Scritto da Fabiana Masarotti Zanuttini il . Pubblicato in Parole golose.

Carnevale Venezia Casanova

Longhi La venditrice di fritoleLonghi La venditrice di fritole

“Alzarsi alle quattro del mattino, andare in barca per tuffarsi in alto mare e ripassare per piazza S. Marco, prendere una cioccolata in vestaglia, andare e venire, pranzare bene, dormire due o tre ore, rimettersi in moto verso le sette correndo per acqua e per terra, fare visite fino a mezzanotte. Inghiottire in tutte queste ore tante limonate, caffè, cioccolate, gelati, senza cenare altro: ecco la vita di Venezia” scriveva Grosley, attento osservatore dei costumi italiani dell’epoca.

Ogni anno il Carnevale mi porta, almeno con l’immaginazione, a Venezia. E Venezia per me è sinonimo di Giacomo Casanova, uomo colto, raffinato e di grandi appetiti (in tutti i sensi). Figlio di un’attrice goldoniana e discendente di una stirpe di hidalgos, cresciuto da una nonna veneziana, studiò a Padova per avviarsi alla carriera religiosa. In seguito vestì la divisa di ufficiale di marina - destinazioneCorfù - per poi tornare a Venezia nel 1746. 
A quell’epoca - Casanova ha 21 anni - il Carnevale a Venezia regna sovrano per sei mesi l’anno; dalla prima domenica di ottobre a Natale, dall’Epifania all’inizio della Quaresima per estendersi alle due settimane dell’Ascensione. Ci si maschera anche il giorno di San Marco, a ogni elezione del Doge e a ogni nomina del Procuratore. Tutti, dal principe alla servetta, in quei giorni sbrigano le faccende mascherati e se ne vanno poi in giro allegramente per buona parte della notte.
Casanova, libertino per vocazione, non si sottrae a questo tipo di vita fatto di lusso e di facili passioni. Usa il suo amore per la tavola come elemento di seduzione e ritiene che il piacere del cibo preluda al piacere dell’alcova. Nelle sue opere e nelle sue memorie l’amore per la bella tavola, il bere e il cibo è ben documentato. Al primo incontro con la monaca M.M - la donna che forse egli amò di più fra tutte - rimase colpito dall’eleganza del pasto. Porcellane di Sèvres e scaldavivande d’argento, otto portate “fini e delicatissime” create da un cuoco francese. Spumante e champagne “occhio di
pernice” (champagne di antica tradizione dal colore ambrato). Casanova ritiene che la scelta delle vivande per una cena galante debba tenere conto di chi si invita a tavola. 

ispirandoci a Casanova foto Masarotti Zanuttini ispirandoci a Casanova foto Masarotti Zanuttini Possiamo immaginare, allora, due tavolini affiancati, uno dei quali funge da piano di servizio; candelabri, piatti bianchi, portavivande d’argento, bottiglie e bicchieri di cristallo poggiati sul tavolo di servizio (all’epoca era considerato volgare tenerli sul tavolo da pranzo), tovaglie di lino e merletti neri. Tutto a tavola era gestito secondo le regole dell'etichetta e della cortesia.

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