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Analisi sensoriale

Per i controlli di qualità sugli alimenti sono disponibili collaudate tecniche di analisi di laboratorio di tipo chimico-fisico e microbiologico, tuttavia la valutazione organolettica dell’assaggiatore esperto rimane insostituibile. Lo strumento in questo caso è rappresentato dagli organi di senso: vista, olfatto, gusto, ma anche tatto e udito. L’approccio organolettico o sensoriale ha dato origine a una disciplina scientificamente strutturata denominata appunto

analisi sensoriale. Per ciascun alimento vengono definiti degli attributi caratteristici che fungono da riferimento in ordine all’accettabilità o meno del prodotto. Un gruppo di assaggiatori si esprime sulla presenza, qualità e quantità di tali “descrittori”. Il tutto avviene secondo procedure volte a minimizzare le possibili influenze sul giudizio causate dall’ambiente circostante, piuttosto che da interferenze di natura psicologica e fisiologica. Una stimolazione continua e ripetuta dei recettori sensoriali comporta assuefazione: gusti e aromi non si percepiscono più.

Ecco perché tra un campione e l’altro si usano delle sostanze “neutralizzanti”: mela per l’olio, latte per la grappa, grissini per il vino. Sempre per il medesimo motivo il numero di campioni assaggiati deve essere contenuto. Ciascun assaggiatore riporta le sue percezioni in una scheda (specifica per ogni tipologia di prodotto). I dati vengono elaborati statisticamente al fine di ottenere un responso valido, attendibile e riproducibile. L’esito può limitarsi alla descrizione del profilo sensoriale, ma può anche stabilire una graduatoria di merito.

Queste metodologie si basano su facoltà percettive a disposizione di ognuno. Sensibilità di natura che andrebbero risvegliate, coltivate e allenate. Forse non ne abbiamo coscienza, ma siamo tutti dotati di un innato strumento di valutazione della qualità da impiegare per il nostro cibo quotidiano.

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