Caseifici agricoli aperti

Il 15 e 16 settembre 2018 in diciotto regioni d’Italia si potranno visitare settantadue Caseifici Agricoli e conoscere i produttori che trasformano direttamente il proprio latte. Si potranno visitare la stalla o il pascolo, vedere da vicino mucche, pecore, capre e bufale, per capire che cos’è il vero benessere animale, che cosa significa allevare gli animali rispettandoli e quanto la loro alimentazione incide sulla qualità del latte e di yogurt, burro, formaggi che l’azienda produce. E naturalmente si potranno acquistare prodotti speciali. In Friuli Venezia Giulia potrete visitare: Zore (Taipana), Bordiga (Gonars), Fabee (Sesto al Reghena), San Gregorio (Aviano), Gruden-Zbogar (Sgonico), aziende che aderiscono anche al marchio regionale Cuore caprino 100% FVG) e Zoff (Borgnano) che produce latte vaccino. Tutte le info QUI  

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Formaggio e ricotta di malga a Enemonzo

Caprini di malga ph Ennio PittinoCaprini di malga ph Ennio Pittino

44esima Mostra Mercato del formaggio e della ricotta di malga di Enemonzo, a cui collabora anche quest’anno Ersa Agenzia regionale per lo sviluppo rurale. Sabato 15 settembre 2018 alle 15.00 a Casa Fachin approfondimento guidato sulle caratteristiche dei formaggi e delle ricotte di malga rivolto a ristoratori, somministratori di prodotti lattiero caseari e gestori di agriturismi. Anche domenica 16 ci sarà un momento tecnico, alle 10.00, con il convegno “Riflessioni sulle ricadute positive nelle produzioni di malga dovute alla corretta interazione tra razze alpeggiate, alimentazione e gestione dei pascoli”. Relatore il prof. Giulio Cozzi dell’Università di Padova, dipartimento di medicina animale, produzioni e salute. Il tecnico Ersa Ennio Pittino approfondirà l’argomento delle commissioni e i criteri di valutazione delle produzioni di alpeggio. Al  concorso del formaggio e della ricotta di malga sono previste infatti due commissioni di valutazione dei prodotti di malga del Friuli Venezia Giulia, convocate da ERSA: la prima giudicherà i “formaggi di malga” prodotti nella stagione 2018 e presentati al concorso, la seconda premierà le “ricotte affumicate” e, per la prima volta, i “formaggi caprini”. La scelta di allargare il concorso a questa categoria deriva dal fatto che ci sono circa 10 malghe che hanno iniziato a produrre formaggelle a latte caprino in purezza. Alle 17.00  di domenica cooking show  con  rivisitazione e degustazione aperta al pubblico dei prodotti di malga.

Ricotte affumicate di malga ph Ennio PittinoRicotte affumicate di malga ph Ennio Pittino

Buono a sapersi
Nella nostra regione sono 161i  pascoli utilizzati per l’alpeggio e censiti nel 2013: 48 sono dotati di idonee casere registrate per la trasformazione casearia. 24 malghe producono secondo il disciplinare delle PPL (Piccole Produzioni Locali); 3 rientrano nel presidio Slow Food “Çuç di mont”; 1 malga è registrata con produzione BIO e un’altra con i riconoscimenti PDM (Prodotto Di Montagna) e DOP (produzione Di Origine Protetta). Ersa, in questo settore, garantisce un’assistenza specializzata indirizzata prevalentemente alle attività di trasformazione lattiero-casearia in quota. 

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Tra monti e pecore alla scoperta del Montèbore

 

Pubblichiamo il racconto secondo classificato alla terza edizione del concorso "Raccontate il formaggio del cuore", indetto da Ecomuseo delle Acque in collaborazione con il comune e la Pro loco di Gemona del Friuli, La condotta Slow food della Carnia "Gianni Cosetti" e il mensile di gusto qbquantobasta. Ringraziamo Eleonora Gaspari per l'appassionato reportage. "Ognuno di noi ha sicuramente un cartone animato del cuore, che ci ha fatto sognare e che ancora oggi ricordiamo con una sorta di nostalgia, di quando si era piccoli, spensierati e l’unico problema era quello di non sbucciarsi le ginocchia, altrimenti chi la sentiva la mamma! Il mio cartone preferito è stato senz’altro Heidi, dolce, curiosa, determinata e piena di vita che riesce perfino a intenerire il cuore del nonno dal carattere burbero, rude e piuttosto silenzioso. Io, che abitavo in città, vedevo Heidi come una bambina fortunata con le sue corse in mezzo ai campi, il suo amico a quattro zampe, Nebbia, il suo compagno di avventure Peter e le sue bellissime caprette Bianchina e Bella. A distanza di anni vivo ancora in città, Heidi rimarrà sempre il mio cartone animato del cuore, ma… da Natale dell’anno scorso, posso dire di avere anche io una capretta, anzi per la precisione una pecora, ma non una pecora qualunque, una pecora da Montébore che vive nelle valli Piemontesi. L'ho adottata grazie al mondo dei social, come regalo di Natale. Non è stato semplice da spiegare, molta gente l’avrà interpretata come l’ennesima mia pazzia. In realtà è stata una scelta dettata dal cuore, dal mio amore per i formaggi e dalla voglia di mantenere in vita un pezzo della cultura gastronomica italiana, ossia il formaggio Montébore prodotto nell’Alessandrino e annoverato tra i formaggi tutelati dal Presìdio Slow Food. 

L’adozione è una forma originale per aiutare il caseificio al proprio mantenimento, alla sussistenza del bestiame e alla salvaguardia e produzione del formaggio, che altrimenti andrebbe perso. Durante la festa dedicata alle famiglie adottive ho avuto la possibilità di conoscere la mia “Bianchina”, di mungerla e di assistere alla produzione del formaggio. Insomma mi sono sentita una piccola Heidi. Il formaggio Montébore è un formaggio a latte crudo, attualmente prodotto solo da una cooperativa che grazie alla ricetta dell’unica depositaria, Carolina Bracco, è stato rimesso in produzione dopo un lungo periodo di fermo. E' prodotto nella sola zona delle Valli Curone e Borbera ed è composto al 75% da latte vaccino, di  quattro razze diverse di mucche, le Brune Alpine, le Tortonesi, le Genovesi e la Cabannina, mentre il restante 25% è latte ovino, prodotto appunto della pecora Montébore. 

monteboremontebore

La tradizione del Montébore è antichissima e sulla paternità della tipica forma a torta nuziale, 3 formelle a dimensione decrescente, vi sono opinioni diverse. C’è chi la attribuisce  alle nozze che si tennero a Tortona nel 1489 tra Isabella d’Aragona e Gian Galeazzo Sforza, quando l’unico formaggio contemplato nel menù, era proprio il Montébore: la forma è stata interpretata come un omaggio ai novelli sposi. Altri, invece, ritengono che sia da ricondursi ai torrini del Castello di Montébore, frazione del comune di Dernice in provincia di Alessandria, la cui peculiarità è proprio data dalla forma a torta nuziale. Tuttavia, la nascita di questo prelibato formaggio, sembrerebbe ancora più antica, grazie all’arte casearia dei monaci benedettini dell’Abbazia di Santa Maria di Vendersi, ubicata sul monte Giarolo attorno al quale si svilupparono le tre Valli Grue, Curone e Borbera. Ed è proprio in queste valli che i contadini durante tutto l’anno producevano il formaggio. Nel periodo invernale stavano a valle, dove il bestiame veniva ricoverato nelle stalle e nutrito principalmente con il fieno prodotto durante il periodo estivo. In estate, invece,  si trasferivano nelle baite assieme al bestiame che poteva quindi nutrirsi di erba fresca, ricca di principi nutritivi regalando un sapore più intenso e corposo al latte, dando vita a un formaggio dal gusto pieno, ricco e saporito. 

 Il latte di pecora è meno grasso rispetto a quello vaccino, ma il tipico sapore pungente e leggermente salato conferisce al formaggio una nota piccante naturale che viene esaltata ancora di più con una stagionatura di quattro o cinque mesi.  Il Montébore come detto precedentemente, è un formaggio a latte crudo, ossia lavorato appena munto e quindi a una temperatura compresa tra i 35° e 37°.  I contadini all’interno delle stalle avevano una zona dedicata alla produzione del formaggio e ciò faceva in modo che  il latte non si raffreddasse ma mantenesse la giusta temperatura. Una volta versato il latte di vacca e di pecora all’interno di grossi recipienti (oggi si usano delle vasche in rame) veniva aggiunto del caglio naturale, solitamente l’abomaso del vitello. Una volta che il contadino aveva aggiunto il caglio naturale al latte, attendeva circa un’ora così che si formasse la cagliata. Trascorso il tempo di rapprendimento, la cagliata veniva rotta ottenendo dei grumi della dimensione di una noce, dopo un ulteriore riposo di circa mezz’ora,veniva ulteriormente rotta così da avere dei grumi della dimensione di una nocciola. Il prodotto ottenuto veniva posto nelle formelle, chiamate “ferslin”, dal diametro decrescente. Nella mezz’ora successiva per favorire la fuoriuscita del siero, la pasta veniva girata per quattro o cinque volte, quindi ogni formella veniva salata a mano e riposta in un luogo fresco per le successive 10 ore. Trascorso il tempo di riposo, il contadino toglieva il formaggio dai ferslin e le forme venivano sovrapposte così da creare la tipica forma della torta nuziale o “castellino”. 

Le forme venivano poi messe a stagionare in un luogo fresco e asciutto. Il Montébore viene ancora prodotto come vuole la tradizione, utilizzando le formelle di diverso diametro, il tutto a mano, senza l’aiuto di macchinari ma solo con la sapiente maestria dei casari, che con amore e passione danno vita a questo piccolo gioiello gastronomico.  E’ possibile degustare il Montébore già dopo 20 giorni. In questo caso avremo un formaggio a pasta morbida e pastosa, dal sapore delicato e dolciastro. Per una stagionatura media si dovranno attendere due mesi, mentre gli amanti del formaggio stagionato, potranno degustarlo dal quarto/quinto mese e potranno percepire il piccante dato dal latte di pecora che si sposerà perfettamente con composte di frutta e verdure dolciastre quali zucca, zucchine e verza. Dopo i 6 mesi di stagionatura il Montébore può essere utilizzato in sostituzione del formaggio da grattugiare. Il Montébore è un formaggio a tutto tondo, che accontenta il palato di tutti gli amanti del formaggio che colgono ogni minima sfumatura grazie al mix di latte vaccino e di pecora. Un formaggio che grazie all’alimentazione invernale o estiva del bestiame può conferire sentori diversi lasciando inalterato il carattere e la leggera piccantezza. Il Montébore è sicuramente il formaggio del mio cuore perché grazie all’adozione lo sento un po’ anche mio, perché la sua storia mi ha affascinata dal primo momento che l’ho letta e perché lui un po’ mi rappresenta dolce ma all’occorrenza pungente, morbida ma quando serve dura e decisa. Ed è proprio dalle note pungenti, piccanti e decise di questo formaggio e dal noto proverbio toscano “Al contadino non far sapere quanto è buono il cacio con le pere”, che ho cercato di esaltare al meglio il Montébore, stagionato cinque mesi, utilizzandolo per mantecare un risotto, abbinandolo a delle pere Williams spadellate con burro e rosmarino; il tutto guarnito dalla granella di nocciole, naturalmente piemontesi. Ho utilizzato anche del burro di malga per non snaturare la ricetta".  

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 Leggi anche come realizzare la ricetta Risotto mantecato al Montebore con pere spadellate

 

 

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Latteria Campolessi di fossa

Con il tempo delle festività è arrivato anche il Campolessi di fossa. E' rientrato dopo 100 giorni di maturazione nella fossa di stagionatura dei Malatesta a Roncofreddo nella Valle del Rubicone. Un luogo magico, racconta Etelca Ridolfo,  dove Renato Brancaleoni e la figlia Anna affinano formaggi, secondo una tradizione di  radici antichissime. La Famiglia Brancaleoni risiede a Roncofreddo da oltre 250 anni e l'affinamento altro non è che il ripetersi di una tradizione che ha radici antichissime. La Fossa dell’Abbondanza infatti, è un antico locale di stagionatura situato al piano terra del trecentesco Palazzo Dominici. Renato Brancaleoni è affinatore di fama internazionale, docente ad ALMA scuola di alta cucina, direttore di Alma Caseus. 

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Conoscete il Cevrin di Coazze?

"Raccontate il vostro formaggio del cuore" è il titolo di un concorso per food writers e food blogger che l'Ecomuseo delle Acque di Gemona del Friuli propone da tre anni in collaborazione con il Comune e la Pro Loco di Gemona, la condotta Slow food della Carnia "Gianni Cosetti" in collaborazione con il nostro mensile, per la valorizzazione dei formaggi a latte crudo.  La giuria tecnica per l'edizione 2017 era formata da Federico Mariutti chef, Bruno Franzil tecnico esperto in produzioni lattiero casearie e Fabiana Romanutti, direttore di qbquantobasta. Tutti davvero interessanti e di piacevole lettura i racconti ricevuti. Precisiamo che la valutazione finale deriva dalla somma di tre diversi punteggi che riguardano a) il formaggio presentato b) la ricetta c) la narrazione. Qui Beatrice Di Tullio blog www.betulla.eu  ci racconta il "Cevrin di Coazze”.  Il suo articolo è stato segnalato dalla giuria per il taglio giornalistico del racconto.


Tutto ha inizio con una piccola capra dal manto lucido e marrone, la “capra camosciata delle Alpi” (deve il suo nome alla somiglianza del vello con il celebre cugino selvatico, il camoscio). Frugale nell’alimentazione, agile e affettuosa, si adatta benissimo alle condizioni estreme dei pascoli d’altura. Queste caratteristiche hanno fatto in modo che dall’originaria Svizzera, la capra camosciata si diffondesse in molti paesi europei, e in Italia soprattutto sull’arco alpino
(Piemonte e Trentino). In alta Valle Sangone (in provincia di Torino) da tempo immemore i pastori usano il latte di queste piccole capre marroni per produrre il rinomato Cevrin di Coazze, un raro formaggio a latte crudo (di solito caseificato con percentuali variabili di latte vaccino). I pascoli magri e impervi d’alta quota, habitat ideale delle capre camosciate, rendono l’idea dell’eccezionalità di questo formaggio, che anche nel nome richiama le simpatiche bestiole dalle magnifiche corna.

Il Cevrin è un formaggio prodotto nel territorio di Coazze e Giaveno, esclusivamente nella stagione dell’alpeggio (tra marzo e novembre) con il latte vaccino della munta serale (latte delle vacche di razza Barà Pustertaler parzialmente scremato per affioramento), mescolato al 30-45% con il latte caprino della munta del mattino. Alla miscela ottenuta, riscaldata, viene aggiunto del caglio liquido di vitello. Dopo circa un’ora la cagliata è rotta finemente e posta in fascere o in teli dove subisce una leggera pressatura. Infine le forme, salate a secco su entrambi i lati, vengono poste a stagionare per almeno tre mesi in grotte naturali (devono però essere girate e pulite quotidianamente). I caci (a forma cilindrica di 15-18 cm, scalzo di 7-10 cm e peso variabile dai 0,8 a 1,4 Kg) hanno crosta rugosa e umida di colore rosso aranciato, con muffe grigie che fioriscono naturalmente durante la stagionatura.
Il risultato è un formaggio complesso, dal cuore morbido, ma non troppo cedevole, caratterizzato dai profumi intensi e persistenti (gli esperti identificano aromi di legno secco, di sfalcio di prato, di vello). Più semplicemente assaggiare il
Cevrin significa aspettare che in bocca cominci a sciogliersi liberando note di nocciola, di fieno e burro (quasi piccanti nelle forme più stagionati) che compongono un sapore inconfondibile. Tecnicamente c’è chi classifica il Cevrin come una toma, chi come una robiola. Ma chi lo assaggia sa che il Cevrin è Cevrin. Inconfondibile, complicato, variabile. Straordinario, e come tutte le cose non convenzionali estremamente fragile. Come detto il Cevrin è intrinsecamente legato alla Valle Sangone, che probabilmente proprio per la sua posizione “laterale” isolata e chiusa, rispetto alla parallela Valle di Susa (area di passaggio e collegamento con la vicina Francia), è riuscita a custodire immutata nei secoli la tecnica casearia che genera il Cevrin. Sono state condotte indagini in archivio per cercare di documentare le radici di questa eccellenza, ma le ricerche si sono arenate di fronte a una conoscenza prettamente orale, che ogni famiglia tramanda di generazione in generazione (non è un caso che oggigiorno i produttori di Cevrin portino quasi tutti il cognome Lussiana).


Un tempo il Cevrin era prima di tutto merce di scambio e fonte di sostentamento nella risicata economia dei montanari della valle, che settimanalmente lo portavano al mercato di Giaveno (sulle spalle dentro a gerle di legno, che al ritorno erano riempite di pane), dove lo vendevano, non senza difficoltà. Il “carattere forte”del Cevrin non facilitava le cose: il numero sempre più esiguo di estimatori e tempi dai gusti facili e omologati hanno rischiato di compromettere per sempre la produzione di questo formaggio. Fortunatamente dagli anni Duemila un Presidio Slow Food tutela il Cevrin, che da “sapore in via d’estinzione” è passato a essere una specie di volano per l’immagine turistica della rigogliosa Valle Sangone. Grazie a questo riconoscimento tantissimi oggi conoscono il Cevrin, lo apprezzano, e intorno alla metà di ottobre non mancano di salire a Coazze per la Festa Rurale, occasione ideale per accaparrarsi un’ambrata forma di Cevrin (la maggior parte della produzione è venduta proprio durante la tradizionale manifestazione autunnale durante la quale le capre camosciate addobbate a festa scendono dagli alpeggi e attraversano il paese). Il campanile di Coazze, che pare abbia ispirato il nobel Pirandello in vacanza nel paesino presso la sorella, reca dipinta la frase “ognuno a suo modo”. Il motto, all’epoca dipinto per calmare gli animi sulle divergenze sorte durante la costruzione della torre campanaria, oggi appare quasi profetico. Inno e vessillo di un’originalità faticata, testarda e caparbia, che ha salvato il prezioso Cevrin, che oggi distingue e rappresenta il suo intero territorio di produzione. 

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Bibliografia, sitografia:
-Il Gusto del formaggio. Conoscere le forme del latte. Slow Food editore, 2015.
-Fondazione Slow Food https://www.fondazioneslowfood.com/it/presidi-slow-food/cevrin-di-coazze/
-Caratterizzazione della produzione tradizionale regionale dei prodotti lattiero-caseari: Toma del lait brusc,
Murianengo, Formaggio crosta rossa, Cevrin di Coazze (ricerca finanziata dalla Regione Piemonte).
-Comune di coazze http://www.comune.coazze.to.it/cevrin-di-coazze/
-Festa Rurale del Cevrin di Coazze http://www.betulla.eu/cevrin-di-coazze-16festa-rurale/
-Le specialità della Valle sangone http://www.betulla.eu/le-specialita-della-valle-sangone/
Ringrazio Giancarlo Lussiana (il casaro nella foto) per avermi raccontato il “Cevrin” e per avermi portata sui pascoli d’altura dove da sempre la sua famiglia produce il Cevrin ogni estate (malga Sellery inferiore).

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Formandi per gustare i formaggi di montagna

Formadi di mont, ph. Ennio PittinoFormadi di mont, ph. Ennio Pittino

Da giovedì 30 novembre a domenica 3 dicembre 2017 a Sutrio (UD) si svolgerà “FORMANDI – sapori e formaggi di montagna”, appuntamento organizzato da Friulmont e articolato in tre momenti: uno formativo, il master, uno dedicato alla valorizzazione dei prodotti con la PRIMA ASTA dei formaggi della regione e infine una degustazione pubblica. 

ph. Ennio Pittinoph. Ennio Pittino

Giovedì 30 novembre e venerdì 1 dicembre MASTER sui formaggi nelle sale dell'ISIS Linussio di tolmezzo, promosso da Slow Food e condotto da Roberto Rubino, Presidente dell’ANFOSC. Il corso è rivolto agli studenti degli Istituti alberghieri e professionali (in orario scolastico) e a chi è appassionato o interessato, previa iscrizione (dalle 18.00 alle 22.00).  Il costo è di 100,00 Euro, 75,00 per i tesserati Slow Food. 

Sabato 2 dicembre ASTA dei formaggi a Sutrio, dove la Cjase dal len (Casa del legno) ospiterà la PRIMA ASTA dei formaggi di malga del Friuli Venezia Giulia, rivolta a operatori del settore alberghiero, della ristorazione e del commercio interessati ad acquistare i prodotti della monticazione 2017.

malga Lavareitmalga Lavareit

Protagonisti i migliori formaggi di 20 malghe da latte della Carnia, del Canal del Ferro-Val Canale e del Pordenonese - che per la prima volta si mettono assieme per valorizzare la qualità delle loro produzioni, abbinamento con i migliori vini del Friuli Venezia Giulia e della Slovenia selezionati da Slow Wine. Costo dell’iscrizione 15,00 euro. Domenica 3 dicembre DEGUSTAZIONE Montagna e vino Negli spazi della ex segheria di Sutrio  alle 10,00  laboratorio / degustazione alla cieca, di 5 vini premiati dalla guida Slow Wine 2018 del Friuli Venezia Giulia e della vicina Slovenia. A seguire il gioco "Caccia al Vino in enoteca”. Quota di partecipazione: 15 euro.

malga Fossa di Saronemalga Fossa di Sarone

 

L’ing. Paolo Stefanelli, direttore generale dell’ERSA, ha sottolineato in sede di conferenza stampa: “Crediamo in questo progetto di valorizzazione delle produzioni lattiero-casearie di malga, che sono peculiarità agroalimentari frutto del mantenimento dell’attività zootecnica in area montana. – Prosegue Stefanelli - I nuovi orizzonti di questo settore permettono di intravedere un costante sviluppo legato alla corretta gestione del patrimonio agro-pastorale da parte dei malghesi. I formaggi, le ricotte ed il burro, ricavati in tale contesto, hanno caratteristiche qualitative particolari, con aromi e sapori inimitabili perché derivano dal latte di bovine allevate al pascolo, in ambiente salubre, alimentate con foraggi spontanei e ricchi di essenze pregiate. Il ricambio generazionale, in atto da alcune stagioni, sta evidenziando una maggior attenzione anche verso la funzione agrituristica degli alpeggi, mirata a valorizzare territori, ambienti, culture e sapori tradizionali. La costante attività di assistenza lattiero-casearia garantita da ERSA, unitamente agli strumenti e conoscenze tecniche messi a disposizione, sono indirizzati a consolidare il trend positivo di miglioramento delle produzioni delle malghe della nostra regione.” INFO QUI 

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Come si abbina il pane con il formaggio?

Pane e formaggio. Un abbinamento classico che ha quasi il profumo di tempi passati. Eppure nell’arte casearia e in quella della panificazione troviamo riassunti tanti elementi. Fresco, semistagionato, stagionato: ognuno preferisce il formaggio seguendo il proprio gusto… E il pane? Spesso svolge solo il ruolo di “contenitore”. Al contrario, anche con pane e formaggio è possibile ricercare l’abbinamento ideale, nel quale le caratteristiche e le peculiarità di entrambi vengano valorizzate ed esaltate vicendevolmente. Nel corso della Festa delle Risorgive a Cinto Caomaggiore, con la validissima e preziosa collaborazione del panificatore Enzo Marinato, ho proposto una serata con vari abbinamenti. Da formaggi di latte vaccino, da un “fresco” a uno “stagionato”, ai pani con lievito madre e farine “povere” o grissini. Abbinamenti che tengono conto sia dell’intensità e persistenza dei profumi e degli aromi al naso e al palato, sia della sensazione tattile, sia alla consistenza.

1- Pane alle noci – formaggio a pasta molle tipo Stracchino
Pane di colore beige leggermente brunito a lunga fermentazione, con noci al naturale non tostate. E’ un pane molto morbido e soffice che accoglie un formaggio molle, neutro, pulito. I sentori olfattivi “semplici” del formaggio parlano di latte, yogurt, e leggero burro fresco. In bocca le noci caratterizzanti il pane, trovano stemperata quella pseudo-tannicità nel morbido formaggio fresco. La sofficità del pane accompagna la masticazione del formaggio morbido, lasciando un palato con il ricordo di una bella dolcezza accompagnata da una leggera nota acida.

2- Pane al Farro integrale – Formaggio Latteria mezzano
Formaggio a latte crudo di media consistenza che manifesta anche una percettibile elasticità. Al naso i sentori sono di latte e burro cotto, mou, fieno, brodo di carne e noci. Il formaggio di buon corpo e corredo aromatico di buona prestanza richiede un pane compatto dal sapore netto e definito. Ideale un pane nel quale è stato utilizzato il lievito madre, che trae da esso leggere note dolciastre e lievemente acidule tale da non risultare mai aggressivo o amaro ma decisamente bilanciato.

3- Grissini all’Olio EVO – Latteria fresco
Formaggio dal colore giallo paglierino molto tenue, caratterizzato da elasticità e buona adesività. Si esprime al naso con sentori freschi e giovani di latte, burro, yogurt, mollica di pane, è molto solubile in bocca con finale tendenzialmente dolce e rimandi di leggera sapidità. L’abbinamento con i grissini all’olio extravergine di oliva risulta decisamente un classico, e punta alla valorizzazione del formaggio sfruttando la friabilità del grissino. Sorprendente la sensazione tattile al palato: l’elasticità e l’adesività del formaggio vengono recuperate dalla friabilità del grissino, che si esprime con note di pane biscottato e fragranti, riportando la bocca in sostanziale equilibrio.

4- PanPolenta – Formaggio affinato al Sambuco
Caratterizzato da una crosta marchiata dal sambuco, questo formaggio si presenta a macchie di color rosso e con una umidità piuttosto evidente. Al naso si percepiscono sentori animali di stalla, latte fuso e cuoio bagnato. Al palato ha una buona consistenza e nel finale, la sensazione dolce-sapida lascia via via il posto alla sola dolcezza. Il PanPolenta è un pane che in cui viene inserita, nell’impasto, la polenta cucinata la sera prima. Il risultato è quello di un pane con umidità molto accentuata tanto da risultare particolarmente adatto a bilanciare, in bocca, l’impastamento provocato dal formaggio, agevolando la deglutizione. I granelli di mais in superficie rendono questo pane accattivante anche nella presentazione.

5- Pane al Farro e Segale – Formaggio Ubriaco
Formaggio a pasta dura, affinato sotto le vinacce per 13 mesi. Presenta all’olfatto note delicate ed eleganti di latte cotto e buro fuso, patate bollite, vinacce e castagne bollite. Al palato regala un’originale alternanza di dolce e salato, con finale di leggera piccantezza. Per un formaggio piuttosto deciso è stato abbinato un pane color testa di moro con lievito madre e malto tostato; un pane che caratterizza la bocca con i tipici sentori della tostatura e offre compattezza ad un formaggio ugualmente resistente.

6- Pane alle Pere – Montasio Stagionato Dop
Formaggio di 18 mesi a pasta dura color giallo dorato. I profumi sono molteplici e vanno dal burro fuso al fieno, dalle noci al miele, dalle castagne ai sentori animali. Si tratta di un formaggio importante caratterizzato da una lunghissima persistenza e decisa consistenza, con finale di bocca  sapido. Di contro, il pane con lievito madre è caratterizzato da morbidezza e umidità generate soprattutto dalla centrifuga di pere inserita nell’impasto. Questa compensazione tra morbidezza del pane e consistenza del formaggio sembra portare verso l’abbinamento perfetto. A seguire, la dolcezza del pane nel contrastare la sapidità del formaggio lascia la bocca in perfetto equilibrio nel ricordo del classico “formaggio con le pere”.

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Chiedilo a qb

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Non edibile. A proposito di bucce. E di croste.

A proposito di formaggi, argomento di grande attualità, e su bucce di agrumi, riproponiamo un articolo uscito sul mensile cartaceo qbquantobasta nel maggio 2016 a firma Michela di Maria. Ci piacerebbe ricevere qualche commento da parte dei nostri lettori.  Non EDIBILE: come, dove e soprattutto perché. Sempre più spesso compare l'indicazione “non edibile” su buccia di agrumi, crosta di formaggio o involucro per l'insacco dei salumi, prescrizione che ne vieta la commestibilità. La dicitura viene riportata sull'etichetta, qualora questi cibi siano confezionati, o in cartelli posti in prossimità del prodotto se venduto sfuso e preincartato (ovvero confezionato nel punto di acquisto del consumatore).
Gli agrumi diventano esternamente non utilizzabili a fini alimentari a causa dell'uso di sostanze chimiche che evitano la formazione sulla superficie di muffe o danno ai frutti un aspetto più luminoso e lucido. A differenza dei frutti a buccia sottile, gli agrumi possono essere trattati con dosi molto più elevate di queste sostanze e la buccia, in questi casi, non può più entrare a far parte dell’alimentazione umana sotto forma di frutta candita, liquori quali il limoncello, ingrediente dolciario o anche attraverso la spremitura meccanica. Generalmente i frutti biologici non subiscono trattamenti di superficie ma anche quelli che sono posti in vendita con le foglie evidenziano l'assenza di lavorazioni post raccolta, che ne provocherebbero la perdita o la lacerazione. La Corte di Giustizia Europea ha recentemente respinto il ricorso della Spagna che chiedeva l'annullamento dell'indicazione dei trattamenti effettuati sugli agrumi post raccolta, ribadendo la volontà sempre più spinta dell'Europa di tutelare il consumatore anche attraverso la sua corretta informazione.


Altra è la questione dei formaggi che riportano la dicitura “non edibile” sulla loro crosta. Infatti per questi alimenti la dicitura potrebbe essere segnale sia di trattamenti antimuffa sia di copertura con cera o plastica, ma potrebbe essere dettata anche da una questione igienico-sanitaria. Infatti alcuni produttori caseari suggeriscono di non consumare la crosta in quanto potenzialmente contaminata da Listeria monocitogenes, microrganismo patogeno, che può causare malattia al consumatore e che la norma comunitaria (Reg.CE 1441/07, sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari) vuole assente nei prodotti alimentari. L'uso di questa avvertenza può essere un alibi per i produttori meno attenti al fine di abbassare la guardia riguardo il rispetto di standard elevati di igiene.
Acquistare un formaggio con la crosta non mangiabile, oltre a essere uno snaturamento di un cibo che da sempre viene apprezzato nella sua interezza, significa anche scegliere un prodotto con un grado di sicurezza alimentare inferiore, molto spesso allo stesso prezzo di uno qualitativamente migliore. Risulta sempre più determinante scegliere leggendo le etichette e soprattutto saperle leggere tra le righe per un indirizzo qualitativo sia a livello igienico ma anche, e sempre più, a livello nutrizionale.

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Come degustare i formaggi

Nel numero di luglio del mensile cartaceo qbquantobasta è stato pubblicato questo apprezzatissimo articolo, che riproponiamo on line in occasione del convegno "Dal latte alla tavola" che l'Accademia Italiana della Cucina Delegazione FVG propone il 23 settembre 2017 a Gorizia alle 15 nella sede di casa Sticsa Krainer in via Rastello. "Le innumerevoli trasmissioni televisive che affollano i vari canali, satellitari o terrestri, con programmi aventi per oggetto la cucina hanno portato alcuni a scoprirsi giudici severissimi delle varie preparazioni, senza peraltro avere la possibilità di assaggiarle; altri invece a scoprire la necessità, e il piacere, di sapere qualcosa in più sull’argomento. E ben venga la curiosità che porta a uno sviluppo del gusto! Nel linguaggio comune il gusto è l'insieme delle sensazioni che si provano mettendo in bocca un cibo o una bevanda. Tuttavia queste sensazioni non sono le sole con le quali giudichiamo un alimento: usiamo anche l'olfatto, la vista (il solo senso che utilizza il giudice di cui sopra), il tatto, l’udito. Quindi il gusto va considerato come una percezione globale, costituita da tutte le sensazioni che un alimento ci trasmette e che utilizziamo per dare un giudizio. Come gustare al meglio un formaggio, lasciando le degustazioni in termine strettamente tecnico ai panel di professionisti?
Dovremo sottoporre il nostro formaggio a un esame visivo, olfattivo e gusto-olfattivo, ma prima dovremo rispettare alcune regole importanti. Chi ama il vino sa che la temperatura di servizio è fondamentale: per il formaggio vale lo stesso principio, anche se il discorso è più semplice. I formaggi vanno quasi tutti assaggiati a temperatura ambiente, salvo quelli più freschi e cremosi che richiedono temperature leggermente più basse.
Molto importante è la scelta del coltello: vale la regola che più la pasta è molle e più la lama deve essere sottile e stretta. Al limite, per paste molto molli si può usare un filo metallico. Con i formaggi a pasta dura, invece, vanno usati coltelli a lama larga e spessa. Con formaggi che presentano una grana grossolana, come il Grana o il Parmigiano, ma anche alcuni Latteria stagionati, si usa il classico coltello a mandorla che "spacca" il formaggio per
esaltarne la granulosità.

Selezione di formaggi della Malga alta CarniaSelezione di formaggi della Malga alta Carnia

Dal momento in cui viene tagliato, il formaggio entra in contatto con l'ambiente esterno ma soprattutto con l'ossigeno dell'aria, che porta a un graduale peggioramento delle caratteristiche. È quindi opportuno acquistare quantità piccole di formaggio e consumarle nel tempo più breve possibile. Rispettati i criteri basilari sopra elencati, possiamo passare all’analisi sensoriale del formaggio.
Le prime caratteristiche da valutare sono la forma, le dimensioni e le caratteristiche della crosta. Quest'ultimo dato ci informa sulle caratteristiche di lavorazione. Per esempio le croste fiorite sono caratterizzate da presenza
di muffe sulla superficie; le croste lavate caratterizzano i formaggi maturati lavando la crosta con siero, salamoia, olio o alcol; inoltre le croste possono essere lisce, rugose o canestrate a seconda del contenitore nel quale è stata
posta la cagliata per dare la forma.  L'unghiatura è la parte sottostante la crosta, che assume generalmente un colore più scuro: deve essere presente, ma non troppo spessa ed evidente. L'occhiatura è la presenza di buchi all'interno della forma: è bene che sia ripartita regolarmente, con dimensioni omogenee dei fori.La consistenza della pasta si esamina al tatto: può essere molle, semidura o dura, elastica, granulosa, untuosa, secca.


I profumi che un alimento può offrirci sono molteplici, e infatti l'analisi olfattiva è la più complessa tra le analisi sensoriali. Il momento più difficile è quello di identificare, dandogli un nome, un particolare odore che percepiamo distintamente. Le principali famiglie degli odori riferiti al formaggio sono: odori lattici (latte fresco, latte acido, latte bollito, yogurt, burro, panna); odori vegetali (erba, muschio, fieno); odori speziati (pepe, noce moscata, zafferano, chiodi di garofano,); odori floreali; odori di tostato (cioccolato, caramello, vaniglia, di bruciato, di affumicato); odori animali (stalla, cuoio, pelo di animale). Come gusti si possono riconoscere unicamente il dolce, il salato, il piccante, l'acido, l'amaro e l’astringente. Gli aromi, ovvero le sensazioni olfattive che ritornano per via retronasale, saranno simili ai profumi percepiti con l'olfatto ma modificati, resi più complessi. La persistenza gusto-olfattiva è la durata del sapore, che può variare da qualche secondo fino a oltre 30 secondi. Da ultimo, si potrà valutare la consistenza in bocca, che può essere dura, elastica, deformabile, fine, granulosa, gommosa.
Il discorso può sembrare complesso, in parte lo è, ma apre un mondo di nuove sensazioni".

credit foto Ennio Pittinocredit foto Ennio Pittino

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A Cheese 2017 presentato il ÇUÇ

"La presenza a Cheese 2017 del Friuli Venezia Giulia, grazie a Slow Food, in collaborazione con  Ersa e PromoTurismoFvg con la Strada del Vino e dei Sapori, conferma una volta di più la bonta della scelta di far conoscere e dare valore aggiunto alle nostre produzioni casearie. Strada lunga e su cui c'è ancora molto da fare, ma fondamentale, per rilanciare l'intera zootecnia da latte e far conoscere l'eccezionale qualità dei nostri prodotti a partire da quelli della montagna come il "cuc", nuovo presidio Slow Food e oggi rappresenta i nostri formaggi di malga ", sottolinea 'assessore regionale alle Risorse agricole e forestali, Cristiano Shaurli, commentando il successo della presenza della Regione alla 20/ma edizione di Cheese, la più grande manifestazione della produzione casearia artigianale, in corso fino al 18 settembre a Bra (Cuneo).  La Regione FVG è presente a Bra con uno stand istituzionale di 50 metri quadri, che propone ai visitatori frico e assaggi di formaggi a latte crudo di tutta la regione, sia presidi Slow Food, sia marchio AQUA, sia di altre piccole produzioni locali. Allo stand realizzato da Slow Food Friuli Venezia Giulia in collaborazione con Ersa e Promoturismo, hanno aderito 18 produttori regionali di formaggio a latte crudo. Sono state rappresentate tutte le categorie: dal latteria al Malga, dal latte di capra al latte vaccino. Inoltre c'erano anche i prodotti dei Presidi Slow Food: il Formaggio di Latteria Turnaria, il Formadi Frant e, appunto, il nuovissimo Formadi çuç. I formaggi sono stati degustati dal pubblico in abbinamento con i vini bianchi di una ventina di cantine regionali della Strada del vino e dei sapori, che hanno aderito alla manifestazione.

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