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#parolegolose. Una rubrica nata durante la quarantina (quarantena) Covid-19, ma covata a lungo, in attesa di esprimersi ed esplodere. PAROLE GOLOSE. PER SAPERNE QUANTOBASTA. Una rubrica che racconta di parole. E che nasce dal successo dell'altra nostra sezione Chiedilo a qb. Domande e curiosità che attirano e coinvolgono i nostri lettori.  Saranno parole e frasi che racconteranno l'etimologia ma anche e soprattutto le origini di piatti, le trasmigrazioni di ingredienti e di vitigni, storie di modi di dire, di consuetudini alimentari. Senza troppe pretese, con la nostra consueta leggerezza. Per saperne quanto basta, appunto. #parolegolose

Dal 2021  la rubrica si arricchisce con le #ricettedaleggere. Ricette di scrittori, preparazioni tratte da libri che parlano di scrittori. Uno spunto per incuriosirvi e invitarvi a scoprire nuovi punti di vista. 

Entrambe le rubriche #parolegolose e #ricettedaleggere sono aperte alle collaborazioni dei nostri lettori.

Segnalateci una parola golosa, indicateci un racconto culinario. L'indirizzo è Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

 

Conosci il Botillo di Bembibre?

 

botillo del bierzobotillo del bierzoConosci il Botillo di Bembibre della regione spagnola del Bierzo di Leòn? Un salume che ha saputo ritagliarsi un suo posto speciale nel vasto e goloso mondo degli insaccati. Anche con il Festival de Exaltación del Botillo. Sì lo sappiamo è un Festival invernale, ma qui a qb siamo sostenitori che certi piatti, cioè questo genere di piatti, come la porcina con crauti e patate in tecia,  si possono mangiare in tutte le stagioni. Se poi leggiamo una delle ricette più diffuse con questo salume e scopriamo che in accompagamento ci sono patate e verze, abbiamo un'ulteriore prova provata che la cucina non ha confini.

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Festa Artusiana 2023 in arrivo. Forlimpopoli in festa

festa artusiana 2023 festa artusiana 2023 Sta per arrivara la Festa Artusiana 2023. Parole golose è quindi una rubrica in festa, poichè l'Artusi è uno dei nostri fari per un porto sicuro nella procellosa navigazione alla quale oggi è sottoposta la cucina, non solo italiana. Dal 24 giugno al 2 luglio Forlimpopoli, cittadina natale di Pellegrino Artusi, diventa la capitale nazionale della cucina italiana ospitando, dibattiti, eventi culturali e proposte gastronomiche  

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5 febbraio. Si festeggia sant'Agata

Minne di Sant'Agata courtesy CustonaciwebMinne di Sant'Agata courtesy Custonaciweb#parolegolose. Sant'Agata. Santa patrona di Catania. Si festeggia con un dolce dalla suggestiva storia. Dopo la Settimana Santa di Siviglia e il Corpus Domini di Cuzco, è considerata la terza festa popolar-religiosa più famosa al mondo

Un dolce che simboleggia la festa.

Le cassatelle o Minne di Sant’Agata sono dolci di forma semisferica che rappresentano i seni della della giovane strappati con delle tenaglie, secondo tradizione tramandata, per obbligarla ad abbandonare la sua fede e a cedere alle lusinghe di Quinziano, proconsole della città che si era invaghito della sua bellezza.  Sono composti da un guscio di pasta frolla o di pan di spagna imbevuto di liquore. Il ripieno è rigorosamente a base di ricotta di pecora, preventivamente lavorata con zucchero e arricchita con canditi e cioccolato fondente. La cassatella è interamente ricoperta da una candida glassa di zucchero alla cui sommità svetta una ciliegina candita che rappresenta il capezzolo. Vanno solitamente serviti a coppie, rafforzando l’immagine che rappresentano.

Olivette di Sant'Agata 

olivette di sant'Agata  courtesy Notizie Cataniaolivette di sant'Agata courtesy Notizie Catania

Meno famose internazionalmente delle Minne ma altrettanto buone e assai apprezzate dagli autoctoni catanesi sono le Alivetti o aliveddi. Dolcetti di pasta di mandorla a forma di oliva, di colore verde e ricoperti di zucchero.

La leggenda 

Narra la leggenda che mentre Agata era inseguita dai soldati di Quinziano di lei invaghitosi e da lei respinto, comparve quasi all'improvviso una pianta di olivo selvatico che la nascose dalle guardie. In seguito le olive di quell’albero divennero farmaco miracoloso per i malati. Per rievocare l’episodio nel 1926, quando le reliquie della Santa vennero riportate da Costantinopoli a Catania, fu piantato un ulivo nei pressi del luogo dove Agata era stata imprigionata e dove morì il 5 febbraio del 251. 

the work of italian street artist- santagata news -photo fabrizio villa Getty imagesthe work of italian street artist- santagata news -photo fabrizio villa Getty images
P. S. Fino al Settecento, la devozione popolare nei confronti di sant’Agata era diffusa anche a Palermo, prima che il culto di santa Rosalia diventasse preponderante. 

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Conosci la cicoria asparago o cicoria catalogna?

puntarelle courtesy ristorante Piccolo mondo puntarelle courtesy ristorante Piccolo mondo

Cicoria asparago, cicoria catalogna, cicoria sono alcuni dei nomi per definire le più familiarmente note puntarelle. Sono il germoglio di quello che a Roma si chiama “cicorione”. Puntarelle e alici sono un piatto tipico della cucina romana. 

Per arricciare le puntarelle leggi QUI il segreto 

Le puntarelle sono soltanto una parte della cicoria: precisamente sono i teneri germogli.  All’interno del cespo si trovano i talli, delle cimette simili per aspetto ad asparagi bianchi. Questi talli sono i germogli della cicoria che sta per spigare, cioè si prepara a produrre fiori e semi.

Si preparano generalmente in insalata “Insalata fatta dal tallo di cicoria presso all'insemenzire” spiegava il Belli. Ma con le foglie esterne ripassate in padella, arricchite di aglio, peperoncino e accighe diventano un superlativo sugo per la pasta. 

puntarelle capate courtesy ristorante Piccolo mondopuntarelle capate courtesy ristorante Piccolo mondo

Con cicoria asparago si intende generalmente un insieme di varietà locali afferenti alla specie botanica della cicoria, caratterizzate dallo scapo fiorale edule, che ricorda il turione di asparago, dal tipico sapore amarognolo. (Wikipedia dixit). 

L'origine di questo ortaggio è antichissima, è citato in uno scritto del 1550 a.C. Plinio ne parla perché era nototo nell'antico Egitto. Già Galeno, celebre medico dell’Antica Grecia, lo consigliava  contro le malattie del fegato. 

Ecco cuer che succede a ttanti ggnocchi
che nun zanno addistingue in ne l’erbajja
le puntarelle mai da li mazzocchi.
(Giuseppe Gioachino Belli – Sonetti romaneschi)

Scopri la ricetta 

Le varietà di cicoria da cui ricavare le puntarelle sono fondamentalmente due

dalla Puglia (Molfetta e Galatina) arriva la varietà con germogli interni più grossi e compatti
dal Lazio (Gaeta, Formia e Fondi), proviene la varietà dai germogli più lunghi e affusolati

Proprietà benefiche  

favoriscono la funzionalità del fegato
hanno proprietà purificanti e disintossicanti
aiutano la digestione
stimolano la circolazione sanguigna
favoriscono l’eliminazione dei grassi dall’intestino

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Ricettario mitteleuropeo di Suor Antonija Orsolina

ricettario cover ph Luigi Vitale ricettario cover ph Luigi Vitale ricettario orsoline cover ph Luigi Vitale

Il ricettario mitteleuropeo di suor Antonija Orsolina è stato ristampato in occasione del 350° anniversario dall'arrivo delle Madri Orsoline a Gorizia.  La presentazione del nuovo prodotto editoriale si è svolta nel dicembre  2022 in Gorizia, Borgo Castello, nella Sala Conferenze dei Musei Provinciali. 

A presentarlo il curatore, avvocato Carlo del Torre, collezionista di ricettari antichi e autore molti libri di ricette, l'ingegner Roberto Zottar, delegato di Gorizia dell'Accademia della Cucina italiana, Michela Fabbro, titolare del ristorante goriziano Rosenbar. Introduzione della dott.ssa Raffaella Sgubin, Direttore Servizio Musei e Archivi Storici dell'ERPAC, Ente Regionale per il Patrimonio Culturale della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, che ha ricordato le grandi mostre Tra la terra e il cielo. I meravigliosi ricami delle Orsoline e Le Orsoline a Gorizia. Un filo prezioso lungo 350 anni mostra ancora in corso. Dalle sue parole traspariva la straordinaria abilità delle suore in qualsiasi campo manuale e artigianale si cimentassero, dall'uncinetto, al ricamo, al macramè ai merletti, alla maglia. E naturalmente all'arte della cucina.

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L'oro nero di Aquitania Pruneaux d'Agen IGP

Pruneaux d'Agen essiccate e nonPruneaux d'Agen essiccate e non

Oro nero di Aquitania. Colore nero brillante, consistenza morbida, la polpa va dal giallo all'ambra, il sapore è gustoso e dolce. Sono le Pruneaux d’Agen IGP, prelibatezza proveniente  dai frutteti di susine Ente du Lot et Garonne, nel Sud-Ovest della Francia,  garantite dalla qualità europea certificata. 

Derivano probabilmente da una prugna-dattero, tonda e gustosa, originaria della Siria, i cui semi dovrebbero essere stati portati in occidente dai Crociati. La sua coltivazione conobbe una grande fortuna nel Medioevo: verso la metà del XIV secolo i monaci dell'abbazia di Clairac scoprirono che la prugna essiccata al sole acquistava un sapore molto gustoso, trasformandosi in un ottimo alimento conservabile. 

Potrebbe interessarti anche la ricetta https://qbquantobasta.it/ricette/pollo-alle-prugne-pruneaux-d-agen

 

 

Il nome del prodotto è dovuto al fatto che, un tempo, il loro trasporto verso l'Inghilterra avveniva soprattutto per via fluviale, partendo dal porto di Agen.

pruneauxpruneaux

Per ottenere le Pruneaux d’Agen vengono applicati rigidi disciplinari. 

L'albero viene preparato alla produzione per  tre anni e i primi frutti si possono raccogliere solo dal settimo anno in avanti. Le susine si raccolgono tra il 25 agosto e il 25 settembre con l’ausilio macchine che scuotono gli alberi e, contemporaneamente, raccolgono i frutti. Solo le migliori vengono lavate e sistemate su vassoi fatti con assicelle di legno o canne intrecciate.

Poi le prugne vengono disidratate a temperatura controllata (55-60 °C), in speciali forni che le mantengono intere e consistenti, con la pelle corrugata ma senza fessure. Al termine del processo, che dura alcune ore, sono suddivise per calibro, quindi reidratate immergendole per poco tempo in acqua a 80°C. La conservazione non prevede zuccheraggio.

pruneaux dagen fourres a la creme de pruneauxpruneaux dagen fourres a la creme de pruneauxSono straordinariamente versatili e possono essere trasformate in crema di prugne, utilizzate per riempire le tipiche pruneux fourrés (prugne farcite), o in confettura. Vengono prodotti anche cioccolatini alla prugna, prugne allo sciroppo, al vino e all'Armagnac, praline, bon bon di prugne e acquavite.

pruneaux farcite in scatolapruneaux farcite in scatola

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Tutto quello che volevi sapere sulla maionese...

Tutto quello che volevi sapere sulla maionese e non hai mai chiesto. Come si fa esattamente? Chi l'ha inventata? Che differenza fra la maionese home made e quella acquistata pronta? Perché gli chef la chiamano Mayo? E la maionese vegana come si fa?  Esiste la maionese senza uova? Qual è la maionese più buona al mondo?

(prima puntata) Maionese è una salsa, più precisamente un'emulsione a base di tuorli, olio e aceto o succo di limone. Molti la chiamano Mayo alla francese abbreviando mayonnaise, come si abbrevia in evo l'olio extravergine di oliva. 

maionese in un minuto da fattoincasadabenedettamaionese in un minuto da fattoincasadabenedetta

Maionese è versatile e utilissima in cucina. Sembra (è) facile da fare, ma basta un niente per farla impazzire. E noi con lei. L'impazzimento avviene quando l'olio resta separato dall'uovo. 

Perché la maionese impazzisce? 

La causa sarebbe dovuta al fatto che le uova sono troppo fredde, quindi tiratele fuori dal frigo in anticipo (ma perchè mettete le uova in frigo? non è mica necessario). ìIn genere però impazzisce perchè la quantità di olio è eccessiva e non si sbatte l'emulsione in modo energico, quindi le molecole grasse non si distribuiscono uniformemente tra quelle acquose.

Che fare per porvi rimedio? La mitica Sonia Peronaci suggerisce ciò: in una ciotolina sbatti leggermente un tuorlo a temperatura ambiente (mi raccomando) e, una cucchiaiata alla volta e senza fermarti mai, amalgama la maionese impazzita: voilà, recuperata e buonissima! 

Anche gli esperti di finedininglovers ci danno le loro dritte:  Prendete qualche cucchiaiata della maionese impazzita e mettetela in un’altra ciotola. Sbattetela energicamente con una frusta, aggiungendo lentamente un po’ di acqua o aceto. Mano a mano che il composto si addensa, aggiungete altra maionese impazzita e ripetete l’operazione fino a che tutta la salsa sarà recuperata. Aggiungendo alla maionese troppo liquida una componente acquosa, infatti, si ristabilisce il giusto rapporto con quella oleosa. 

 

Quando nasce la maionese? Chi l'ha inventata? 

 

La storia (o leggenda) francese afferma che fu Luis François Armand de Vignerot du Plessis, duca di Richelieu, a portarla in Francia dopo la vittoriosa battaglia contro gli Inglesei nel 1756 a Mahón (mahonnaise) nell'isola di Minorca. Altre fonti, sempre francese dicono che il riferimento sarebbe invece alla città di Bayonne, nel sud della Francia, altri ancora che il nome deriverebbe dal francese antico moyeau, "tuorlo d’uovo". 

Ma poichè la città di Mahón prenderebbe il suo nome, forse, dal generale cartaginese Magone Barca, fratello di Annibale, potrebbe trattarsi di un antico di un antico condimento punico 😉

(continua) seguici nei prossimi appuntamenti di parole golose per scoprire il resto della storia della maionese.

Ti spoilero solo che la maionese più buona del mondo sarebbe giapponese.  Si chiama Kewpie e la sua ricetta è diventata virale su Tik Tok. kewpiekewpie

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Conosci lo sfincione? Leggi qui, te lo racconta qubì!

Sfincione, ricetta siciliana alta e soffice, pietanza irrinunciabile nel corso delle festività di dicembre. Qualcuno lo definisce una specie “pizza”, ma l'impasto  è diverso, alto, soffice e spugnoso. Il condimento? Pomodoro, acciughe, origano, pangrattato e caciocavallo ragusano. È inserito nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT).

Lo sfincione lo si mangia tutto l’anno, ma a cominciare dalla Festa dell’Immacolata, è una vera e propria istituzione prenatalizia. 

 

Perché si chiama così il morbido Sfincione?


Sfincione palermitanoSfincione palermitanoLo Sfincione si chiama così proprio perchè è morbido, il nome deriva dal latino spongia, a sua volta dal greco spòngos, cioè “spugna”; secondo altri deriverebbe dal nome arabo di una dolce frittella al miele. Anche per questo piatto ci si imbatte nelle suore come nel caso di molti altri dolci e piatti del centro sud d'Italia.

Si dice che a inventarlo furono alcune suore del monastero di San Vito a Palermo per creare un piatto diverso dal solito pane di tutti i giorni. Affermano però gli storici che lo  Sfincione di San Vito era molto diverso da quello attuale (e senza pomodoro).

Chistu è sfinciuni. Fattu ra bella vieru. Chi ciavuru. Uora ‘u sfuinnavu. Uora ‘u sfuinnavu. Questo è sfincione. Fatto davvero bene. Che profumo. L’ho sfornato proprio ora. 

sfincione bianco di Bagheria courtesy Siciliafansfincione bianco di Bagheria courtesy Siciliafan

C'è lo sfincione palermitano da carretti di street food e da panificio o rosticceria e poi c'è lo Sfincione Bianco di Bagheria, privo di pomodoro, ma con tuma (formaggio siciliano da latte crudo di pecora tagliato  a fette) e ricotta. Con una lunga bellissima storia che vi racconteremo in un altro appuntamento di #parolegolose. 
Lo sfincione è un antipasto perfetto: si taglia a tocchetti e si spizzulia, cioè si “spizzica”. 

 

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Conosci la Melannurca campana?

mela annurcamela annurca

Conosci la Melannurca? Sai qual è l'origine del suo nome? Te lo raccontro in sintesi. La Melannurca Campana IGP è presente in Campania da almeno due millenni. La sua raffigurazione nei dipinti rinvenuti negli scavi di Ercolano e in particolare nella Casa dei Cervi, testimonia l'antichissimo legame dell'Annurca con il mondo romano e la Campania felix in particolare. Luogo di origine sarebbe l'agro puteolano, come si desume dal Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Proprio per la provenienza da Pozzuoli, dove è presente il lago di Averno, sede degli Inferi, Plinio la chiama Mala Orcula in quanto prodotta intorno all'Orco, neipressi dell'Orco (gli Inferi).

Leggiamo sul sito del Consorzio che Gian Battista della Porta, nel 1583, nel suo Pomarium, nel descrivere le mele che si producono a Pozzuoli cita testualmente: … le mele che da Varrone, Columella e Macrobio sono dette orbiculate, provenienti da Pozzuoli, hanno la buccia rossa, da sembrare macchiate nel sangue e sono dolci di sapore, volgarmente sono chiamate Orcole…. 

Da qui i nomi di "anorcola" e poi "annorcola" utilizzati nei secoli successivi fino a giungere al 1876 quando il nome "Annurca" compare ufficialmente nel Manuale di Arboricoltura di G. A. Pasquale. Tradizionalmente coltivata nell'area flegrea e vesuviana, spesso in aziende di piccola dimensione e talora in promiscuità con ortaggi e altri fruttiferi, la Melannurca Campana ora IGP si è andata diffondendo nel secolo scorso prima nelle aree aversana, maddalonese e beneventana, poi via via nel nocerino, nell'irno, i picentini e infine in tutta l'area dell'alto casertano. 

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MELANNURCA CAMPANA I.G.P.

Descrizione del prodotto

L'Indicazione geografica protetta "Melannurca Campana" si riferisce a una delle varietà italiane di melo più conosciute e più apprezzate in assoluto dai consumatori: l'Annurca. Definita la "regina delle mele", infatti, l'Annurca è da sempre conosciuta soprattutto per la spiccata qualità dei suoi frutti, dalla polpa croccante, compatta, bianca, gradevolmente acidula e succosa, con aroma caratteristico e profumo finissimo, una vera delizia per gli intenditori.

Il frutto è medio-piccolo, di forma appiattita-rotondeggiante, leggermente asimmetrica, con picciolo corto e debole. La buccia, liscia, cerosa, mediamente rugginosa nella cavità peduncolare, è di colore giallo-verde, con striature di rosso su circa il 60-70% della superficie a completa maturazione, percentuale di sovraccolore che raggiunge l'80-90% dopo il periodo di arrossamento a terra.

La "Melannurca Campana" IGP rivendica da sempre virtù salutari: altamente nutritiva per l'alto contenuto in vitamine (B1, B2, PP e C) e minerali (potassio, ferro, fosforo, manganese), ricca di fibre, regola le funzioni intestinali, è diuretica, indicata spesso nelle diete ai malati e in particolare ai diabetici. Anche per l'eccezionale rapporto acidi/zuccheri, le sue qualità organolettiche non trovano riscontro in altre varietà di mele. Una recente ricerca del Dipartimento di scienza degli alimenti dell'Universià di Napoli Federico II ha dimostrato che la mela Annurca dimezza i danni ossidativi alle cellule epiteliali gastriche. La sua azione gastroprotettiva dipende dalla ricchezza in composti fenolici, che sono in grado di prevenire così i danni ossidativi dell'apparato gastrico e aiutando a combattere le malattie legate all'azione di radicali liberi.  

ARROSSAMENTO A TERRA 

mela annurca arrossamento a terra  courtesy foto La frutta di Andreamela annurca arrossamento a terra courtesy foto La frutta di Andrea

Uno degli elementi di tipicità della "Melannurca Campana" IGP è l'arrossamento a terra delle mele nei cosiddetti "melai". Essi sono costituiti da piccoli appezzamenti di terreno, sistemati adeguatamente in modo da evitare ristagni idrici, di larghezza non superiore a metri 1,50 su cui sono stesi strati di materiale soffice vario: un tempo si utilizzava la canapa, oggi sostituita da aghi di pino, trucioli di legna o altro materiale vegetale. Per la protezione dall'eccessivo irraggiamento solare i melai sono protetti da apprestamenti di varia natura.

Durante la permanenza nei melai i frutti sono disposti su file esponendo alla luce la parte meno arrossata, vengono poi periodicamente rigirati e accuratamente scelti, scartando quelli intaccati o marciti. E' proprio questa pratica, volta a completare la maturazione dei frutti adottando metodi tradizionali e procedure effettuate tutte a mano, a esaltare le caratteristiche qualitative della "Melannurca Campana" IGP, conferendogli quei valori di tipicità che nessun altra mela può vantare.

Due gli ecotipi previsti dal disciplinare di produzione, con due distinte indicazioni varietali in etichetta: l' "Annurca" classica e la diretta discendente "Annurca Rossa del Sud", suo mutante naturale, diffuso nell'area di produzione da oltre un ventennio, che ha il pregio di produrre frutti a buccia rossa già sulla pianta.

I frutti di maggior pregio, soprattutto dal punto di vista organolettico, a detta degli esperti sono quelli provenienti da piante innestate su franco, allevate a pieno vento e con scarsi apporti irrigui. Le indubbie caratteristiche organolettiche di questa mela, finora apprezzate soprattutto dai consumatori meridionali, stanno progressivamente conquistando anche altri mercati, grazie anche al riconoscimento del marchio di tutela e all'ingresso nei canali della grande distribuzione organizzata.

Accanto ai succhi, di grande valore nutritivo, ottimi sono anche i liquori ottenuti dalle annurche, così come i dolci (crostate e sfogliatelle su tutti, ma anche le mitiche mele cotte al forno)

Registrazione e tutela

L'Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) "Melannurca Campana" è stata riconosciuta, ai sensi del Reg. CE n. 2081/92, con Regolamento (CE) n. 417/2006 (pubblicato sulla GUCE n. L 72 dell'11 marzo 2006). L'iscrizione al registro nazionale delle denominazioni e delle indicazioni geografiche protette è avvenuta con provvedimento ministeriale del 30.03.06, pubblicato sulla GURI n. 82 del 7.04.04, unitamente al Disciplinare di produzione e alla Scheda riepilogativa (già pubblicata sulla GUCE unitamente al predetto Reg. 417/06).

 
 
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Castradina sciavona a Venezia il 21 novembre

Luca Carlevarijs (Udine 1663 Venezia 1730) Il Ponte votivo per la festività della Madonna della Salute, particolare. 1720 circa. Wadsworth Atheneum Museum of Art Hartford

21 novembre. Ogni anno in questo giorno a Venezia si festeggia mangiando la castradina sc'iavona, un piatto antico a base di carne di montone che risale al 1600. Ma prima di tutto vi chiedo: perchè ho messo come foto di apertura un ponte di legno che ora a Venezia non esiste? IQuesto ponte non esiste, ma ogni anno in occasione della festa di ringraziamento alla Madonna della salute, il 21 novembre appunto, un ponte di legno viene ricostruito. È un ponte votivo, un ponte provvisorio su barche che attraversa il Canal Grande e collega la zona di San Moisè e S. Maria del Giglio (sestiere di San Marco) con la basilica del Longhena (Sestiere di Dorsoduro) per consentire il passaggio della processione.

La peste la chiesa la festa 

Nel lunghissimo periodo di isolamento patito da Venezia durante la peste che colpì tutta Europa e che il Manzoni ricorda nei Promessi Sposi, i Dalmati rifornivano la città con quello che avevano, cioè prevalentemente carne di montone, che diventò ben presto di fatto uno dei pochi cibi reperibili nel territorio.  SIn quegli anni fu fatta costruire  a Venezia una nuova chiesa per ottenere dalla Vergine Maria la cessazione della pestilenza: la Chiesa di Santa Maria della Salute. La Chiesa  sorse nell’area della Punta della Dogana, nei pressi del Bacino di San Marco e del Canal Grande. Progettata da Baldassare Longhena è oggi un simbolo dell’architettura barocca veneziana.

Ogni anno la città di Venezia celebra il 21 novembre la Festa della Madonna della Salute o Festa della Salute. Nelle macellerie veneziane e nei mercati compare la carne di montone per preparare il piatto tipico di questo momento dell’anno: la Castradina. Un piatto a base di cosciotto di montone salato, affumicato e poi stagionato, usato per fare una gustosa zuppa con l’aggiunta di foglie di verza, cipolle e vino.

https://qbquantobasta.it/cibo/21-novembre-a-venezia-e-il-giorno-della-castradina-sciavona

i passa el ponte, i compra la candela,

el santo, el zaletin, la coroncina

e verso mezzodì l’usanza bela

vol che i vaga a magnar la castradina scriveva il poeta veneto Varagnolo.

La riva degli Schiavoni 

La Riva degli Schiavoni era un tempo la porta d’ingresso alla città. Qui c'era lo scalo delle navi mercantili che giungevano in particolare dall’oriente. Un andirivieni incessante di uomini e merci, un groviglio di lingue, abitudini e abiti diversi che scaricavano prodotti, soprattutto alimentari ,oltre a ovini e bovini vivi. Questi animali arrivavano soprattutto dai Balcani e più precisamente dalla  Dalmazia e dall'Albania. Quell'area geografica veniva indicata come Sclavonia: ecco perché quella Riva si chiama “degli Schiavoni”.

Tra le merci primeggiava la carne di montone castrato, messa sotto sale e affumicata: la "Castradina Sciavona", il tipico piatto che si consuma ancora oggi in occasione della Festa della Salute, il 21 di Novembre, festa grande. (fonte: Veneziani a tavola). Una gustosa zuppa con l’aggiunta di foglie di verza, cipolle e vino, un piatto de obligo su le tole, sia dei povaréti che dei siori, nobili o mercanti. Veniva servita molto calda, con il brodo, i pezzi di cosciotto insieme alle verze sofegàe, con una generosa aggiunta di cannella e pepe, in grandi terrine.

E con i fondi tagliati a piccolissimi pezzi, si potevano preparare altre due ricette: i risi rabaltai cola castradina o i risi in cavroman.


castradina di Daniele Zennarocastradina di Daniele Zennaro

RICETTA

La Castradina della tradizione. Qui vi raccontiamo come veniva preparata la Castradina dallo chef Daniele Zennaro (era il 2014) quando lavorava al Vecio Fritolin con la mitica Irina Freguia. 

Ingredienti:

Un pezzo di carne di montone – preferibilmente il cosciotto- salata, affumicata ed essicata

sedano, carote e cipolla, chiodi di garofano, alloro e rosmarino

un cavolo verza 

olio extravergine di oliva sale e pepe

Preparazione


La carne di montone  viene messa in acqua fredda per una settimana. Il bagno d’acqua sarà rinnovato per almeno tre volte per alleggerire il sapore deciso della marinatura e della carne. 

Successivamente il pezzo di carne di montone intero viene cotto sottovuoto a vapore a circa 68 °C. Una volta ultimata la cottura la carne viene lasciata raffreddare e poi tagliata in pezzi.

Le ossa e le parti più grasse vengono messe in acqua con cipolla, carota, sedano, alloro e chiodi di garofano e lsaciate bollire circa due ore per ottenere il brodo.

Intanto tagliate la verza in foglie grandi e fatta stufare con olio extravergine di oliva, cipolla e un mestolo di acqua o di brodo di castradina.

A questo punto la carne in pezzi, il brodo e le verze stufate vengono unite per ultimare la cottura.

Come impiattare: Servire caldissimo, sistemando nel piatto un letto di foglie di verza dove appoggerete i pezzi di castradina e infine coprite con il brodo.

Suggerimento: ultimare il piatto con un ciuffo di rosmarino e una fetta di pane tostato.

Per garantirmi una sicurezza in più vi allego la pagina realtiva alla castradina dell'Accademia Italiana della cucina. castradina sciavona accademia della cucina castradina sciavona accademia della cucina

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La canzone del girarrosto

 

girarrosto camino dei primi '900, in ferro battuto con sistema girevole a carica con motore con molla Museo dello Spiedo collezione Farraboli girarrosto camino dei primi '900, in ferro battuto con sistema girevole a carica con motore con molla Museo dello Spiedo collezione Farraboli

Incominciamo il mese di ottobre con versi antichi che sanno ancora parlare al cuore di chi li legge. È La canzone del girarrosto di Giovanni Pascoli (da Canti di Castelvecchio)

Domenica! il dì che a mattina sorride e sospira al tramonto! . . .

Che ha quella teglia in cucina? che brontola brontola brontola. . . È fuori un frastuono di giuoco, per casa è un sentore di spigo. . . Che ha quella pentola al fuoco ? che sfrigola sfrigola sfrigola. . . E già la massaia ritorna da messa; così come trovasi adorna, s’appressa: la brage qua copre, là desta, passando, frr, come in un volo, spargendo un odore di festa, di nuovo, di tela e giaggiolo. La macchina è in punto; l’agnello nel lungo schidione è già pronto; la teglia è sul chiuso fornello, che brontola brontola brontola. . .

Ed ecco la macchina parte da sè, col suo trepido intrigo: la pentola nera è da parte, che sfrigola sfrigola sfrigola. . . Ed ecco che scende, che sale, che frulla, che va con dondolo eguale di culla. La legna scoppietta; ed un fioco fragore all’orecchio risuona di qualche invitato, che un poco s’è fermo su l’uscio, e ragiona.

È l’ora, in cucina, che troppi due sono, ed un solo non basta: si cuoce, tra murmuri e scoppi, la bionda matassa di pasta. Qua, nella cucina, lo svolo di piccole grida d’impero; là, in sala, il ronzare, ormai solo, d’un ospite molto ciarliero. Avanti i suoi ciocchi, senz’ira nè pena, la docile macchina gira serena, qual docile servo, una volta ch’ha inteso, nè altro bisogna: lavora nel mentre che ascolta, lavora nel mentre che sogna. Va sempre, s’affretta, ch’è l’ora, con una vertigine molle: con qualche suo fremito incuora la pentola grande che bolle.

È l’ora: s’affretta, nè tace, chè sgrida, rimprovera, accusa, col suo ticchettìo pertinace, la teglia che brontola chiusa. Campana lontana si sente sonare. Un’altra con onde più lente, più chiare, risponde. Ed il piccolo schiavo già stanco, girando bel bello, già mormora, intavola! in tavola!, e dondola il suo campanello.

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