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Olio: analisi sensoriale

L’analisi sensoriale contro le irregolarità? Purché si agisca secondo le regole

Sentori di muffa negli extra vergini? Bene, massima trasparenza allora. Il presidente di Federolio replica a Coldiretti, Symbola e Unaprol. E denuncia: il pieno rispetto del reg. Cee 2568/91 non sempre si verifica, talvolta nemmeno nell’ambito dei controlli ufficiali. E aggiunge: si vieti alle raffinerie di vendere vergini ed extra vergini

 

Dall’indagine della Coldiretti, Symbola e Unaprol su oli extravergini di oliva (non dop e non 100% italiani) commercializzati in Italia (ma dal tenore del comunicato, non si capisce se le bottiglie campionate siano o meno rappresentative dell’intera gamma commercializzata in Italia), emergerebbe che circa il 40% dei suddetti oli sarebbe caratterizzato da presenza di muffe.

Inoltre, si legge sempre nella nota relativa all’indagine il “16 per cento delle bottiglie contiene olio derivante da olive alterate e l’8 per cento addirittura rancido”.

L’analisi organolettica che ha portato alle suddette conclusioni è stata svolta dal panel dell’Agenzia delle Dogane, dunque da un panel ufficiale. La Federolio è interessata, non meno della Coldiretti e dell’Unaprol, alla correttezza della competizione concorrenziale nel settore dell’olio di oliva e alla conformità dei prodotti a quanto in relazione ad essi dichiarato in etichetta.

La Federolio sarebbe anche ben lieta di cooperare con le suddette organizzazioni allo scopo di garantire la maggiore trasparenza possibile sul mercato e la valorizzazione delle produzioni nazionali. E’ infatti in tale prospettiva che la Federolio opera tanto nell’organizzazione interprofessionale che nel Consorzio di Garanzia dell'Olio Extra Vergine di Oliva di Qualità.

Ciò premesso, è bene dire che proprio la delicatezza e la problematicità dell’analisi sensoriale ne consigliano una utilizzazione almeno – si sottolinea almeno – conforme alla normativa che disciplina tale analisi e che contempla, prima di poter dire che un olio è organoletticamente irregolare, non una ma tre analisi, fatte con certe procedure e con il rispetto pieno del reg. Cee 2568/91 (il che, negli ultimi tempi sia detto per inciso, non sempre avviene anche nell’ambito dei controlli ufficiali).

In assenza dell’osservanza delle disposizioni di cui sopra, appare comunque azzardato arrivare a conclusioni molto tranchant sulla base del panel test. E sono vari i giudici – che non andrebbero tirati in ballo solo quando fa comodo – che hanno espresso quanto meno forti dubbi sull’attendibilità del panel.

La Federolio – che certo non è un giudice – si limita a dire questo: volete fare il panel? Rispettate almeno le norme che lo disciplinano e non dite che un olio extra vergine è organoletticamente irregolare se prima non si è fatto quello che la legge applicabile dice di fare.

Inoltre, se si parla di presenza di muffe, francamente si confondono le idee alla gente. Probabilmente il volenteroso estensore della nota diffusa da Coldiretti e Unaprol voleva dire che oltre il 40% degli oli esaminati presentava il difetto di muffa il che è tutt’altra cosa dalla presenza di muffe.

Ancora, sarebbe il caso di non fare confusione tra problemi (seri, ben inteso) relativi al livello qualitativo degli oli extra vergini e pericoli per la salute dei consumatori. Questi ultimi non stanno né in cielo né in terra e sarebbe utile tenerlo presente se si vuole fare una discussione seria e non una chiassata demagogica.

Quanto precede non deve però far pensare che la Federolio pensi che sia tutto a posto sul mercato. Semmai la questione sulla qualità va posta in termini diversi.

Che un olio extra vergine di oliva possa dirsi conforme è un conto; che possa dirsi di eccellente qualità è un altro.

La regolamentazione comunitaria sugli oli extra vergini è troppo permissiva? Deve essere perciò modificata?

La pensano così le categorie spagnole che hanno formulato in sede Copa Cogeca delle proposte in senso alquanto restrittivo rispetto alla regolamentazione vigente, suscitando però una reazione molto critica delle organizzazione agricole italiane, Coldiretti in testa.

La verità – come spesso accade – sta nel mezzo. Le proposte restrittive spagnole sono strumentalmente volte a far fuori – questo è vero – le produzioni degli altri Paesi, in primo luogo quella italiana. Tuttavia alcuni parametri possono essere riconsiderati, in primo luogo quello degli alchil esteri, anche se – come parrebbe – esso tende ad aumentare nel tempo. E non a caso un’altra questione interessante potrebbe essere quella di “ripensare” il termine minimo di conservazione consigliato per il prodotto.

Certo sarebbe stato interessante se, invece che sul panel test, l’indagine di Coldiretti e Unaprol avesse fatto leva sugli alchil esteri, parametro il cui rilievo è sempre stato fortemente enfatizzato dalle parti agricole italiane.

Interessante potrebbe essere, poi, una prospettiva volta ad affiancare al panel test – senza sostituirlo – delle analisi volte a supportarne il risultato; sarebbe bello poter dire che se all’analisi sensoriale si sente la muffa ebbene di ciò si può avere anche una conferma con un’analisi strumentale. In tal senso ci sono anche lavori interessanti e sarebbe opportuno che anche Coldiretti e Unaprol se ne interessassero.

Detto questo, la Federolio è totalmente d’accordo a riconsiderare – se del caso anche alla luce dei principi alla base delle nuove regole dettate dall’Unione europea in materia di etichettatura – le dimensioni dei caratteri delle diciture relative all’indicazione dell’origine degli oli di oliva vergini ed extra vergini. Sarebbe però significativo che ciò avvenisse non già sulla base di in decreto italiano in inevitabile rotta di collisione con il diritto comunitario, bensì sulla base di un accordo interno alla filiera, distribuzione compresa.

Ma veniamo ora alla questione dei prezzi,

E’ fortemente diffusa la lagnanza – talora con accenti fortemente polemici come nella nota di Coldiretti e Unaprol – relativa alla “giungla” dei prezzi delle confezioni di olio extra vergine di oliva sugli scaffali della grande distribuzione.

Deve subito sgombrarsi il campo da un primo grande equivoco: a parte la vera e propria piaga del “sottocosto” non è vero che un olio extra vergine di oliva, di qualità conforme alle disposizioni applicabili, non possa essere venduto ai prezzi che oggi si riscontrano a lievello distributivo.

Infatti, come tutti sanno, una ben significativa parte dell’olio extra vergine di oliva commercializzato in confezioni è di origine comunitaria (Spagna in testa) e un olio extra vergine di oliva, alla produzione (dunque allo stato sfuso), costa meno di 2 euro al chilo il che significa che al litro (sempre allo stato sfuso) costa al confezionatore italiano circa 1,80 euro Se si aggiungono le spese di trasporto, confezionamento ecc. E’ dunque del tutto plausibile un prezzo di un litro di olio extra vergine di oliva a 3 euro. Qualità eccellente? Certamente no, ma comunque un buon olio extra vergine di oliva, del tutto conforme alle disposizioni comunitarie (panel test compreso) adatto a vari usi anche in cucina.

Del resto anche per l’olio extra vergine italiano in confezioni, sembra esagerato dire che a meno di 6 euro non possa essere venduto presso la distribuzione, posto che alla borsa merci di Bari (la principale del Paese) un chilo di extra vergine è quotato circa 2,50 euro (allo stato sfuso) , per cui un litro (sempre allo stato sfuso) costa al confezionatore circa 2,30 euro per cui, aggiunte le spese, è ragionevole che un litro di olio extra vergine di oliva italiano in confezioni possa costare, per il consumatore, abbondantemente meno di 6 euro.

Quanto alla “giungla” dei prezzi degli oli extra vergini di oliva in confezioni, deve dirsi, in primo luogo, che è ovvio che gli oli extra vergini Dop e Igp, o comunque quelli disponibili in quantità ridotte spuntino normalmente prezzi maggiori dei “convenzionali” raggiungendo punte anche molto elevate.

Detto questo, i fattori alla base della suddetta “giungla” sono molteplici e non tutti – questo è vero – riconducibili al livello di qualità del prodotto posto che una rilevantissima influenza nei processi di formazione del prezzo dell’olio extra vergine di oliva in confezioni è esercitata dalle politiche di prezzo delle catene distributive, purtroppo anche con lo strumento del “sottocosto”.

Si pensi al potere della catena in questione, di “fare”, appunto, la sua politica nella determinazione dei prezzi dei vari prodotti, alimentari e non, commercializzati nelle proprie strutture.

Insomma, una grande attenzione meritano alcune prassi poste in essere dalla catene distributive, prassi che ove non gestite con grande equilibrio, possono anche determinare serie patologie nei rapporti contrattuali con i fornitori; e, per vero, tali patologie non sembrano limitate a quelle, “tradizionalmente” a carico delle condotte poste in essere dalla grande distribuzione (si pensi all’abuso di dipendenza economica), potendo ben manifestarsi anche nelle forme di contegni commerciali in contrasto con i principi della leale concorrenza. Si considerino infatti le ben note e ricorrenti patologie – tanto discusse quanto irrisolte – che caratterizzano l’operatività della grande distribuzione (ad esempio: tempi dei pagamenti; aggiramento delle norme sulle vendite sottocosto; gestione delle promozioni ecc.).

E’ poi fin troppo noto – e sorprende che giornalisti piuttosto esperti ignorino certi aspetti – che da sempre alcuni prodotti (tra cui purtroppo l’olio extra vergine di buona qualità) rientrano nel novero dei c.d. “prodotti civetta”, per cui il distributore accetta di buon grado di venderli a un prezzo anche molto basso, ben contento che ciò attragga i consumatori nei locali della grande distribuzione dove vengono loro forniti a prezzi elevati prodotti del tutto diversi appartenenti a un’infinità di aree (dalle lamette ai guanti anallergici, ai tovagliolini di carta e così via).

Su un piano generale, appare dunque raccomandabile – anche a partire dalla direttiva comunitaria, attuata anche in Italia, sulle pratiche commerciali sleali – quanto meno l’incoraggiamento di un sistema di linee guida e/o codici di condotta da applicare alla concreta articolazione dei rapporti tra grande distribuzione e fornitori; tale sistema dovrebbe tendere a prevenire le (sovente aberranti) tipologie di operatività quali quelle qui descritte.

A parere della Federolio, da quanto precede, emergono molti spunti per individuare – nella prospettiva del superamento di sterili polemiche – aree di comune iniziativa.

Ma ancora. Si vogliono prevenire le frodi? Si rafforzi allora – anche da parte di organizzazioni dell’importanza di Coldiretti e Unaprol – la posizione adottata dalla Federolio volta ad ottenere da Bruxelles il divieto per le raffinerie di vendere oli di oliva vergini ed extra vergini. Si induca Bruxelles ad affrontare con coraggio la questione superando l’angusto angolo visuale alla base della deludente risposta data finora alla questione.

E inoltre, dagli stessi dati forniti nella nota della Coldiretti e dell’Unaprol emerge che l’olio extra vergine di oliva disponibile per il commercio e l’industria italiani sarebbe di appena 200.000 tonnellate a fronte di un fabbisogno di almeno 800.000 tonnellate. I dati relativi alla disponibilità non sono certamente questi, ma molto inferiori e comunque il dato che se ne può trarre è che occorre produrre più olio extra vergine di oliva italiano e se possibile – anche produrlo con maggiore attenzione a prevenire talune problematiche (si pensi alla presenza di tracce di alcuni contaminati e antiparassitari).

di Gennaro Forcella

© RIPRODUZIONE RISERVATA

pubblicato in Strettamente tecnico > L'arca olearia
il 03 Dicembre 2011 TN n. 48 Anno 9

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