Arancione: il quarto colore del vino

la sommelier Liliana Savioli e la direttice del emnsile qbquantobasta Fabiana Romanutti a Ein Prosit la sommelier Liliana Savioli e la direttice del emnsile qbquantobasta Fabiana Romanutti a Ein Prosit Proponiamo ai nostri lettori il racconto che la foodblogger Rossella Di Bidino ha fatto dopo aver partecipato al laboratorio di degustazione di qbquantobasta a Ein Prosit. Il laboratorio si intitolava Il quarto colore del vino, una degustazione cromatica con musica. "Pare assurdo, ora pure i vini arancioni.Pare assurdo, non è una trovata pubblicitaria, ma quasi una riscoperta, più per il pubblico che per i produttori. Il nome forse distrae, abbaglia per la sua stranezza. Poi te li versano e ti chiedi embè, e ora? Non resta che poggiare il naso, forse inesperto, eppure curioso. Parte la musica. Nè un lento, né dell’house music, ma del sano rock. Così Liliana Savioli li presenta(va) ad Ein Prosit 2013. Non ti resta che provare.
Ti è stato detto, con piglio deciso ma non enfatico, decisamente appassionato che sarà per te una degustazione cromatica e musicale. Scorgi qualche etichetta. Nomi d’incanto come Lunar. Impari e prendi appunti per imparare che si tratta di vini bianchi lavorati come i rossi. La macerazione sulle bucce, lieviti indigeni selezionati dal territorio. Rincorse nella vigna con camion refrigerati, affinché non parta alcun tipo di fermentazione, ti immagini la scena. Cogli il profumo di quest’arte del fare per dedizione ancor prima che per dovere.
Così le bacche vengono tenute intere, lasciando fare al peso del tempo il suo corso dentro delle botti barrique. Si spilla senza filtrazione per porre il futuro vino arancione in altri botti ancora.
E nel mentre quella Ribolla di Movia, Lunar 2007, dei Colli sloveni ti ricorda di quando ti avvinasti al lambic.
C’è un salto tra vino e vino arancione, che per me, imperterrita ignorante, ha ricordato fin dal naso quello tra una birra ed un lambic. Ma se nel lambic mi ritrovai subito a mio agio, con i vini arancioni ho dovuto arrivare all’ultimo assaggio per capire che mi piacevano, ancora prima di comprenderli del tutto. Tranne poi farmi spaventare dagli accenni al loro prezzo. Sono perle non per tutti.

Ma il vino si scopre tutto con Brown sugar dei Rolling Stone a ricordare che la degustazione è anche musicale.
Lunar colpì con il color oro, brillante antico come la collana regalata dalla suocera per il tuo matrimonio. Stessa reverenza.
Un naso svelato da Liliana fatto di noci, mandorle, cardamomo, ma sopratutto profumo di neve. E spuntò l’immagine dei fiocchi, perché aveva colto l’essenza che non si impara, ma si vive. Fiero e sapido quel calice. Dal Carso Sloveno arrivò pure Marco Fon con una Vitoska, quella che un tempo era un vino da taglio.
Liliana parlò di puzza al naso, ma nulla da distogliere né il naso né lo sguardo dal vino. Zenzero, persino curry, note di calycanthus. Più struttura tanta da affrontare un piatto di carne. Sarà che il naso si perde nella cenere di caminetto o sarà che Liliana sa sempre trovare quel varco in più per farti scoprire un vino ed abbinarlo ad emozioni e musiche. Hey you degli Overdrive nella stanza e tu col calice, con o senza carne accanto…e quel profumo appunto di cenere. Vedrai che è qualcosa che rimane.
E per chi si lascia appassionare c’è pure un post niente male di Enoiche Illusioni, per capire meglio ed ancora.

Subito dopo fu Ana, a ricordo del nonno di Mlecnkik dalla Valle Vipacco accompagnato da Pale Shelter dei Tears for fears.
Mandorla, caramello, carrube, ma soprattuto un naso che poteva portarti sul cammino di Rilke in una calda giornata quando le pietre del Carso giungono persino alle narici. E’ il mare che incontro la laguna, il salmastro ma anche l’essenza dell’estate che solo un pomodoro cuore di bue può avere. Rieccomi piccola a correre nell’orto della nonna a sfamarmi di nascosto del rosso di un pomodoro.
Ma torno grande col calice a sentire che forse è il vino più tannico rispetto agli altri. Mi resta del piccante e una punta di liquirizia.

E pure Giorgio Clai pronto con Jacov, una Malvasia del 2011.
Un naso che si perde tra frutta candita, sognando una cassata siciliana, rinvenendo anche dell’anice stellato e del finocchio. Esplode: questo il sapore. Veramente ed efficacemente, un calice che si fa sentire e non per il 13.5%.
Ancora immagini uvetta, foglie di ginepro e l’albicocca secca.
Dopo un po’, passata l’eplosione merge il carattere secco, caldo e sapido. Un sapore lungo, tanto da ascoltare con piacere in abbinamento Fields of Gold di Sting, anche se ti ricorda altre fasi della tua vita.

Infine, una sorpresa del 2008. Un Chardonnay, ma fumè quasi. L’acidità che imperversa.
Ma anche il rock!
Stay hungry, stay orange :)"

L'articolo originale è pubblicato sul blog diRossella Di Bidino al link: http://machetiseimangiato.com/2013/12/quei-vini-arancioni/

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