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Festa del Redentore la terza domenica di luglio

chiesa del redentore a veneziachiesa del redentore a venezia

La festa del Redentore si celebra a Venezia ininterrottamente dal 1577, sempre il terzo sabato di luglio, a ricordo e ringraziamento della fine della peste che aveva ucciso più di un terzo della popolazione nei due anni precedenti. Ogni anno viene montato un ponte di barche addobbate a festa che collega piazza San Marco alla chiesa del Redentore per far passare la processione di fedeli.

ponte votivo redentoreponte votivo redentore

In questo 2020, il tristemente noto anno del Covid-19, la festa si celebrerà  in modalità particolari di sicurezza (in riva solo su prenotazione) assumendo però un significato particolare anche di auspicio di #ripartenza. 

Redentore 2020, festa senza il tradizionale spettacolo pirotecnico. Venerdì 17 luglio apertura del ponte votivo, sabato musica lungo le rive e luminarie, domenica le regate. E' la prima volta che non faranno i fuochi artificiali! 

Ringraziamo Mario Stramazzo che ci racconta la storia della festa:  "La peste che flagellò Venezia dal 1575 al 1577 non fu certo la prima a calarsi come un soffio mortale sulla città dei Dogi e purtroppo non fu neanche quella definitiva pur se le successive ebbero minor crudezza nel falciare le povere vite dei veneziani e dei foresti che furono colti dalla terribile infezione dall’altrettanto terrificante morbo, causato da un batterio veicolato dalle pulci dei topi capace di provocare vere e propri stragi nel breve arco di tempo di qualche settimana. Come successe appunto negli anni  fra il 1575 e il 1577 quando su 180 mila abitanti residenti ne morirono circa 50.000. Il 14 luglio venne decretata la fine della pestilenza dal Gran Consiglio e dal Doge Sebastiano Venier, succeduto ad Alvise Mocenigo che, un anno prima della morte, aveva firmato il decreto per la costruzione di un tempio votivo quale pegno a Cristo Redentore per la sua divina intercessione nel liberare la città d’acqua dal pestilenziale morbo.
La realizzazione della basilica intitolata al Redentore era stata affidata all’architetto per eccellenza, il protoarchitetto della Serenissima Andrea Palladio, che non vide la consacrazione del tempio, ma che fu egregiamente sostituito da Antonio Da Ponte. Da Ponte seguì il progetto palladiano in ogni particolare e fino alla consacrazione della basilica al SS. Redentore e a S. Francesco, il 27 settembre del 1592.

 

Solo 15 anni bastarono per realizzare lo splendido gioiello dell’architettura veneziana che domina l’isola della Giudecca e tutto lo specchio d’acqua percorso dall’omonimo grande canale che separa l’isola dal resto della città e attraverso il quale, ogni terza domenica di luglio, viene steso un ingegnosissimo ponte di barche. Memoria vivida e secolare di quella prima processione votiva del 1577 che fu sancita e perenne memoria. La notte, famosissima, è ricca di scintillanti bagliori per le centinaia di fuochi d’artificio, sparati per il tempo di un’ora o poco meno. L'isola della Giudecca converge idealmente verso un unico punto centrale: una chiesa dalle linee semplici e solenni. L’insieme si innalza su un’ampia scalinata ed è sovrastato dalla grande cupola con due campanili. Semplicità e solennità si fondono anche nell’imponente interno, luminoso, a una sola navata, con l’aula, il presbiterio, la tribuna a colonnato e il coro. Se entrate in questo stupendo tempio disegnato dal Palladio, sopra il portale troverete una scritta che spiega tutto: Christo Redemptori. Civitate gravi pestilentia liberata. Senatus ex Voto.

Il piatto di riferimento

 

saor sardinesaor sardine

Lì dove si affacciano le isole e le piccole pezze di terra delle peninsule strappate all’acqua da secoli di bonifiche e da una rigorosa gestione di una terra liquida e sabbiosa al contempo, che si rivelano ideali per un’orticoltura che ha reso celebri nel mondo ortaggi come i carciofi di Sant'Erasmo, l’aglio orsino di Poveglia e di Vignole, le lattughine del Cavallino, le primizie di Torcello, le bianche e dolci cipolle degli orti di Sottomarina, alle spalle di quell’antica Clodia, oggi nota con il nome di Chioggia Sottomarina.

Una varietà di cipolla che, da elemento indispensabile per combattere lo scorbuto dei marinai durante i lunghi periodi di navigazione, divenne anche ingrediente principe di una delle ricette più note della cucina veneziana. Tanto antica e funzionale da essere anche nobilitata per entrare in gran pompa nel menù delle portate per i festeggiamenti della notte del Redentore. Ovvero Sua Delizia il saôr, letteralmente “sapore” o, per meglio dire, una gustosissima salsa agrodolce usata per condire e conservare le sarde, gli sfogetti ( piccole sogliole) o altre specie ittiche di piccola pezzatura.
Un concentrato di empirica sapienza culinaria che aveva messo insieme l'alto contenuto nutrizionale del pesce, i sali minerali della cipolla, la gustosa ma benefica acidità che fa dell’aceto anche ottimo disinfettante e l’elevata capacità nutritiva dei pinoli, completata dall’alta quantità di corroboranti zuccheri dell’uva sultanina di Corinto o di Smirne (comunque importata dal magico Oriente che ammantava l’uvetta anche di fantastiche proprietà curative). Al punto che, riferiscono antiche storie, il saôr o meglio le sarde in saôr, era diventato il piatto per eccellenza dei tempi della peste ancora prima di far parte dei menù della festa Famosissima. Pare che di questo saôr ne venissero preparate quantità enormi in ogni sestiere per poi essere distribuite ai veneziani - chiusi in casa per evitare il contagio - da inservienti agli ordini dei Provveditori e Sopraprovveditori alla Sanità". Un  delivery ante litteram. Interessante davvero il racconto dell'amico Mario Stramazzo.

Le sardine in saôr vanno preparate un paio di giorni prima di servirle e mangiarle. Ecco per voi la ricetta: Sarde in saôr

 

 

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