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Confini più labili fra Italia e Francia

Commissioni al lavoro a BordeauxCommissioni al lavoro a Bordeaux

I vini autoctoni fino a qualche decennio fa un po’ accantonati o perlomeno non valorizzati nella giusta maniera, negli ultimi anni hanno riscosso crescenti successi. Anche il Friuli Venezia Giulia ha seguito in buona parte l’onda della moda, del mercato, della tradizione, ma… da qualche anno alza un po’ la testa un vino che autoctono non è, che però ha qualcosa da raccontare proprio per la sua sfacciataggine a livello sensoriale: il Sauvignon. Le caratteristiche intrinseche della tipologia
lo hanno reso talmente riconoscibile a livello regionale che oggi sono numerose le aziende che puntano alla produzione di questo vino non tanto per aggredire i mercati, quanto per rendere riconoscibile una regione anche attraverso questa varietà.
Il Sauvignon blanc nasce in Francia trovando la sua massima espressione nella zona – caratterizzata da terreni silicei – della Loira, dove si esprime nelle tipologie del Sancerre e del Pouilly Fumè, ma espressioni diverse si hanno anche in Borgogna, anche se con una produzione limitata. Senza dimenticare il suo matrimonio con il Semillon per la produzione di Sauternes. Ogni zona, ogni territorio, ogni variazione climatica o esposizione conduce a vini che, pur partendo dalla stessa matrice, si esprimono in maniera peculiare. Negli ultimi decenni un Paese che su tutti ha cominciato a produrre Sauvignon blanc facendone un vino di bandiera è la Nuova Zelanda con i suoi 20.000 ettari vitati. Vari studi condotti sulle uve di Sauvignon blanc neozelandesi hanno messo in rilievo come caratterizzanti a livello sensoriale siano proprio i lieviti indigeni difficilmente replicabili. Gli stessi che agirebbero in simbiosi con il clima per regalare Sauvignon capaci di competere per qualità con gli autoctoni francesi. In Italia i territori che in misura maggiore producono questa varietà sono il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige. La nostra regione sta cominciando a puntare in maniera significativa sulla tipologia e – nonostante ci siano state delle inversioni di tendenza sulle varie produzioni e delle flessioni più o meno significative nel corso degli ultimi anni – attualmente gli ettari piantati a Sauvignon sarebbero quasi 2000. A prescindere dalla denominazione d’origine, dall’indicazione e dalla menzione in etichetta, la varietà acquisisce in ogni zona della regione caratteristiche diverse che spesso la rendono poco “comprensibile” al resto del mondo, come è accaduto durante l’ultimo concorso mondiale appena conclusosi a Bordeaux.

Pensare di poter mettere sulla stessa linea Sauvignon blanc prodotti nella pianura o nella zona collinare della nostra regione è fortemente errato perché ogni Sauvignon, così come ogni qualunque altra varietà, si caratterizza tenendo conto di diversi fattori: clone, esposizione, sistema di allevamento, scelte agronomiche, periodo di raccolta, territorio di produzione, terreno, metodo e scelte di vinificazione, lieviti, escursione termica. È errato, a livello degustativo, discriminare un prodotto solamente dalla sua zona di produzione, perché ogni zona regala e può regalare al vino aspetti non ripetibili in altri territori. Senza trascurare la scelta dei lieviti che possono essere selezionati nella maggior parte dei casi, o indigeni laddove si è riusciti a isolare il ceppo caratterizzante. A oggi sono diversi i descrittori ritrovati e incontrati nei Sauvignon del Friuli Venezia Giulia. A caratterizzare la maggior parte dei composti aromatici sicuramente le metossipirazine responsabili del sentore vegetale legato alla foglia di pomodoro, peperone, all’asparago, sentori che spesso si concentrano soprattutto nelle zone in cui il clima è più freddo e che, presenti nelle uve, vengono trasferite al vino in fase di macerazione. Spesso questi descrittori, se esageratamente marcati, rischiano però di appesantire l’aspetto aromatico del vino, diventando descrittori poco ricercati. Intorno alla fine degli anni Novanta alcuni studi condotti dalla Facoltà di Enologia “Institut des Sciences de la Vigne et du Vin” dell’Università di Bordeaux a cura di Denis Dubourdieu, mettono in evidenza come alcuni precursori aromatici, i tioli, praticamente assenti sia nell’uva che nel mosto, si attivino in fase di fermentazione in seguito all’azione di alcuni enzimi sul metabolismo dei lieviti dando vita a tutta una serie di descrittori a seconda della concentrazione dei differenti tioli. Per cui si avranno sentori di agrumi, nello specifico il pompelmo, o sentori di bosso, volgarmente definito urina di gatto, oppure ginestra. Per svariati anni in regione sono stati considerati tipici o riconoscibili quei Sauvignon in cui la componente vegetale è sempre stata piuttosto evidente, per poi rendersi conto che le sue potenzialità sono intrinseche nella varietà. Basta solamente imparare a conoscere quanto può dare un territorio alle uve e quindi al vino, senza fossilizzarsi sul “noto” o “conosciuto”. Dai primi anni del 2000 in regione ha cominciato a farsi strada l’interesse per la tipologia. È il 2005 quando si è parlato per la prima volta di Progetto Sauvignon, di cui promotore  è proprio l’agronomo Giovanni Bigot supportato dal Consorzio Tutela Vini Friuli Colli Orientali e da altri professionisti del settore.
Segno di una regione che crede nel progetto sono i recenti successi ottenuti durante il Concorso Mondiale del Sauvignon a Bordeaux: 3 medaglie d’oro, tra cui un Trofeo Speciale, e 4 medaglie d’argento. Il Friuli Venezia Giulia può caratterizzarsi e diventare una zona, per quanto piccola nel panorama mondiale, riconoscibile nella produzione di questa varietà. Ve ne parleremo in un laboratorio specifico a Buttrio!

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