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Concept bar secondo Dimitri Waltrisch

L’uomo primitivo non conosceva il bar. Quando la mattina si alzava, nella sua caverna, egli avvertiva un forte desiderio di caffè. Ma il caffè non era ancora stato inventato e l’uomo primitivo aggrottava la fronte. Non c’erano neanche i bar. Gli scapoli, la sera, si trovavano in qualche grotta, si mettevano in semicerchio e si scambiavano botte di clava in testa”. Per dirla con Stefano Benni in Bar Sport, se non ci fosse il bar, bisognerebbe inventarlo.

Di bar e locali pubblici parliamo con Dimitri Waltritsch, architetto di tendenza.

Nato a Gorizia nel 1966, si è formato a Venezia e al Berlage Institute di Amsterdam. Preferisco alla definizione di locale pubblico quella di spazio pubblico, ci spiega Waltritsch, dove si consumano riti che appartengono alla socialità quotidiana, come incontrarsicon gli amici e bere un caffè, ma dove si concede spazio anche alla propria sfera privata. I bar sono i luoghi che forse in maniera più efficace stimolano la curiosità dell’individuo. Sono i setting del comportamento urbano contemporaneo.

Recentemente hai realizzato una serie di concept bar per un nuovo brand, il Qubik caffè…

Partecipare alla creazione di un nuovo brand è senza dubbio eccitante. Probabilmente la dimensione nella quale mi trovo più a mio agio è infatti quella di lavorare con le aziende. Credo infatti che oggi fare architettura significhi funzionalità, idea ed estetica, e gli imprenditori sono forse la categoria più sensibile alla sintesi di questi argomenti. I concept bar realizzati sono due, a Monfalcone nel Kinemax e a Gorizia nel centro culturale KBcenter.

Nella progettazione dei concept bar siamo partiti dall’identificazione di Qubik come Quality boutique caffè, cioè un luogo accogliente, sobrio e contemporaneo, ove si possono degustare, conoscere ed acquistare ottime miscele. Il Qubik di Gorizia è un locale di appena 25m quadrati con doppio ingresso, dalla strada e dalla corte interna, quindi punto di incontro tra utenti di tipo diverso.

Il tema affrontato è quello della dilatazione dell’esiguo spazio disponibile: un lungo bancone in Corian supera i limiti fisici del locale, diventando lanterna espositiva illuminata quando fuoriesce sul lato strada, e angolino fumatori o semplice punto di ritrovo sospeso nel vuoto quando irrompe nella corte interna. Il Qubik di Monfalcone è collocato in un multisala, una struttura simile a un centro commerciale o a un aereoporto. Non ci sono spazi esterni e nemmeno finestre.

Qui abbiamo affrontato in maniera più evoluta non solo il tema dell’accoglienza dei clienti, ma anche della presentazione commerciale del nuovo brand. L’ambiente è caratterizzato da pareti di vetro serigrafato, e anche qui il bancone a sbalzo nel vuoto dell’atrio del Kinemax funge da catalizzatore di persone. Particolare attenzione è stata inoltre rivolta alla presentazione del prodotto, consci che non è solo il packaging che comunica la qualità del contenuto, ma anche la sua valorizzazione nello spazio. La zolletta espositiva luminosa come elemento terminale del bancone che caratterizza anche il bar di Gorizia, viene ripresa e conosce un’evoluzione nella modulazione delle vetrine espositive che emergono e che sono incassate nelle pareti in vetro.

Tu hai avuto una formazione professionale in diversi paesi europei e in Giappone. Come vedi la situazione nella nostra regione?

Credo che negli ultimi 15 anni la cultura enogastronomica in Regione abbia fatto passi da gigante. Si è compreso che combattere sul mercato della quantità era una battaglia persa. La cosa interessante è che non solo si sono valorizzate le tradizioni locali, ma spesso ci si è lanciati in sperimentazioni azzardate e vincenti. Se penso però a progetti recenti di locali, ristoranti e cantine in Catalogna o anche in Alto Adige che, pur marcatamente contemporanei, hanno valorizzato prodotti legati alla tradizione, registro come da noi questa voglia di sperimentare e di raggiungere risultati nuovi nell’enogastronomia ha toccato solo marginalmente la cultura dello spazio legato all’hosting.

Mi aspetto quindi, e mi auguro naturalmente, che ci sia ancora molto da lavorare!

foto Mario Covi

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