davanti un grembiule bianco candido e tenevano in mano un vasetto bucherellato per spargere di continuo lo zucchero sui dolcetti ancora fragranti. Furbescamente, essi eseguivano questa operazione con gesti teatrali avvicinandosi alle persone che incontravano, in modo da attirarle con il profumo dei dolcetti appena cotti.

Lo zucchero di Candia e i canditi 

La città lagunare fu la prima in Europa a utilizzare lo zucchero al posto del miele, poiché, grazie ai propri domini e alle rotte commerciali in Mediterraneo orientale, era una dei pochi centri europei dove questo prezioso ingrediente si poteva trovare con facilità. Lo si otteneva solo dalla canna da zucchero ed era considerato un cibo da ricchi, difficile da reperire, ma non a Venezia.

La Serenissima, oltre a importarlo, riusciva anche a produrlo nei propri possedimenti d’Oltremare sia a Cipro, dove la canna cresceva senza problemi sia a Candia, l’isola di Creta, dove si fabbricava lo zucchero detto candioto, usato anche per cuocervi per ore dei frutti poi chiamati
candii, cioè, in italiano, canditi.

Certo, quando Longhi dipinge questa tela la Serenissima aveva ormai perso molti dei suoi domini d’oltremare, tra cui Candia. Ma lo zucchero di canna continuò a essere usato per i dolcetti, soprattutto a Carnevale. Fino a che alla fine del secolo si diffuse quello ottenuto dalla barbabietola.

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