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Storia del pesce nella cucina della regione

Nel 1480, per i tipi di Gerardo di Fiandra, fu stampato a Cividale il De honesta voluptate et valetudine di Bartolomeo Sacchi, detto il Platina (in quanto originario di Piadena, Modena). Questo libro, riprodotto in copia anastatica dalla Società Filologica Friulana nel 1994, fa registrare almeno tre primati. Anzitutto è il primo libro a stampa prodotto in Friuli; in secondo luogo, pur essendo un vademecum per una vita sana, viene ricordato soprattutto per la parte dedicata alla cucina e contiene un intero capitolo dedicato alla cucina del pesce, in particolare di mare. Da ultimo, per la parte gastronomica del suo trattato, il Platina si dichiara completamente debitore del Maestro Martino da Como, autore del libro De Arte Coquinaria, elaborato verso la metà del ‘400. Ma, perché tanta attenzione a questo fatto? Ebbene, almeno per dieci anni, Maestro Martino è stato il cuoco di Ludovico Trevisan, veneziano, prima medico del papa Eugenio IV (Condulmer, quindi veneziano anche lui) e poi Camerlengo presso il Soglio Romano e Patriarca di Aquileia, con sede a Udine.

 C’è da ricordare però che Martino è un continentale. Come mai allora egli conosce così bene specie quasi esclusive dell’Alto Adriatico, come la Passera, o comunque pescate soprattutto in questo bacino? Come mai le sue ricette riecheggiano tanto spesso motivi regionali? Molto verosimilmente ciò è dovuto alla sua consuetudine con il Patriarca veneziano e alla sua residenza nella sede del Patriarca.

In particolare, i pesci non potevano essere altri se non quelli della Laguna di Marano e Grado e del Golfo di Trieste e venivano trattati spesso con modalità locali: Anguilla grossa sole essere arrostita scorticandola e nettandola prima molto bene, mettendola poi nel speto, et cocendola molto ad ascio: manca solo un cenno alle foglie di alloro interposte tra i pezzi (morei) di anguilla: potremmo già sentire lo sfrigolio e l’odore del Bisato in speo di Marano Lagunare. In effetti Martino non dimentica l’alloro e lo usa, assieme ad altre erbe, sia per lessare l’anguilla, sia per spennellare il branzino (Varolo Grosso) di salimora, durante la cottura alla griglia.

Ecco esplicitato il terzo primato: uno dei primi libri italiani della cucina del pesce nasce proprio nella nostra regione, sulla base di prodotti delle acque regionali, preparati spesso con modalità locali. Ed ecco così configurarsi l’impronta del territorio: ambiente, paesaggio e un insieme inimitabile di odori e di sapori provenienti da esso.

Molti credono che il bicchiere della staffa sia un semplice brindisi di commiato che il padrone di casa riservava al cavaliere che aveva ospitato. No! Il bicchiere della staffa è molto di più. E’ un invito a ricordare gli odori e i sapori del territorio per utilizzarli come guida per nuove escursioni, nuova ospitalità, nuove emozioni. Se questo fatto fosse profondamente compreso si potrebbe tranquillamente sorridere al ricordo della vicenda del Tocai: i magiari ci hanno sottratto soltanto un nome!

Gli odori e i sapori del territorio rimangono qui e continueranno ad allietare il nostro fritto di zotoli (Sepiola rondeleti) o di gamberetti a gennaio e febbraio, i nostri mormori alla griglia in marzo/ aprile o gli sgombri in padella con olio, aglio, prezzemolo e capperi in maggio. Esaltati attraverso l’inimitabile vino “Friulano”, la cui essenza territoriale sarà ormai inalienabile.

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