Amanti della birra conoscete il luppolo?

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Lo sapevate che molte delle patologie che colpiscono la vite si attaccano anche alle piante di luppolo? Si riassume nel concetto di biodiversity care (cura della biodiversità) tutto
ciò che viene introdotto nel luppoleto come piante, insetti, funghi naturali e microorganismi per dare equilibrio sanitario alla pianta. Perfino lo sfalcio alternato dell’erba tra i filari (i cosiddetti corridoi vegetali) garantisce l’ecosostenibilità grazie al passaggio di essenze e insetti da un punto all’altro della piantagione; essi contrastano le patologie dannose per le piante e sono bioindicatori naturali dell’andamento di questi agroecosistemi.
Il tipico luppoleto è costituito da piantagioni con lunghi filari che si sviluppano in verticale fino a 6-8 metri di altezza, che riescono a crescere fino a 10-12 cm al giorno (avete letto bene!). La bellezza della pianta risiede in quei simpatici coni verdi a forma di pigna che, a seconda della varietà (ce ne sono circa 150!!), sono più o meno allungati, più o meno ciccioni, più o meno profumati, più o meno resinosi grazie alla presenza di una polvere, resinosa appunto, di colore giallastro (luppolina) che è ricca delle sostanze amaricanti e aromatiche.

Nella produzione della birra, se introdotto in fase di bollitura, il luppolo conferisce l’amaro, volto a contrastare la “dolcezza” del malto; aggiunto in momenti successivi (e in tal caso parliamo di dry hopping), serve ad apportare aromi e profumi che, a seconda della varietà, possono essere agrumati, floreali, fruttati, resinosi o erbacei. Un mondo fatto davvero di tante sfumature.
Ben più delle canoniche cinquanta. 

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