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Prosecco il castello dell'equivoco

Sul numero di dicembre del mensile qbquantobasta c'è un articolo davvero interessante e illuminante riguardo il Prosecco e le più recenti polemiche dull'argomento. Lo ha scritto uno storico, il professor Fulvio Colombo. Con una preziosa e dettagliata cronologia essenziale.

A Trieste, si è mai coltivata la vite? È una domanda che mi sento fare spesso in Veneto. Una domanda che ti lascia attonito, senza parole, e quando cerchi di spiegare loro che la viticoltura ha sempre avuto da queste parti grandi tradizioni, la sensazione è che ti stiano ad ascoltare più per cortesia che per reale interesse. Certo, da noi oggi le vigne bisogna andarsele a cercare.
Il panorama, per chi percorre le vie di accesso al territorio provinciale triestino, non offre scorci con sequenze ininterrotte di filari, così tipici delle aree vocate a quest'attività. Attenzione però, preciso io al pubblico annoiato, la situazione attuale non riflette il passato, neanche recente, perché, tanto per fare degli esempi, a casa vostra a Valdobbiadene sino agli anni '50 del Novecento, non si viveva di viticoltura, ma con l'industria della seta e quel Prosecco di cui ora tanto si parla era ancora, a detta di uno dei grandi protagonisti del suo successo, Giuliano Bortolomiol, un vino "pissariol", un vino che non era facile da smerciare. Che il Prosecco possa aver avuto una storia importante in altri luoghi è una cosa che ai veneti non va proprio giù.

Come si fa a spiegare loro che il vino
triestino, con quel preciso nome, era
già nel Seicento molto conosciuto a
Venezia e che quelle bollicine, di cui
il Prosecco è divenuto l'emblema e il
sinonimo, hanno fatto la loro prima
comparsa a Trieste nel 1821, cinquantatré
anni prima che in provincia di
Treviso.
Particolari piuttosto importanti questi,
che i conduttori della recente trasmissione
andata in onda su RAI3 il 14
novembre forse non sono riusciti a
cogliere, perché troppo concentrati
sui problemi del presente. Di storia
neanche l'ombra, ad avvalorare l'idea
che l'intera operazione del 2009 di
messa in sicurezza del vino, organizzata
dall'allora ministro dell'agricoltura
Luca Zaia, sia stata benedetta dalla
fortuna perché "per caso" ci si accorse,
guardando la carta geografica, che
esisteva un paese di nome Prosecco.
All'epoca, complice la fretta e l'euforia
per aver trovato una veloce soluzione
al problema, nessuno si prese la briga
di indagare se quella "coincidenza"
fosse supportata da qualche documentazione
storica che potesse dare
all'operazione una maggiore credibilità.


Indagando invece, si scopre con facilità
che quella "coincidenza" tale non
è, perché la documentazione che la
riguarda, particolarmente abbondante,
antica e attendibile, è tale da
consentire ormai una ricostruzione
scientifica delle situazioni e delle scelte
che portarono, a Trieste, alla fine
del Cinquecento, a quel cambio di denominazione
da "Ribolla" a "Prosecco",
senza il quale oggi non staremmo qui
a discutere dei successi di questo vino
come straordinario veicolo del made
in Italy nel mondo.

È questo il nodo centrale della storia,
incomprensibile però senza l'analisi
degli antefatti e senza aver dato risposta
alla domanda più importante: che
collegamento c'è tra il nome del vino
e quello della località carsica?
La soluzione si trova in realtà a non
molta distanza da Prosecco, nell’abitato
di Contovello, in un rilievo che contiene
quel che resta di un castello, edificato
in posizione panoramica, sul versante
soleggiato della riviera, all'epoca tutta
ricoperta di vigne sino al mare.
Una struttura conosciuta come castello
di Prosecco (ed ecco finalmente il
nesso) che già alla fine del Quattrocento
era stato associato, per quella
felice posizione con brillante intuito
dal vescovo Pietro Bonomo, al ben più
famoso castello dell'antichità classica,
il Pucino, e quindi per naturale conseguenza
al celebre vino che colà era
prodotto, il prediletto da Livia, moglie
di Augusto, e alle sue proverbiali proprietà
terapeutiche.
Cosa ci poteva essere di più qualificante
per giustificare, un secolo dopo, il
necessario cambio di denominazione,
indispensabile per ovviare alla confusione
generata dalla presenza di vini
che avevano lo stesso nome ed erano
destinati agli stessi mercati?
E qui viene il bello. Credete che il
protagonista indiscusso di tutta la vicenda,
il castello, sia opportunamente
valorizzato e tutelato? Neanche per
sogno, perché la consapevolezza del
proprio passato non abita da queste
parti ed è più importante "il ricordo
del nonno" che la testimonianza scientifica
e originale. Un atteggiamento
autolesivo, non utile certo a dissipare
i dubbi e le perplessità espresse all'inizio.

 

Maggiori informazioni sulla storia del Prosecco
nei due libri dell'autore sull'argomento: Prosecco
perché? Le nobili origini di un
vino triestino, Luglio, 2012 e Prosecco.
Patrimonio del Nordest, Luglio, 2014).

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