Da Orvieto un muffato speciale
di Gianluca Atzeni copyright Tre bicchieri Gambero rosso
C’è fungo e fungo, c’è botrite e botrite. Quella grigia, molto dannosa, e quella nobile, in grado di modificare le componenti aromatiche dell’acino e dare quel giusto grado zuccherino che, sfruttato a dovere, consente di ottenere ottimi vini dolci. I cosiddetti “muffati”, prodotti in particolare nei dintorni di Orvieto (sede del congresso diAssoenologi oggi e domani), sono un esempio. Vini di nicchia,
certamente, ma che, come i Sauternes, sono molto apprezzati. Nascono grazie alla mano dell’uomo, ma soprattutto per effetto dei microclimi del lago di Corbara, all’interno del Parco fluviale del Tevere.
In vigna o dopo la raccolta, appassire le uve è un’arte, basti ricordare gli Sfursat e gli Amarone. In questo campo, l’Università della Tuscia ha voluto fare un passo avanti sviluppando una tecnologia per indurre la botrite in alcune varietà di uve, controllandone l’incidenza e guidando il processo di disidratazione.
Il progetto, denominato Vimaco (finanziato con 300mila euro dalla Filas, finanziaria della Regione Lazio), funziona così: “Abbiamo inoculato spore di botrytis cinerea nelle uve postraccolta – spiega a Tre Bicchieri Fabio Mencarelli, docente di Enologia alla Università della Tuscia – controllando l’appassimento con una cella climatizzata, da 15 quintali d’uva, che regola temperatura, ventilazione e umidità”. Il progetto, durato tre anni, ha coinvolto la B.T. di Todi, la Marvil Engineering di Salorno (Bolzano), la Cantina sperimentale del Cra di Velletri e tre cantine pilota (Trappolini di Castiglione in Teverina, Ceracchi di Velletri e Leonardi di Montefiascone). Sono stati cinque i vitigni bianchi scelti per l’esperimento: Trebbiano del Lazio, Malvasia Puntinata e Grechetto di Todi a maturazione tardiva e Sauvignon blanc e Chardonnay a maturazione precoce.
I risultati sono stati “molto soddisfacenti sia dal punto di vista tecnologico sia da quello qualitativo” rileva Mencarelli. E così sono stati depositati due brevetti: il primo relativo al processo, il secondo riguardante la formulazione del fungo, per il quale è stato chiesto il riconoscimento europeo. “I vini ottenuti sono di buon livello con aromi simili ai Sauternes e ai Muffati orvietani”. I vantaggi risiedono nella possibilità per le aziende di “ottenere un prodotto particolare indipendentemente dalla vocazione dell’area viticola, di personalizzare il processo in funzione della varietà desiderata ed evitare i rischi legati al clima”.
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