Scritto da Fabiana Romanutti il . Pubblicato in Pesce.

Mussoli, che passione!

 

 

MOLLUSCHI

MUSSOLI, CHE PASSIONE!

 

“l’animale di questa conchiglia si attacca ai dirupi, e in particolare alle lor cavità…”

 

Giuliano Orel e Aurelio Zentilin

 

Il Mussolo (Arca noae) Cod. FAO alpha 3 RKQ è un mollusco bivalve edule (commestibile) diffuso in tutto il Mediterraneo, ma pescato soprattutto lungo le coste istriane e dalmate (e apprezzato anche sulle coste italiane dell’Adriatico. Veniva e viene tuttora pescato sui fondi fangosi detritici che si estendono al largo della costa istriana da Punta Grossa a Pola, nel Quarnero, nei canali tra le isole dalmate e al largo della costa friulana nel tratto di mare formato da una lingua di rocce di origine organogena conosciuta, per l’appunto, come “la mussolera”. Il mollusco vive attaccato  al substrato roccioso per mezzo di una struttura  costituita da numerosi filamenti di bisso giustapposti.

I filamenti di bisso formano una sorta di “spoletta” posta a cavallo dei margini distali delle due valve chiuse. Una struttura che abbiamo definito per forma ma soprattutto per il suo utilizzo, anche se con un po’di vergogna per l’indegno paragone, simile alla linguetta di una lattina di bibita. Ecco invece la musicale descrizione sulla “particolarità del peduncolo dell’Arca noae” riportata dall’abate Olivi nella sua Zoologia Adriatica (pag. 116) pubblicata nel lontano 1792: “l’animale di questa conchiglia si attacca ai dirupi, e in particolare alle lor cavità mediante un peduncolo di mezzo pollice di lunghezza sovra tre linee di larghezza di figura romboidale, se non che il lato attaccato al vivente è alquanto maggior dell’opposto. La sostanza verde ed omogenea, della quale è formato cotesto peduncolo, lungi dall’essere setacea è filamentosa, come ordinariamente è quella con cui si attaccano le atre conchiglie, e compatta, quasi solida e stipata; sicchè sembra che il glutine impiegato dall’animale nel formarla sia elaborato diversamente. Aderentissima alle pietre e alle Madrepore, alle quali si attacca, ella abbandona più facilmente, qualora venga strappata, l’animale che l’ha prodotta, che lo scoglio su cui riposa”.

Come si pescano i mussoli

Lo storico strumento di pesca è uno strascico a rete metallica (l’ostregher o la mussolera) il cui bordo superiore è dotato di una pertica che tiene aperta la bocca del sacco, mentre quello inferiore, appesantito da una serie di lastre di piombo, è destinato a scalzare dal fondale di pesca gli agglomerati cui aderiscono i mussoli.

In questi ambienti peculiari per l’Alto Adriatico oltre che Arca noae si trovano anche organismi quali la “sponza” (Microcosmus vulgaris), il “canestrello nero” (Chlamys varia), un particolare “cetriolo di mare” (Cucumaria planci), le “stelle serpentine” (Ophiotrix quinquemaculata, Ophiotrix fragilis).

Curiosità

Insaccati di mussoli

Zone famose per una produzione particolarmente abbondante, erano quelle al largo della costa settentrionale dell’Istria, e quelle tra Salvore e Cittanova. Qui erano particolarmente pescosi i fondali al largo di Punta del Dente, a Sud del Quieto. Zone talmente ricche di mussoli che durante il periodo dell’autarchia, a Salvore e a Umago si tentò addirittura di produrre degli insaccati costituiti dal mollusco cotto e condito con spezie.

 

Gastronomia

Fino alla fine della guerra la maggior parte della produzione andava al consumo diretto, tanto sulle mense familiari quanto su quelle delle osterie più popolari. Il mollusco era, infatti, considerato cibo da poveri. Il metodo di cottura era pressocché unico: dopo un sommario lavaggio, i molluschi erano posti in una larga padella, coperti con un sacco di juta umido e fatti andare a fuoco vivo. Il rilevamento dell’esatto grado di cottura costituiva la parte più delicata dell’operazione. In effetti, una cottura troppo lunga ne determinava una eccessiva disidratazione e un indurimento delle carni, sicché era necessario servire il mollusco non appena i muscoli adduttori collassavano e le due valve si aprivano offrendo un mollusco in cui l’acqua intervalvare era pressocchè tutta raccolta in due sacche che si costituivano tra il mantello (il tessuto del mollusco che produce la conchiglia) e il corpo.

STREET FOOD

Da cibo dei poveri a prelibatezza gourmandise

A Trieste la preparazione dei mussoli era affidata prevalentemente a bancarelle di ambulanti autorizzati cui erano assegnati ben precise postazioni di vendita: nel rione di San Giacomo o Cavana, presso l’Ospedale Maggiore, sulle rive o alla Rotonda del Boschetto. La loro localizzazione coincideva spesso con quella di osterie conosciute per la qualità del loro vino. I molluschi bollenti venivano serviti in numero di cinque o dieci pezzi in ciotoline di legno. Consumata la sua porzione, l’avventore si affrettava ad entrare nell’osteria per l’abbinamento ritenuto più adatto: in genere un bicchiere, anzi un “ottavo” di malvasia. Oggi, con la produzione di mussoli passata da migliaia di tonnellate a decine di tonnellate, quel cibo da poveri è diventato oggetto di culto per pochi buongustai e offerto con comprensibile orgoglio da pochi ristoranti più attenti alle tradizioni locali.

 

Mussolo: simbolo e vanto della cucina triestina e istriana

Cesare Fonda storico e appassionato della cultura enogastronomica locale afferma: “Questi molluschi non solo possono essere considerati in assoluto un piatto tipico triestino, ma forse il più tipico in assoluto. Se esistesse un blasone della cucina nostrana, al centro dovrebbe campeggiarvi un mussolo”. Tipicamente piranese invece la “pasta coi mussoli”: una pasta condita con un ragout di mussoli aperti a vapore, tritati e uniti a un battuto di lardo, con concentrato di pomodoro e sapori. Trattandosi di uno dei piatti istriani di pesca (forse l’unico) in cui un prodotto del mare viene abbinato a un prodotto della zootecnia, esso potrebbe essere assunto a simbolo dell’antica separatezza tra Istria continentale e Istria costiera e dei rapporti che vengono ora invece auspicati tra la costa e i territori all’interno all’insegna dello slogan turistico “castellieri e approdi”.


Sito internet: http://www.laprediletta.it/

SARA ULIANAA tavola si svolge gran parte della nostra vita familaire le cose importanti succedono sempre in cucina  cena di emmaus di Caravaggio alla National gallery di londra la tavola come un teatro che cerca con emozione e la luce la veerità  guardarsi negli occhi attraverso il rito antico e magico del cibo  l’ospitalità sta nel cuore delle cose. Agriturismo e B&B La Prediletta – Motta di Livenza (TV)

Luigi Cattarossi Rosùtis di... Strie(1888)

..îr, sore di un rivâl, in mieç de jarbute
timide e sençe il so zentîl colôr,
hai ciatade une pùare violute
sençe la fuarçe di mandâ il so odôr;
chê viole zentîl jè la stafete
de primevere alegre e benedete.

 

 

 

hiamato finché visse/regnò in quel di Fiandre e di Bramante./Dall'orzo il malto pria di tutto estrasse/ poscia di birra fé l'arte brillante/ tal che li posteri vantasse/ d'aver avuto un Re, Mastro insegnante" (antica ballata popolare tedesca).

La ricetta

Capretto alla birra scura

Ingredienti

per 6 persone: 1/2 capretto, 1 rametto di maggiorana, 1 rametto di prezzemolo,
1 rametto di timo, 3 spicchi d'aglio, 4 pezzi di scalogno, 150 g di burro, paprica,
1 l di birra scura (dunkel tedesca o ale belga), poco Worchester, 1 cucchiaio di miele, 1 dl di olio d'oliva, 2 pezzi di peperoncino, 1 dl di vino bianco, sale e pepe quanto basta

Esecuzione

Sezionare il capretto (spalla, schiena e coscia) tagliando i pezzi in grandezza uguale (questo lavoro può essere fatto dal macellaio). Una volta tagliati i pezzi, in due bacinelle diverse (una per schiena, una per spalla e coscia) mettere a marinare nella birra le carni con tutti gli ingredienti elencati, per circa 2 ore. In forno preriscaldato a 250 gradi, aggiungere dell'olio alla placca e infornare i pezzi di carne di spalla e coscia senza aggiungere la marinata. Cuocere per circa 20-25 minuti girando i pezzi ogni tanto. Infornare infine i pezzi della schiena, anche questi ultimi sgocciolati, e lasciar cuocere il tutto per altri 15-20 minuti. Togliere la carne, metterla in una grande pentola e fare in modo che la salsa si addensi. Questo procedimento chiederà circa 5 minuti.
Unire le erbette aromatiche al burro nocciolino prima di servire. (ricetta suggerita dalla birreria Gambrinus)

 

 

http://www.pasticceriafilippi.it/it/pasqua/100percentoolio/

 

 


De cepis medici non consentire videntur.
Chorericis non esse bonas dicit Galienus.
Phlegmaticis vero multum docet esse salubres.
Praesertim stomacho: pulcrumque creare colorem.
Contritis cepis loca denudata capillis.
Saepe fricans, poteris capitis reparare decorem.

Sull’oprar delle cipolle
disputar sempre si volle.
Da Galien però si scrive
che ai biliosi son nocive;
ma salubri poi ben bene
ai flemmatici le tiene,
specialmente pel ventriglio,
e per dare un bel vermiglio.
Con cipolle spesso i siti
dei capei nudi e sguarniti
stropicciando, ha l’opra loro
reso al capo il suo decoro.

 

BACARI TOUR

Un pomeriggio nella Venezia “sconta” tra cuor leggero e scarpe basse

Una prospota affasdcinantee imperdibile: un tour nella veenzia dei veneziani con la guida

ANNA MARIA PELLEGRINO

 

Si raggiunge Venezia in treno o in autobus di linea (parcheggiano in terra ferma) o in auto (in questo caso programmate un po’ di tempo in più per parcheggiare). Dalla Stazione Santa Lucia, ci si dirige verso la Venezia dei Veneziani, destinazione Rialto, per giungere in zona Pescheria (che purtroppo chiude alle ore 12.00 di tutti i giorni ed è chiusa il lunedì). Perciò il pesce lo si gusta già cotto, grazie ai cicheti dei “Do Mori”, l’osteria più antica di Venezia (data 1462) nonché una delle più affascinanti, un corridorio tra due calli difficilmente localizzabile per chi non è del luogo. Dopo il battesimo con il primo cibo di strada che l’occidente abbia conosciuto (affermazione assolutamente di parte!) ci si dirige verso il famoso “chiosco” di Santa Maria Formosa, situato in un crocevia di calli che vede l’incessante incrociarsi di veneziani più o meno affaccendati. Per sorseggiare uno spritz in formato “normale” per i locali e formato “flebo” per i foresti. Ascoltando i silenzi che le calli e i campielli sconosciuti ai turisti sanno donare, si arriva un altro bacaro storico, “Al Ponte”, attraversando San Zanipolo (nickname che deriva dalla tipica contrattura che i veneziani amano applicare ai santi e ai fanti!). E lì tutti ad ammirare l’ingresso più bello del mondo, se si considera che si tratta di un ospedale civile (visitabile fino all’inizio degli ambulatori e fino alle 21.00 di ogni giorno), trattandosi infatti della Scuola Grande di San Marco, una delle sei scuole devozionali “maggiori” della Serenissima). Sosta per una classica “ombra”, l’unità di misura preferita dal Bacco lagunare, caratterizzata anche dal tipico bicchiere svasato in vetro, che assomiglia (incredibile!) a quello in cui ancor oggi, anche nei Balcani, viene servito il caffè turco.

Tra chiacchiere e foto, dopo aver attraversato il campo dei Miracoli, un vero e proprio gioiello, uno dei primi esempi di arte rinascimentale a Venezia e anche uno dei primi esempi di “costruzione chiavi in mano” perfettamente riusciti, si giunge appunto all’Antica Adelaide, con la sua stanza del latte, quella in cui le donne di Campalto portavano dalla terraferma il latte delle mucche che allevavano e nella quale si riposavano prima di lasciare Venezia per ritornare a casa. Sosta ristoratrice con bigoli al torchio e scampi freschissimi, risotto al nero e crudi marinati con aceti preparati personalmente dal titolare Alvise. Non può mancare una tappa Al Paradiso Perduto, storico locale, situato in fondamenta della Misericordia, che vide concretizzarsi le canzoni dei Pitura Freska tra le quali la mitica “Pin Floi”: “Persi par persi, ‘ndemo a consolarse, ‘ndemo al Paradiso a ‘nbriagarse”. Vi assicuro che toglierete le scarpe alle 3 del mattino con il cuore ricco di saperi e di sapori. E dopo poche ore di sonno già pronti per un nuovo tour alla ricerca delle perle nascoste di Venezia, come quegli Orti Veneziani che sanno donare primizie e bontà apprezzate dai buongustai e diventati presidi SlowFood.

 

 

BACARI TOUR intero

Un pomeriggio nella Venezia “sconta” tra cuor leggero e scarpe basse

 

Si raggiunge Venezia in treno o in autobus di linea (parcheggiano in terra ferma) o in uato, in questo caso programmate un po’ di tempo in più per parcheggiare. Dalla Stazione Santa Lucia, ci si dirige verso la Venezia dei Veneziani, destinazione Rialto, attraverso Capo San Giacomo dell’Orio (nelle vicinanze del Museo di Storia Naturale), Santa Maria Mater Domini, San Cassiano per giungere in zona Pescheria (che purtroppo chiude alle ore 12.00 di tutti i giorni ed è rigorosamente chiusa al lunedì).

Di conseguenza non si acquista il pesce ma lo si gusta già cotto, grazie ai cicheti dei “Do Mori”, l’osteria più antica di Venezia (datata 1462) nonché una delle più affascinanti, un corridorio tra due calli difficilmente localizzabile per chi non è del luogo (e forse non vuole proprio farsi scoprire).

 

Dopo il battesimo con il primo cibo di strada che l’occidente abbia conosciuto (affermazione assolutamente di parte!) un po’ più allegri e sciolti ci si dirige verso il famoso “chiosco” di Santa Maria Formosa, situato in un crocevia di calli che vede l’incessante incrociarsi di veneziani più o meno affaccendati. Il bello è infatti, davanti ad uno spritz in formato “normale” per i locali e formato “flebo” per i foresti, sedersi a uno dei tavolini rigorosamente ed esclusivamente all’aperto, circondati da curiosi piccioni, per osservare l’energia della tipica “Camminata Veneziana” (e vi prego di far attenzione ai polpacci dei locali che avrebbero fatto invidia a Claudio Gentile).

 

Un po’ più sciolti si raggiunge, ascoltando i silenzi che le calli ed i campielli sconosciute ai turisti sanno donare, un altro bacaro storico, “Al Ponte”, attraversando campo San Giovanni e Paolo (alias San Zanipolo, nickname che deriva dalla tipica contrattura che i veneziani amano applicare ai santi e ai fanti!). E lì tutti ad ammirare l’ingresso più bello del mondo, se si considera che si tratta di un ospedale civile (visitabile fino all’inizio degli ambulatori e fino alle 21.00 di ogni giorno), trattandosi infatti della Scuola Grande di San Marco (una delle sei scuole devozionali “maggiori” della Serenissima).

 

“Al Ponte” è un’osteria più recente (be’, con un buon numero di decenni alle spalle) ma anch’essa molto amata ai veneziani che si ritemprano con la classica “ombra”, l’unità di misura preferita dal Bacco lagunare, caratterizzata anche dal tipico bicchiere svasato in vetro, che assomiglia (incredibile!) a quello in cui ancor oggi, anche nei Balcani, viene servito il caffè turco. Ma voi davvero non sapete perché si chiama “ombra”? J

 

Tra chiacchiere e foto la tappa dell’Antica Adelaide arriva in un battibaleno soprattutto se ci si ferma per una visita alla Chiesa dei Miracoli, situata nell’omonimo campo dei Miracoli. Si tratta di un vero e proprio gioiello, uno dei primi esempi di arte rinascimentale a Venezia ed anche uno dei primi esempi di “costruzione chiavi in mano” perfettamente riusciti. Un mercante lombardo, Antonio Amadi, possedeva un quadro, una Madonna con Bambino, ritenuto miracoloso e volle costruirci una chiesa attorno. Si affidò alla scuola di Pietro Lombardo che, assieme ai figli Antonio e Tullio, dal 1481 al 1489 diede vita al progetto, alla costruzione ed alla decorazione di questo autentico capolavoro.

E così con il cuore carico di decorazioni marmoree che sembrava cesellate da Benvenuto Cellini in persona si giunge appunto all’Antica Adelaide, osteria riaperta da Alvise e riportata al suo splendore caratteristico dopo anni di incuria. Si tratta di una delle osterie veneziane più cariche di storia, con la sua stanza del latte, quella in cui le donne di Campalto portavano dalla terraferma il latte delle mucche che allevavano e nella quale si riposavano prima di lasciare Venezia per ritornare a Campalto, via mare. Allora il Ponte della Libertà non era ancora stato costruito!

Da provare i bigoli al torchio con scampi freschissimi, il risotto al nero e i crudi marinati con aceti preparati personalmente da Alvise.

 

Dall’Antica Adelaide al punto di partenza il tratto più breve è la Strada Nuova, che viene normalmente percorsa dai turisti… che sarebbe meglio non percorrere, preferendo il tragitto che attraversa il Ghetto (Nuovo e Vecchio), per giungere Al Paradiso Perduto, storico locale, situato in fondamenta della Misericordia, che vide concretizzarsi le canzoni dei Pitura Freska tra le quali la mitica “Pin Floi”, dedicata appunto al concerto-disatro che i Pink Floyd tennero in laguna nel 1985. Ricordate le parole? “Persi par persi, ndemo a consolarse, ndemo al Paradiso a inbriagarse”.

 

Vi assicuro che toglierete le scarpe alle 3 del mattino con il cuore ricco di saperi e di sapori. E dopo poche ore di sonno già pronti per un nuovo tour alla ricerca delle perle nascoste di Venezia, come quegli Orti Veneziani che sanno donare primizie e bontà apprezzate dai buongustai e diventati presidi SlowFood.

 

Anna Maria Pellegrino

 

 

 

 

ASINI

 

Dal 22 al 27 aprile si svolge alla fortezza di Santa Margherita in comune di Moruzzo il corso di formazione di primo livello in attività di mediazione con l’asino (onoterapia). Info: Tel 377 1678219 www.amiciditoto.fvg

 

 

gent.ma Fabiana, ti mandoquello che mi hanno passato dal cantinone. prova avedere se sono informazioni che ti possono andar bene..ma poi il pezzo lo scrivi tu o lo faccio io? x le foto te le mando domattina, ieri la macchina si è inceppata.. a presto.. Mauro

 

 

2) DESCRIZIONE DEL PROGETTO

 

Mission

L'obiettivo dei quattro soci è quello di ricreare l'ambiente della vecchia osteria friulana in una antica cantina con la volta in mattoni. In questo luogo confortevole, nel quale è possibile poter degustare dei vini e delle veloci pietanze di qualità ad un prezzo “onesto”, si vuol creare l'atmosfera per accogliere degli ospiti, più che dei clienti.

Il mix di prodotti offerti parte da un vino da “primo prezzo” fino ad arrivare alla bottiglia d'annata. Al primo viene abbinato uno spuntino veloce. Per gli altri si propone l'abbinamento ad un determinato formaggio, piuttosto che salumi o altro.

L'offerta è innovativa nella sua semplicità. Chi normalmente frequenta questo genere di locali non è quasi mai da solo. Avremo quindi il listino “classico” e quello con l'offerta per due o più commensali, tutto compreso.

 

Il locale

Al piano terra di un palazzo in stile barocco quattro-cinquecentesco, al di fuori della cinta murata, nel cuore del centro storico della medievale Valvasone, in provincia di Pordenone, assoggettato ai vincoli dalla Soprintendenza dei Beni Culturali del Friuli Venezia Giulia, si trova la vecchia cantina, o meglio, come chiamata dalla proprietà, il Cantinone.

Si accede da Via San Pietro, difronte all'omonima chiesetta. Sotto un porticato che costeggia l'intera via, scendendo un paio di scalini si entra in un ambiente contraddistinto da una splendida volta in mattoni. Il pavimento in palladiana valorizza l'aspetto architettonico. L'arredamento è molto semplice: piccoli tavoli in arte povera, sedie di legno impagliate, un lungo bancone su cui troneggia una splendida e rossa Berlkey. La luce del neon che, a vela, illumina i mattoni fatti a mano e i piccoli abat-jour sui tavolini creano un'atmosfera magica. Un sottofondo musicale jazz dà quella sorta di calore che avvolge l'ospite e lo fa sentire a casa propria. Alcune mensole con dei libri di cucina, altri trattanti la lavorazione del vino e della birra danno quel tocco “culturale” all'ambiente, ma senza appesantirlo. I grandi calici di cristallo per la degustazione dei rossi in barrique, i flut e le coppe, attraggono l'attenzione del visitatore.

 

Prodotti offerti

Prima di analizzare nel dettaglio il prodotto tangibile, si vuole porre l'attenzione sull'aggregato complesso contraddistinto anche dagli attributi intangibili e sul suo valore d'uso e simbolico.

Si pensi all'aria che si respira entrando a Valvasone e all'atmosfera che avvolge l'ospite che scende i due scalini per entrare nel vecchio locale, nella vecchia cantina.

Parafrasando il Rulliani (2004) “il valore di un prodotto è sempre meno legato alle sue qualità materiali ... e dipende sempre più dal significato (simbolico, emotivo, identitario o altro) che il consumatore attribuisce all'oggetto acquistato”.

Analizziamo ora i prodotti che vengono divisi in due macro aree: da una parte vini e birre, dall'altro, più in generale, il settore alimentare.

Prima macro area: categoria vini e birre.

Nella primaria categoria dei vini, troviamo due sotto categorie: i rossi e i bianchi. A loro volta i vini rossi faranno parte della sottospecie “giovani” o “da invecchiamento”. I vini bianchi si distinguono tra “fermi” e “frizzanti”.

Si offre un vino definito da “primo prezzo” con le seguenti caratteristiche: alla spina, un €uro al calice, proposto anche in caraffa da quarto, mezzo o da litro. La selezione di vini elenca una scelta fino ad arrivare a bottiglie di valore elevato. Importante è il giusto mix tra le varie categorie e sottospecie. Tutte hanno un occhio di riguardo per gli abbinamenti con i prodotti della seconda macro area, quella alimentare.

La categoria birre, di secondaria importanza, evidenzia la birra chiara, alla spina e un mix di altre selezioni in bottiglia. Questa categoria mira a coprire le richieste di quei pochi ospiti che, entrando in un'enoteca, chiedono una birra.

 

Seconda macro area: alimentare.

Anch'essa viene scissa in due categorie: piatti freddi e caldi caldi.

Qui viene data primaria importanza alla categoria dei piatti freddi.

Quelli che in francese vengono generalmente definiti come “charcuterie” costituiscono la base dell'offerta alimentare dell'ambiente. Questa è costituita da prodotti tipici locali, quali il prosciutto di San Daniele, di Sauris e i salami nostrani. Attraverso la collaborazione con aziende agricole locali si propone un prodotto proveniente direttamente dall'allevamento e dalla successiva diretta lavorazione, riuscendo a curare una sorta di filiera locale.

Il valore aggiunto della “charcuterie” è costituito dalla rotazione, settimanale piuttosto che mensile, dei prodotti provenienti da altre regioni d'Italia e anche dall'estero.

Viene proposta la serata a tema del “jamon serrano”, prosciutto tipico spagnolo, oppure quella dello “speck tirolese”, fino ad arrivare al “foie gras” francese.

I piatti fretti vengono serviti su un tagliere di legno.

Il piatto base è costituito dal “monoprodotto”, venduto a peso, ovvero: prosciutto, salame, speck, formaggi, ecc..

A ciò si aggiungano quattro piatti: Friulano, Austriaco, Marchigiano e Calabrese composti da un mix di prodotto tipici della zona di riferimento, ciascuno del peso non superiore a 150 grammi e con un prezzo di vendita indicativo dai 5 ai 7 Euro.

Categoria dei piatti caldi.

Viene creato uno standard di offerta che ha come punto di riferimento la porzione di frico da servire velocemente, caldo, magari trattato al pari dello stuzzichino abbinato al vino rosso precedentemente individuato.

Alternativa a questo piatto caldo potrà essere un primo di lasagne – ad esempio -, possibilmente già preparato, da servire riscaldato.

Sempre valida la pasta con due proposte di sugo: pomodoro e ragù, con l'eventuale variante di stagione: funghi piuttosto che verdure, ecc..

In ogni caso la gamma e la preparazione del listino viene rimandata ad una valutazione più appropriata, sviluppata compatibilmente alle caratteristiche d

 

 

 

Come veniva fatto il formaggio.

Il latte della sera veniva messo in appositi contenitori dalla capienza di circa 50 litri, ed al mattino come primo lavoro si faceva la ( spanatura ) cioè veniva tolta la panna che dopo un’ulteriore lavorazione diventava burro, nel frattempo i soci contadini portavano il latte del mattino, che veniva semplicemente aggiunto all’altro nella (Caldera ).

 

Si accendeva il fuoco negli anni addietro erano gli stessi contadini che portavano le fascine per la cottura del formaggio,poi alla venuta dei bruciatori il compito divenne meno gravoso, ed anche più gestibile visto che il fuoco non doveva essere sempre troppo alto.

Bisognava portare il latte alla temperatura di 35 / 36 gradi, quindi si aggiungeva il Caglio che serviva per far rapprendere il latte, già diversi anni fa oltre al caglio naturale ( fatto con il quarto stomaco dei vitelli “ abomaso” ) si usava anche il caglio vegetale ed il caglio chimico, comunque non è facile stabilire se il caglio è naturale o chimico, sono pochissime le aziende che certificano l’uso di quale caglio adoperano, visto che lo si trova anche liquido. Una volta alcuni contadini che macellavano in proprio ( rea consuetudine ) si tenevano la parte di stomaco del vitello o della capra proprio per farsi il caglio da soli.

 

Dicevamo che ad un certo punto il latte faceva i grumi ( la cagliata ) si spegneva il fuoco, e si lasciava depositare la cagliata, poi veniva tolto il 50% di siero se non altro per una maggior lavorazione,  e con un  apposito strumento detto Lira si passava al taglio o sminuzzamento della cagliata rendendo il tutto a granelli come il frumento questo taglio dava la lavorazione perfetta per la varietà Montasio, e come già accennato era il socio che avvertiva il casaro se poteva fargli una lavorazione più o meno molla, e così si tagliava un po di meno la cagliata. Quindi si riaccendeva il fuoco e sempre mescolando per evitare attaccature si portava la temperatura a 42 / 45 gradi quindi veniva fatta una prova manuale

Stringendo un po di cagliata nella mano a pugno chiuso, da li il casaro capiva con precisione se era pronto o meno , quindi si spegneva il fuoco ( al tempo delle fascine era d’obbligo gettare anche dell’acqua altrimenti le braci accese rovinavano la cottura ) e si cominciava a togliere la cagliata, tagliandola con una lama dove era avvolta una tela e si creava una palla, che poi veniva messa negli stampi, diciamo che con la loro grande esperienza il peso di ogni forma sballava di pochi etti. I primi stampi naturalmente erano fatti di legno, ma visto che con l’uso quotidiano si deterioravano spesso, vennero scambiati con quelli in alluminio, chiaramente in questi stampi venivano adagiate le palle di cagliata e venivano pressate , per poter ottenere la forma classica del Montasio, nell’arco della giornata venivano spesso girate, ed al ricevimento del latte serale nell’ultimo giro venivano messi all’interno degli stampi le targhe con il nome del paese e la data, per un sicuro riconoscimento delle stesse. nello stesso momento venivano tolte (  lis  strissulis )  erano quei pezzetti che fuoriuscivano dalla pressatura.

 

Un momento importante era anche quello del mattino quando le forme venivano tolte dagli stampi e messe nella salamoia, le salamoia erano due  naturalmente dovevano lasciare lo spazio per le nuove forme, e dopo 36 ore venivano tolte le prime,ecco il cosi detto lavoro a catena  qui , si passava anche ad un ulteriore salatura esterna,come si sa il sale è un ottimo conservante, ma ciò che più interessava era l’impedimento di modo che le mosche non potessero deporre uova o feci, in questo caso il formaggio era lasciato ad alto rischio larve, vermi ecc. ecc. c’era comunque chi richiedeva una salatura maggiore senz’altro in quelle famiglie si mangiava tutto molto saporito.

Naturalmente ho chiesto a Secondo me quanti tipi di lavorazione Montasio facevi? E lui mi mi risponde.

 

La lavorazione Montasio è una sola con delle caratteristiche precise, e qui  ritorna sempre l’intervento dei vari soci, qualcuno pretendeva di lasciare dentro tutta la panna, altri lo volevano più morbido e cosi via, si sappia che se troppo morbido non era il caso di invecchiarlo,era sempre il Casaro che poi accontentava i soci, visto che il formaggio se lo vendevano da soli ( spesso ). Certo è che in quei periodi con la memoria di Secondo “ Tirava “  il formaggio stagionato ed era quello più apprezzato almeno nella lavorazione Montasio.

 

E ascoltando il Casaro si capisce il perché ogni tanto c’erano delle forme di formaggio che si “ sollevavano” e si inacidivano, sapessi mi dice che battaglie ho fatto se non altro per far capire ai soci l’importanza del fattore igienico ( tu non sai che cosa mi portavano )e purtroppo era impossibile fare un controllo totale con oltre 200 soci “sarei ancora li” l’unico strumento che avevo si chiamava Sudiciometro era composto da una striscia di tela a mo di sacca dove versavo un tot di latte da controllare ed in fondo alla sacca rimanevano le impurità, e da li potevo giudicare e dovevo essere severo, se non altro per la riuscita della cotta del formaggio ma anche perche tutti imparassero la lezione.

 

A questo punto gli chiedo, hai per caso qualche aneddoto vista la tua lunga carriera?. Ma guarda una cosa che non era un aneddoto ma ricorrente, forse anche per le ore da passare insieme  era il vociare di qualunque cosa bella o brutta che sia, naturalmente cercavo se possibile di non intervenire visto che poi si allungava la lavorazione,però visto che mi conosci io di solito buttavo tutto in “stajare” come dire sullo scherzoso.

Adesso ti racconto due aneddoti tutti due successi prima di avere il lavoro fisso a Variano, mi ricordo una volta andai a lavorare a Laipacco il Casaro del luogo era andato in ferie, ti dirò in quegli anni le strutture non erano proprio ben messe, e si doveva fare attenzione un po a tutto in questo caso avevano le salamoie in uno scantinato con una scala ripida, dunque stavo portando giù le forme a braccio con la fatica e l’attenzione che ti ho detto,quando una donna mi chiamò e mi disse sa Casaro l’ultima cotta che ho portato a casa, abbiamo venduto tutte le forme meno due che erano per noi, sa mi disse una molto buona e l’altra ben cattiva, ( ti faccio presente che è fisiologico, come vai in un posto nuovo a lavorare ci sarà sempre qualcuno che dirà o bene o male degli altri Casari )

Ed io a mente mi dissi eccola qua che è arrivata, e con la mia flemma scherzosa comincio.

 

PENSO ALLA MANIERA FRIULANA

Secondo    ( par cas cognoseiso Vigi Gjmul di Feagne ?

la donna     no no lu cognos

Secondo     pobèn ancje lui al veve doi gjmui in cjase un lu a clamaat Oreste e un Gjuàn

la donna    e alore?

Secondo stait a sintì Oreste al jere trist come la peste, e Gjuàn al jere bon come el pan, e a vignivin fur ducju    doi di che stesse cjalderie .

 

ED ALLA MANIERA ITALIANA

Secondo ;( per caso conoscete Luigi gemello di Fagana?

La donna ;no non lo conosco

Secondo, ebbene anche lui aveva in casa due gemelli, uno lo ha chiamato Oreste ed uno Giovanni

La donna; ed allora?

Secondo; state a sentire, Oreste era cattivo come la peste, e Giovanni era buono come il pane, e comunque venivano fuori tutti e due dalla stessa Caldera.

 

Da qui già mi immagino il secondo aneddoto, vi dirò che conoscendolo di persona in tutti gli anni in cui io avevo una attività a Variano di Basiliano, gestivo una pizzeria trattoria con dei ricordi molto belli sia da parte mia che da tutti gli amici che trovo ogni tanto.

 

Il secondo aneddoto;

Una volta  una donna mi si avvicina e come sempre mi sento dire;

La donna;    Mi scusi Casaro

Secondo ;    si mi dica

La donna;    sa ho alcune forme dell’ultima “cotta” che si sollevano

Secondo:    quando sono state fatte?

La donna   : il giorno dell’Assenza

Secondo:    ha e normale

La donna:    come mai?

Secondo:   vedete il giorno dell’Assenza, nostro Signore dalla terra si è sollevato fino in cielo e pesava sicuramente più di cinque chili.

La donna: e con ciò?

Secondo : bè  permetterete che se nostro Signore e salito così in alto, la forma che pesa solo 5 chili possa sollevarsi di appena un centimetro.

Il burro:

Sul fatto del burro, non ci sono grandi cose,veniva poco usato da crudo per il fatto che non c’era la possibilità di conservarlo, veniva cotto (  detto ont ) da solo ed usato con parsimonia, almeno dalle famiglie meno povere altrimenti veniva tagliato sempre nella cottura o con il grasso delle oche oppure con il grasso del maiale, ma era preferibile cucinarlo da solo e farne una mistura con gli altri grassi nel momento che veniva usato nelle varie pietanze.  E  sempre sulle parole di Secondo , vedi mi dice:  quando si cominciò a credere che il burro fosse troppo grasso, specialmente con le nuove diete moderne l’uso venne fatto sempre in maniera minore. Oggi con le tecnologie moderne sappiamo che non è cosi, difatti olio, burro o margarina si può dire che hanno la stessa quantità di grasso e di calorie.

 

 

Ancora Bari: sgagliozze e popizze

Damiano ce ne aveva parlato. «Le trovi negli angiporti di Barivecchia. Anziane donne te le offrono da finestre e portoni. Sono roventi e cosparse di sale. Provocano immediate ustioni al palato, cauterizzate nel dolore dai cristalli di cloruro di sodio. Addentarle per la prima volta è un rito d’iniziazione». Toni Fiore, autore della focaccia raccontata nel post precedente, ci aveva raccomandato quelle della signora Maria, che apre i battenti della sua friggitoria in strada del Carmine alle cinque di pomeriggio.

Più o meno a quell’ora eravamo di nuovo a Barivecchia, pronti a sacrificare lo strato epiteliale del palato pur di compiere la cerimonia. Lasciataci alle spalle la Basilica di San Nicola, ormai in vista dell’ingresso laterale sinistro della Cattedrale – altra stupenda chiesa medievale tutta bianca con cripta a sorpresa, perché inopinatamente vi fa entrare in un’altra epoca, quella del trionfo cromatico – sentiamo un profumo di fritto provenire dalla nostra destra. Niente insegna, soltanto un affaccio sulla strada, una finestra senza vetro.

Sbirciamo all’interno. Il locale è ingombro di tavoli e pentoloni ribollenti. A far compagnia alla signora Maria ci sono diversi familiari e forse amici, che chiacchierano tra loro mentre lavorano. Chiedo alla signora una sgagliozza e una popizza. «Impossibile. Il minimo è sette». Caspita, sette. Con quanto abbiamo già mangiato… E quanto costano? «Un euro sette sgagliozze, un euro sette popizze». Allora si può fare.

Con questo gelo ci stanno proprio bene. Le sgagliozze sono fette quadrangolari di polenta gialla (chi è l’ingenuo che crede sia solo un prodotto nordico?) e le popizze frittelline sferiche di farina bianca. «Nelle prime metto solo polenta e acqua. Nelle altre farina, lievito, un po’ di zucchero, olio e sale. Il segreto è cambiare spesso l’olio di frittura, che è un olio di semi» ci dice la signora.

È giunto il momento. Puoi essere preparato quanto vuoi tu, ma non la scampi. Superato l’impatto ustionante, ammetto che mi sono piaciute molto, soprattutto le sgagliozze, delle quali non è rimasta neanche una, grazie al contributo di mia moglie. Oltretutto tenere in mano col freddo un sacchetto bollente è una bella sensazione. Adesso, però, devo confessarlo. Le conoscevo già, nella loro versione maschile partenopea: gli scagliuozzi. Sono in pochi, però, a proporli ancora a Napoli. Bari, a quanto pare, ama più del capoluogo campano le sue tradizioni.

 

Correzioni pag 48 seconda colonna

Sommarietto pag 48

Il Numero di Lotto e il Codice a Barre aiutano nella “rintracciabilità nella filiera”, il percorso

a ritroso dei passaggi che il prodotto subisce

 

. Il numero di identificazione del

lotto può essere utile ed esempio, per l'individuazione delle partite di prodotto non conformi, da ritirare dal

commercio.

Il Numero di Lotto è leggibile sulla confezione in forma di numero a più cifre o in forma alfanumerica ed è

preceduto dalla lettera "L". I prodotti che sono contraddistinti dal medesimo numero di lotto possiedono le

stesse caratteristiche.

PELLICOLA FLESSIBILE

Protezione degli alimenti confezionati

Lo studio dell’udinese Matteo Gumiero è l’unico fra i progetti italiani di  Ingegneria e Tecnologia alimentare selezionati per il meetic scientifico svoltosi recentemente a Singen, in Germania. Le ricerche di Gumiero vertono su un’innovativa pellicola flessibile che estende la vita commerciale degli alimenti confezionati. Trattasi di film costituiti da minerali inorganici aggiunti a una matrice plastica.

 

La gita che avete sempre desiderato fare! q.b quanto basta organizza per i suoi lettori un tour dei bacari con guida, per il giorno sabato 21 aprile. Quello che avete letto qui sopra è solo un trailer di tutte le cose fantastiche e gustose che Anna Maria Pellegrino ci farà scoprire. Costo 65.00 euro, comprensivo di bacari, ristorante (2 primi, dolce, acqua e vino biologico) e giro guidato. Prenotazione obbligatoria: info@qbfvg.

Pag 62

 

Collaboratori per favore mettili in colonna uno per riga

Hanno collaborato a questo numero:

Tiziana Baita: contitolare Enologica Friulana

 

Tatjana Butul Slow Food Slovenia

 

Arianna Buzzioloblogger, blog Con le Mani nel sacher

 

Luigi Caricato oleologo

 

Claudia Deb cake designer e food writer

 

Savio Del Bianco collaboratore Slow Wine FVG

 

Giorgio Dri curatore per il FVG di Osterie d’Italia

 

Luca Fantoni cavaliere della birra belga

Ennio Furlan Chef Cocorum ed esperto di erbe

 

Marta Omero consulente marketing

 

Maria Cristina Novello blogger blog Udine la mia città e nonna Pina

 

Giuliano Orel biologo marino

Anna Maria Pellegrino blogger blog lacucina di qb

 

Micol Pisa titolare Scuola di cucina Mestoli e Padelle

Max Plett presidente regionale Slow Food

 

Germano Pontoni presidente Unione Cuochi FVG

 

Savioli Liliana  sommelier _

 

Sara Uliana mamma blogger

Aurelio Zentilin biologo marino

Si ringraziano per le foto:

Aurelio Zentilin (pag 28,29,30)

Ennio Furlan (pag 36,37)

Mitja Butul (pag 38,39)

 

 

 

Nel cuore di una città tra fiume, orti e parchi, è stato il progetto vincitore del 1°Festival dei Giardini organizzato a Pordenone per Ortogiardino. Il team composto dagli architetti Sara Casarini, Silvia De Anna, Gianluca Sanguigni e dall'agronoma Chiara Filippetto si è ispirato agli elementi caratteristici della città storica di Pordenone e del suo territorio, con il paesaggio del Noncello e al centro, come una stanza segreta, la città coi suoi edifici, le piazze, le mura.

Giochiamo a vivere una favola?

Il 18 marzo 2012 riapre il Parco delle Fiabe del Castello di Gropparello (PC): ricominciano le avventure, le attività e il divertimento del primo parco emotivo d’Italia

Al grido di “Caricaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!” comincia il 18 marzo 2012 una nuova stagione tutta dedicata ai bimbi e ai sogni ad occhi aperti. Riapre il Parco delle Fiabe del Castello di Gropparello, in provincia di Piacenza, il primo parco emotivo d’Italia. I bambini imparano divertendosi e non c’è niente di più coinvolgente di un’avventura vissuta sulla propria pelle. Così è nata quest’oasi dedicata allo stupore, alla scoperta di meraviglie magiche, alla storia che sa di fiaba e al puro godimento infantile, che coinvolge anche gli adulti. Riaprono i battenti per la gioia di tutti coloro che amano perdersi nei labirinti della fantasia divenuta realtà. Gli intenti che hanno portato alla creazione della struttura sono gli stessi che sorreggono tutte le altre attività didattiche del Castello: il desiderio di far raggiungere al bambino un buon equilibrio, di farlo socializzare, di favorirne la creatività, l’autostima e l’autonomia, di spingerlo a credere in quello che sogna, e di fargli superare le paure in cui, naturalmente, inciampa. E prima di tutto la volontà di farlo divertire moltissimo.

Lo scenario naturale in cui è immersa la struttura è composto di rocce millenarie e alberi secolari. Il bosco è l’habitat che accoglie i giovani avventurieri. Nel bosco ci si perde, si fanno scoperte mirabolanti, animali e persone si tramutano in personaggi veri o inventati. I piccoli, una volta entrati nella magia del parco, indossano cappa e spada e, accompagnati dal Cavaliere Bianco, rivivono l’entusiasmo delle scorribande medievali, combattendo contro gli esseri nascosti negli scuri anfratti della vegetazione: orchi e streghe.  Ad assisterli e a vegliare su di loro ci sono gli altri abitanti del bosco: Fate, Folletti, Elfi, Druidi e poi l’Uomo Albero e l’Uomo Animale. Tutto prende corpo, con la felicità e la leggerezza dei sogni ad occhi aperti, dissolvendo i timori nelle risate e nello stupore che procurano le storie mozzafiato.

La cultura, la meraviglia e il gioco si mescolano in una miscela esplosiva e liberatoria, così come accade con altre esperienze che si possono provare qui a Gropparello: le visite guidate, la sceneggiatura e drammatizzazione della vicenda di Rosania Fulgosio, la giornata Fantasy o l’Assalto al Castello, nel corso del quale i pargoli vengono divisi in un gruppo di assalitori e in uno di difensori e provano il brivido impensabile di tentare la presa del maniero.

Il Parco delle Fiabe è aperto dal 18 marzo al 18 novembre, tutte le domeniche e giorni festivi dalle 10 alle 17, 30 (15 con l’orario solare). Negli altri giorni solo su prenotazione, concordando la data con la segreteria.

 

Per scaricare immagini in alta definizione:

Per informazioni: Castello di Gropparello

Via Roma 84, 20025 – Gropparello (PC)

Tel. 0523.855814

e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

sito web: www.castellodigropparello.it

www.castellodigropparello.com

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MOLLUSCHI

MUSSOLI, CHE PASSIONE!

 

“l’animale di questa conchiglia si attacca ai dirupi, e in particolare alle lor cavità…”

 

Giuliano Orel e Aurelio Zentilin

 

Il Mussolo (Arca noae) Cod. FAO alpha 3 RKQ è un mollusco bivalve edule (commestibile) diffuso in tutto il Mediterraneo, ma pescato soprattutto lungo le coste istriane e dalmate (e apprezzato anche sulle coste italiane dell’Adriatico. Veniva e viene tuttora pescato sui fondi fangosi detritici che si estendono al largo della costa istriana da Punta Grossa a Pola, nel Quarnero, nei canali tra le isole dalmate e al largo della costa friulana nel tratto di mare formato da una lingua di rocce di origine organogena conosciuta, per l’appunto, come “la mussolera”. Il mollusco vive attaccato  al substrato roccioso per mezzo di una struttura  costituita da numerosi filamenti di bisso giustapposti.

I filamenti di bisso formano una sorta di “spoletta” posta a cavallo dei margini distali delle due valve chiuse. Una struttura che abbiamo definito per forma ma soprattutto per il suo utilizzo, anche se con un po’di vergogna per l’indegno paragone, simile alla linguetta di una lattina di bibita. Ecco invece la musicale descrizione sulla “particolarità del peduncolo dell’Arca noae” riportata dall’abate Olivi nella sua Zoologia Adriatica (pag. 116) pubblicata nel lontano 1792: “l’animale di questa conchiglia si attacca ai dirupi, e in particolare alle lor cavità mediante un peduncolo di mezzo pollice di lunghezza sovra tre linee di larghezza di figura romboidale, se non che il lato attaccato al vivente è alquanto maggior dell’opposto. La sostanza verde ed omogenea, della quale è formato cotesto peduncolo, lungi dall’essere setacea è filamentosa, come ordinariamente è quella con cui si attaccano le atre conchiglie, e compatta, quasi solida e stipata; sicchè sembra che il glutine impiegato dall’animale nel formarla sia elaborato diversamente. Aderentissima alle pietre e alle Madrepore, alle quali si attacca, ella abbandona più facilmente, qualora venga strappata, l’animale che l’ha prodotta, che lo scoglio su cui riposa”.

Come si pescano i mussoli

Lo storico strumento di pesca è uno strascico a rete metallica (l’ostregher o la mussolera) il cui bordo superiore è dotato di una pertica che tiene aperta la bocca del sacco, mentre quello inferiore, appesantito da una serie di lastre di piombo, è destinato a scalzare dal fondale di pesca gli agglomerati cui aderiscono i mussoli.

In questi ambienti peculiari per l’Alto Adriatico oltre che Arca noae si trovano anche organismi quali la “sponza” (Microcosmus vulgaris), il “canestrello nero” (Chlamys varia), un particolare “cetriolo di mare” (Cucumaria planci), le “stelle serpentine” (Ophiotrix quinquemaculata, Ophiotrix fragilis).

Curiosità

Insaccati di mussoli

Zone famose per una produzione particolarmente abbondante, erano quelle al largo della costa settentrionale dell’Istria, e quelle tra Salvore e Cittanova. Qui erano particolarmente pescosi i fondali al largo di Punta del Dente, a Sud del Quieto. Zone talmente ricche di mussoli che durante il periodo dell’autarchia, a Salvore e a Umago si tentò addirittura di produrre degli insaccati costituiti dal mollusco cotto e condito con spezie.

 

Gastronomia

Fino alla fine della guerra la maggior parte della produzione andava al consumo diretto, tanto sulle mense familiari quanto su quelle delle osterie più popolari. Il mollusco era, infatti, considerato cibo da poveri. Il metodo di cottura era pressocché unico: dopo un sommario lavaggio, i molluschi erano posti in una larga padella, coperti con un sacco di juta umido e fatti andare a fuoco vivo. Il rilevamento dell’esatto grado di cottura costituiva la parte più delicata dell’operazione. In effetti, una cottura troppo lunga ne determinava una eccessiva disidratazione e un indurimento delle carni, sicché era necessario servire il mollusco non appena i muscoli adduttori collassavano e le due valve si aprivano offrendo un mollusco in cui l’acqua intervalvare era pressocchè tutta raccolta in due sacche che si costituivano tra il mantello (il tessuto del mollusco che produce la conchiglia) e il corpo.

STREET FOOD

Da cibo dei poveri a prelibatezza gourmandise

A Trieste la preparazione dei mussoli era affidata prevalentemente a bancarelle di ambulanti autorizzati cui erano assegnati ben precise postazioni di vendita: nel rione di San Giacomo o Cavana, presso l’Ospedale Maggiore, sulle rive o alla Rotonda del Boschetto. La loro localizzazione coincideva spesso con quella di osterie conosciute per la qualità del loro vino. I molluschi bollenti venivano serviti in numero di cinque o dieci pezzi in ciotoline di legno. Consumata la sua porzione, l’avventore si affrettava ad entrare nell’osteria per l’abbinamento ritenuto più adatto: in genere un bicchiere, anzi un “ottavo” di malvasia. Oggi, con la produzione di mussoli passata da migliaia di tonnellate a decine di tonnellate, quel cibo da poveri è diventato oggetto di culto per pochi buongustai e offerto con comprensibile orgoglio da pochi ristoranti più attenti alle tradizioni locali.

 

Mussolo: simbolo e vanto della cucina triestina e istriana

Cesare Fonda storico e appassionato della cultura enogastronomica locale afferma: “Questi molluschi non solo possono essere considerati in assoluto un piatto tipico triestino, ma forse il più tipico in assoluto. Se esistesse un blasone della cucina nostrana, al centro dovrebbe campeggiarvi un mussolo”. Tipicamente piranese invece la “pasta coi mussoli”: una pasta condita con un ragout di mussoli aperti a vapore, tritati e uniti a un battuto di lardo, con concentrato di pomodoro e sapori. Trattandosi di uno dei piatti istriani di pesca (forse l’unico) in cui un prodotto del mare viene abbinato a un prodotto della zootecnia, esso potrebbe essere assunto a simbolo dell’antica separatezza tra Istria continentale e Istria costiera e dei rapporti che vengono ora invece auspicati tra la costa e i territori all’interno all’insegna dello slogan turistico “castellieri e approdi”.


Sito internet: http://www.laprediletta.it/

SARA ULIANAA tavola si svolge gran parte della nostra vita familaire le cose importanti succedono sempre in cucina  cena di emmaus di Caravaggio alla National gallery di londra la tavola come un teatro che cerca con emozione e la luce la veerità  guardarsi negli occhi attraverso il rito antico e magico del cibo  l’ospitalità sta nel cuore delle cose. Agriturismo e B&B La Prediletta – Motta di Livenza (TV)

Luigi Cattarossi Rosùtis di... Strie(1888)

..îr, sore di un rivâl, in mieç de jarbute
timide e sençe il so zentîl colôr,
hai ciatade une pùare violute
sençe la fuarçe di mandâ il so odôr;
chê viole zentîl jè la stafete
de primevere alegre e benedete.

 

 

 

hiamato finché visse/regnò in quel di Fiandre e di Bramante./Dall'orzo il malto pria di tutto estrasse/ poscia di birra fé l'arte brillante/ tal che li posteri vantasse/ d'aver avuto un Re, Mastro insegnante" (antica ballata popolare tedesca).

La ricetta

Capretto alla birra scura

Ingredienti

per 6 persone: 1/2 capretto, 1 rametto di maggiorana, 1 rametto di prezzemolo,
1 rametto di timo, 3 spicchi d'aglio, 4 pezzi di scalogno, 150 g di burro, paprica,
1 l di birra scura (dunkel tedesca o ale belga), poco Worchester, 1 cucchiaio di miele, 1 dl di olio d'oliva, 2 pezzi di peperoncino, 1 dl di vino bianco, sale e pepe quanto basta

Esecuzione

Sezionare il capretto (spalla, schiena e coscia) tagliando i pezzi in grandezza uguale (questo lavoro può essere fatto dal macellaio). Una volta tagliati i pezzi, in due bacinelle diverse (una per schiena, una per spalla e coscia) mettere a marinare nella birra le carni con tutti gli ingredienti elencati, per circa 2 ore. In forno preriscaldato a 250 gradi, aggiungere dell'olio alla placca e infornare i pezzi di carne di spalla e coscia senza aggiungere la marinata. Cuocere per circa 20-25 minuti girando i pezzi ogni tanto. Infornare infine i pezzi della schiena, anche questi ultimi sgocciolati, e lasciar cuocere il tutto per altri 15-20 minuti. Togliere la carne, metterla in una grande pentola e fare in modo che la salsa si addensi. Questo procedimento chiederà circa 5 minuti.
Unire le erbette aromatiche al burro nocciolino prima di servire. (ricetta suggerita dalla birreria Gambrinus)

 

 

http://www.pasticceriafilippi.it/it/pasqua/100percentoolio/

 

 


De cepis medici non consentire videntur.
Chorericis non esse bonas dicit Galienus.
Phlegmaticis vero multum docet esse salubres.
Praesertim stomacho: pulcrumque creare colorem.
Contritis cepis loca denudata capillis.
Saepe fricans, poteris capitis reparare decorem.

Sull’oprar delle cipolle
disputar sempre si volle.
Da Galien però si scrive
che ai biliosi son nocive;
ma salubri poi ben bene
ai flemmatici le tiene,
specialmente pel ventriglio,
e per dare un bel vermiglio.
Con cipolle spesso i siti
dei capei nudi e sguarniti
stropicciando, ha l’opra loro
reso al capo il suo decoro.

 

BACARI TOUR

Un pomeriggio nella Venezia “sconta” tra cuor leggero e scarpe basse

Una prospota affasdcinantee imperdibile: un tour nella veenzia dei veneziani con la guida

ANNA MARIA PELLEGRINO

 

Si raggiunge Venezia in treno o in autobus di linea (parcheggiano in terra ferma) o in auto (in questo caso programmate un po’ di tempo in più per parcheggiare). Dalla Stazione Santa Lucia, ci si dirige verso la Venezia dei Veneziani, destinazione Rialto, per giungere in zona Pescheria (che purtroppo chiude alle ore 12.00 di tutti i giorni ed è chiusa il lunedì). Perciò il pesce lo si gusta già cotto, grazie ai cicheti dei “Do Mori”, l’osteria più antica di Venezia (data 1462) nonché una delle più affascinanti, un corridorio tra due calli difficilmente localizzabile per chi non è del luogo. Dopo il battesimo con il primo cibo di strada che l’occidente abbia conosciuto (affermazione assolutamente di parte!) ci si dirige verso il famoso “chiosco” di Santa Maria Formosa, situato in un crocevia di calli che vede l’incessante incrociarsi di veneziani più o meno affaccendati. Per sorseggiare uno spritz in formato “normale” per i locali e formato “flebo” per i foresti. Ascoltando i silenzi che le calli e i campielli sconosciuti ai turisti sanno donare, si arriva un altro bacaro storico, “Al Ponte”, attraversando San Zanipolo (nickname che deriva dalla tipica contrattura che i veneziani amano applicare ai santi e ai fanti!). E lì tutti ad ammirare l’ingresso più bello del mondo, se si considera che si tratta di un ospedale civile (visitabile fino all’inizio degli ambulatori e fino alle 21.00 di ogni giorno), trattandosi infatti della Scuola Grande di San Marco, una delle sei scuole devozionali “maggiori” della Serenissima). Sosta per una classica “ombra”, l’unità di misura preferita dal Bacco lagunare, caratterizzata anche dal tipico bicchiere svasato in vetro, che assomiglia (incredibile!) a quello in cui ancor oggi, anche nei Balcani, viene servito il caffè turco.

Tra chiacchiere e foto, dopo aver attraversato il campo dei Miracoli, un vero e proprio gioiello, uno dei primi esempi di arte rinascimentale a Venezia e anche uno dei primi esempi di “costruzione chiavi in mano” perfettamente riusciti, si giunge appunto all’Antica Adelaide, con la sua stanza del latte, quella in cui le donne di Campalto portavano dalla terraferma il latte delle mucche che allevavano e nella quale si riposavano prima di lasciare Venezia per ritornare a casa. Sosta ristoratrice con bigoli al torchio e scampi freschissimi, risotto al nero e crudi marinati con aceti preparati personalmente dal titolare Alvise. Non può mancare una tappa Al Paradiso Perduto, storico locale, situato in fondamenta della Misericordia, che vide concretizzarsi le canzoni dei Pitura Freska tra le quali la mitica “Pin Floi”: “Persi par persi, ‘ndemo a consolarse, ‘ndemo al Paradiso a ‘nbriagarse”. Vi assicuro che toglierete le scarpe alle 3 del mattino con il cuore ricco di saperi e di sapori. E dopo poche ore di sonno già pronti per un nuovo tour alla ricerca delle perle nascoste di Venezia, come quegli Orti Veneziani che sanno donare primizie e bontà apprezzate dai buongustai e diventati presidi SlowFood.

 

 

BACARI TOUR intero

Un pomeriggio nella Venezia “sconta” tra cuor leggero e scarpe basse

 

Si raggiunge Venezia in treno o in autobus di linea (parcheggiano in terra ferma) o in uato, in questo caso programmate un po’ di tempo in più per parcheggiare. Dalla Stazione Santa Lucia, ci si dirige verso la Venezia dei Veneziani, destinazione Rialto, attraverso Capo San Giacomo dell’Orio (nelle vicinanze del Museo di Storia Naturale), Santa Maria Mater Domini, San Cassiano per giungere in zona Pescheria (che purtroppo chiude alle ore 12.00 di tutti i giorni ed è rigorosamente chiusa al lunedì).

Di conseguenza non si acquista il pesce ma lo si gusta già cotto, grazie ai cicheti dei “Do Mori”, l’osteria più antica di Venezia (datata 1462) nonché una delle più affascinanti, un corridorio tra due calli difficilmente localizzabile per chi non è del luogo (e forse non vuole proprio farsi scoprire).

 

Dopo il battesimo con il primo cibo di strada che l’occidente abbia conosciuto (affermazione assolutamente di parte!) un po’ più allegri e sciolti ci si dirige verso il famoso “chiosco” di Santa Maria Formosa, situato in un crocevia di calli che vede l’incessante incrociarsi di veneziani più o meno affaccendati. Il bello è infatti, davanti ad uno spritz in formato “normale” per i locali e formato “flebo” per i foresti, sedersi a uno dei tavolini rigorosamente ed esclusivamente all’aperto, circondati da curiosi piccioni, per osservare l’energia della tipica “Camminata Veneziana” (e vi prego di far attenzione ai polpacci dei locali che avrebbero fatto invidia a Claudio Gentile).

 

Un po’ più sciolti si raggiunge, ascoltando i silenzi che le calli ed i campielli sconosciute ai turisti sanno donare, un altro bacaro storico, “Al Ponte”, attraversando campo San Giovanni e Paolo (alias San Zanipolo, nickname che deriva dalla tipica contrattura che i veneziani amano applicare ai santi e ai fanti!). E lì tutti ad ammirare l’ingresso più bello del mondo, se si considera che si tratta di un ospedale civile (visitabile fino all’inizio degli ambulatori e fino alle 21.00 di ogni giorno), trattandosi infatti della Scuola Grande di San Marco (una delle sei scuole devozionali “maggiori” della Serenissima).

 

“Al Ponte” è un’osteria più recente (be’, con un buon numero di decenni alle spalle) ma anch’essa molto amata ai veneziani che si ritemprano con la classica “ombra”, l’unità di misura preferita dal Bacco lagunare, caratterizzata anche dal tipico bicchiere svasato in vetro, che assomiglia (incredibile!) a quello in cui ancor oggi, anche nei Balcani, viene servito il caffè turco. Ma voi davvero non sapete perché si chiama “ombra”? J

 

Tra chiacchiere e foto la tappa dell’Antica Adelaide arriva in un battibaleno soprattutto se ci si ferma per una visita alla Chiesa dei Miracoli, situata nell’omonimo campo dei Miracoli. Si tratta di un vero e proprio gioiello, uno dei primi esempi di arte rinascimentale a Venezia ed anche uno dei primi esempi di “costruzione chiavi in mano” perfettamente riusciti. Un mercante lombardo, Antonio Amadi, possedeva un quadro, una Madonna con Bambino, ritenuto miracoloso e volle costruirci una chiesa attorno. Si affidò alla scuola di Pietro Lombardo che, assieme ai figli Antonio e Tullio, dal 1481 al 1489 diede vita al progetto, alla costruzione ed alla decorazione di questo autentico capolavoro.

E così con il cuore carico di decorazioni marmoree che sembrava cesellate da Benvenuto Cellini in persona si giunge appunto all’Antica Adelaide, osteria riaperta da Alvise e riportata al suo splendore caratteristico dopo anni di incuria. Si tratta di una delle osterie veneziane più cariche di storia, con la sua stanza del latte, quella in cui le donne di Campalto portavano dalla terraferma il latte delle mucche che allevavano e nella quale si riposavano prima di lasciare Venezia per ritornare a Campalto, via mare. Allora il Ponte della Libertà non era ancora stato costruito!

Da provare i bigoli al torchio con scampi freschissimi, il risotto al nero e i crudi marinati con aceti preparati personalmente da Alvise.

 

Dall’Antica Adelaide al punto di partenza il tratto più breve è la Strada Nuova, che viene normalmente percorsa dai turisti… che sarebbe meglio non percorrere, preferendo il tragitto che attraversa il Ghetto (Nuovo e Vecchio), per giungere Al Paradiso Perduto, storico locale, situato in fondamenta della Misericordia, che vide concretizzarsi le canzoni dei Pitura Freska tra le quali la mitica “Pin Floi”, dedicata appunto al concerto-disatro che i Pink Floyd tennero in laguna nel 1985. Ricordate le parole? “Persi par persi, ndemo a consolarse, ndemo al Paradiso a inbriagarse”.

 

Vi assicuro che toglierete le scarpe alle 3 del mattino con il cuore ricco di saperi e di sapori. E dopo poche ore di sonno già pronti per un nuovo tour alla ricerca delle perle nascoste di Venezia, come quegli Orti Veneziani che sanno donare primizie e bontà apprezzate dai buongustai e diventati presidi SlowFood.

 

Anna Maria Pellegrino

 

 

 

 

ASINI

 

Dal 22 al 27 aprile si svolge alla fortezza di Santa Margherita in comune di Moruzzo il corso di formazione di primo livello in attività di mediazione con l’asino (onoterapia). Info: Tel 377 1678219 www.amiciditoto.fvg

 

 

gent.ma Fabiana, ti mandoquello che mi hanno passato dal cantinone. prova avedere se sono informazioni che ti possono andar bene..ma poi il pezzo lo scrivi tu o lo faccio io? x le foto te le mando domattina, ieri la macchina si è inceppata.. a presto.. Mauro

 

 

2) DESCRIZIONE DEL PROGETTO

 

Mission

L'obiettivo dei quattro soci è quello di ricreare l'ambiente della vecchia osteria friulana in una antica cantina con la volta in mattoni. In questo luogo confortevole, nel quale è possibile poter degustare dei vini e delle veloci pietanze di qualità ad un prezzo “onesto”, si vuol creare l'atmosfera per accogliere degli ospiti, più che dei clienti.

Il mix di prodotti offerti parte da un vino da “primo prezzo” fino ad arrivare alla bottiglia d'annata. Al primo viene abbinato uno spuntino veloce. Per gli altri si propone l'abbinamento ad un determinato formaggio, piuttosto che salumi o altro.

L'offerta è innovativa nella sua semplicità. Chi normalmente frequenta questo genere di locali non è quasi mai da solo. Avremo quindi il listino “classico” e quello con l'offerta per due o più commensali, tutto compreso.

 

Il locale

Al piano terra di un palazzo in stile barocco quattro-cinquecentesco, al di fuori della cinta murata, nel cuore del centro storico della medievale Valvasone, in provincia di Pordenone, assoggettato ai vincoli dalla Soprintendenza dei Beni Culturali del Friuli Venezia Giulia, si trova la vecchia cantina, o meglio, come chiamata dalla proprietà, il Cantinone.

Si accede da Via San Pietro, difronte all'omonima chiesetta. Sotto un porticato che costeggia l'intera via, scendendo un paio di scalini si entra in un ambiente contraddistinto da una splendida volta in mattoni. Il pavimento in palladiana valorizza l'aspetto architettonico. L'arredamento è molto semplice: piccoli tavoli in arte povera, sedie di legno impagliate, un lungo bancone su cui troneggia una splendida e rossa Berlkey. La luce del neon che, a vela, illumina i mattoni fatti a mano e i piccoli abat-jour sui tavolini creano un'atmosfera magica. Un sottofondo musicale jazz dà quella sorta di calore che avvolge l'ospite e lo fa sentire a casa propria. Alcune mensole con dei libri di cucina, altri trattanti la lavorazione del vino e della birra danno quel tocco “culturale” all'ambiente, ma senza appesantirlo. I grandi calici di cristallo per la degustazione dei rossi in barrique, i flut e le coppe, attraggono l'attenzione del visitatore.

 

Prodotti offerti

Prima di analizzare nel dettaglio il prodotto tangibile, si vuole porre l'attenzione sull'aggregato complesso contraddistinto anche dagli attributi intangibili e sul suo valore d'uso e simbolico.

Si pensi all'aria che si respira entrando a Valvasone e all'atmosfera che avvolge l'ospite che scende i due scalini per entrare nel vecchio locale, nella vecchia cantina.

Parafrasando il Rulliani (2004) “il valore di un prodotto è sempre meno legato alle sue qualità materiali ... e dipende sempre più dal significato (simbolico, emotivo, identitario o altro) che il consumatore attribuisce all'oggetto acquistato”.

Analizziamo ora i prodotti che vengono divisi in due macro aree: da una parte vini e birre, dall'altro, più in generale, il settore alimentare.

Prima macro area: categoria vini e birre.

Nella primaria categoria dei vini, troviamo due sotto categorie: i rossi e i bianchi. A loro volta i vini rossi faranno parte della sottospecie “giovani” o “da invecchiamento”. I vini bianchi si distinguono tra “fermi” e “frizzanti”.

Si offre un vino definito da “primo prezzo” con le seguenti caratteristiche: alla spina, un €uro al calice, proposto anche in caraffa da quarto, mezzo o da litro. La selezione di vini elenca una scelta fino ad arrivare a bottiglie di valore elevato. Importante è il giusto mix tra le varie categorie e sottospecie. Tutte hanno un occhio di riguardo per gli abbinamenti con i prodotti della seconda macro area, quella alimentare.

La categoria birre, di secondaria importanza, evidenzia la birra chiara, alla spina e un mix di altre selezioni in bottiglia. Questa categoria mira a coprire le richieste di quei pochi ospiti che, entrando in un'enoteca, chiedono una birra.

 

Seconda macro area: alimentare.

Anch'essa viene scissa in due categorie: piatti freddi e caldi caldi.

Qui viene data primaria importanza alla categoria dei piatti freddi.

Quelli che in francese vengono generalmente definiti come “charcuterie” costituiscono la base dell'offerta alimentare dell'ambiente. Questa è costituita da prodotti tipici locali, quali il prosciutto di San Daniele, di Sauris e i salami nostrani. Attraverso la collaborazione con aziende agricole locali si propone un prodotto proveniente direttamente dall'allevamento e dalla successiva diretta lavorazione, riuscendo a curare una sorta di filiera locale.

Il valore aggiunto della “charcuterie” è costituito dalla rotazione, settimanale piuttosto che mensile, dei prodotti provenienti da altre regioni d'Italia e anche dall'estero.

Viene proposta la serata a tema del “jamon serrano”, prosciutto tipico spagnolo, oppure quella dello “speck tirolese”, fino ad arrivare al “foie gras” francese.

I piatti fretti vengono serviti su un tagliere di legno.

Il piatto base è costituito dal “monoprodotto”, venduto a peso, ovvero: prosciutto, salame, speck, formaggi, ecc..

A ciò si aggiungano quattro piatti: Friulano, Austriaco, Marchigiano e Calabrese composti da un mix di prodotto tipici della zona di riferimento, ciascuno del peso non superiore a 150 grammi e con un prezzo di vendita indicativo dai 5 ai 7 Euro.

Categoria dei piatti caldi.

Viene creato uno standard di offerta che ha come punto di riferimento la porzione di frico da servire velocemente, caldo, magari trattato al pari dello stuzzichino abbinato al vino rosso precedentemente individuato.

Alternativa a questo piatto caldo potrà essere un primo di lasagne – ad esempio -, possibilmente già preparato, da servire riscaldato.

Sempre valida la pasta con due proposte di sugo: pomodoro e ragù, con l'eventuale variante di stagione: funghi piuttosto che verdure, ecc..

In ogni caso la gamma e la preparazione del listino viene rimandata ad una valutazione più appropriata, sviluppata compatibilmente alle caratteristiche del personale dipendente.