Finisce Expo Rimarrà comunque la Carta di Milano
31 ottobre chiude Expo: e ora? Rimarrà comunque la Carta di Milano. La chiusura, inderogabile, è per il 31 ottobre. Novembre, mese che segna definitivamente l’ingresso nella stagione invernale (lo so – comincia più avanti: ma la fine dell’ora legale è praticamente un colpo di mannaia agli ultimi guizzi della stagione estivo-autunnale), si porterà via tutto quello che è stato Expo, fuori e dentro la città: tanta gente, tanti stranieri dappertutto, feste, cose da mangiare, cuochi e chef da tutto il mondo, eventi, anche i più improbabili, con l’etichetta “Expo” all’occhiello.
Etichetta malvista e vituperata e disprezzata per mesi, anni addirittura, prima e durante l’evento-Expo. Ovvio, il normale atteggiamento critico e dialettico in questa era dei social media è diventato molto più violento e massimalistico, il “lo sappiamo tutti cosa c’è dietro”, anzi, “lo so ben io ché a me non la si fa” è una frase fatta che accompagna ormai ogni virgola, ogni sospiro emesso pubblicamente. Solo in parte tacitato dall’evidente successo di pubblico: certo, le foto delle code possono essere state truccate, i tornelli tarati anziché sul numero dei passaggi sul peso delle persone che passano, cardo e decumano riempiti di comparse non paganti a simulare il mega-successo in foto… Ma magari no.
Magari la gente c’è andata davvero, all’Expo.
Ecco, forse è questa la cosa che mi è rimasta più impressa – la gente. Il pubblico che si è sobbarcato code di ore e ore per visitare un padiglione. E non le mitiche code “all’italiana”, di gente che sbraita per lentezze e lungaggini, che sembra stare in coda solo per protestare per il fatto di stare in coda, che si sbrana pur di difendere il proprio pezzetto di territorio davanti allo sportello dai sorpassi illeciti: nessuno fiatava, ovvero nessuno provava a scavalcare, a intrufolarsi (OK, quasi nessuno, almeno a quel che ho potuto vedere; e non ho vistato Expo nei giorni di afflusso abnorme). La stessa gente che buttava rifiuti e cartacce negli appositi contenitori: il tasso di spazzatura per terra è stato decisamente marginale. La gente che si scambiava informazioni e consigli su cosa vedere, cosa assaggiare. La gente che ha lavorato all’Expo, impiegati e volontari. Magari saranno anche stati “sfruttati”: ma è probabilmente stata un’esperienza positiva.
Lo so, sembro, anzi, lo sono sempre stato, un #Expottimista. E so benissimo che lo slogan “Nutrire il Pianeta. Energia per la Vita” con ogni probabilità non ha spostato di un centimetro le condizioni di vita degli “ultimi” della Terra. Forse.
Forse, perché comunque del tema si è parlato e discusso; forse, perché comunque i vari padiglioni ci hanno permesso di gettare uno sguardo un po’ diverso dal solito su una serie di paesi del mondo (molti ancora magari credevano che l’Africa fosse popolata essenzialmente da individui in perizoma che vivevano in capanne di paglia), e soprattutto su quello che stanno facendo sul tema dell’alimentazione. Certo, fornendo una versione “di parte”, probabilmente edulcorata da totalitarismi, integralismi, conflitti, una visione positiva in cui non i lati negativi sono lasciati in ombra.
Che cosa rimarrà di Expo2015? Forse qualche costruzione nell’area – molti padiglioni verranno smontati, riciclati, molti altri saranno trasferiti altrove, “riciclati” in altri progetti virtuosi, riconvertiti a favore di aree e popolazioni povere. Rimarrà, non si sa bene come e dove, l’Albero della Vita, spettacolo di musiche e luci e sponsor di difficile ricollocazione ma di indubbio fascino.
Rimarrà la Carta di Milano: «Noi donne e uomini, cittadini di questo pianeta, sottoscriviamo questo documento, denominato Carta di Milano, per assumerci impegni precisi in relazione al diritto al cibo che riteniamo debba essere considerato un diritto umano fondamentale». Che non avrà effetti pratici immediati, forse. Ma che probabilmente aiuterà il mondo a pensare in modo diverso alle proprie risorse, al proprio futuro, ai propri figli.
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