Professione: affinatore di formaggi

 

crivellaro

In Francia l’affinatore di formaggi è una figura professionale consolidata, sviluppatasi proprio per esaltare al massimo le potenzialità di una tradizione casearia celebre in tutto il mondo.

'Affinare' un formaggio consiste nel portare il prodotto, dopo la fase di stagionatura, a una qualità superiore e a un gusto esclusivo e tipico del territorio di provenienza. La stagionatura, si sa, è un arte che richiede una profonda conoscenza del formaggio, dei suoi sapori caratteristici, delle sue caratteristiche organolettiche, dei suoi "comportamenti" nelle diverse condizioni di temperatura e di umidità.

Sebastiano Crivellaro è uno dei pochi affinatori di formaggio italiani e l’unico della regione ad affinare i formaggi di malga, in una delle cantine di affinamento più alte in Italia: a 1298 metri di altitudine in quel di Sauris. 

Quando rispondo alla domanda “che lavoro fai”, ci racconta genero sempre una certa curiosità... anche se quello dell’affineur è un mestiere antichissimo, una professione nata in Francia dove gli affinatori sono considerati  i veri “principi del formaggio”, che con la loro sapienza sono capaci di trasformare una “forma normale” in un portento per il palato. E non a caso sono vezzeggiati, considerati i veri “guardiani” di una cultura alimentare.

Affinare un formaggio è un arte che non si può improvvisare e richiede anni e anni di esperienza sul campo: il formaggio è un alimento vivo e un errato trattamento può provocare spiacevoli conseguenze come infiltrazioni di muffe cattive, screpolature.

Quando ho cominciato questo lavoro in realtà non mi rendevo ben conto del significato di bio-diversità alimentare, e tanto meno di quanto è necessario per ottenerla. Ho compreso, via via, che il mio non era solo un vezzo per fare qualcosa di atipico, ma era un lavoro che garantiva il mantenimento di una antica attività agricola: la transumanza in alpeggio. Raccogliere il formaggio prodotto a 1500-2000 metri s.l.m., in ambienti tersi e cristallini, stagionarlo e commercializzarlo, era ed è, un sistema per mantenere viva una microeconomia, messa in pericolo dall’ingresso nel settore alimentare delle multinazionali e della loro cultura omologata.

Nel mio caso sono stati molti i fattori concomitanti. La voglia di vivere in montagna in mezzo alla natura, di fare qualcosa di diverso. A partire da una tradizione radicata nel DNA della mia famiglia d’origine. Vengo da Padova ma la casa di vacanza negli anni con questo lavoro è diventata la prima casa. Adesso, la caratteristica di questo territorio genera una inedita situazione di favore, perché capace di fornire un ottimo prodotto, frutto appunto del fatto di non essere contaminato dal modernismo, che altrove ha già visto malghe trasformarsi in rifugi o agriturismi, gestiti magari da gente che “farebbe i panini con le sottilette”.

Per non parlare poi dei consumatori che hanno completamente perso l’abitudine di porsi domande sulla provenienza del latte. In realtà, il problema è gigantesco, soprattutto in termini di informazione. Chi fa il mio mestiere deve innanzitutto lavorare sull’educazione alimentare, per poter così creare le basi per un successo commerciale.

La lavorazione in affinamento è molto laboriosa, ci sono i cali di peso e i costi legati a più o meno lunghe stagionature, le difficoltà logistiche... Il segreto, ancora una volta, è comprare con la testa, con la vecchia regola del “poco ma buono”.

L’acquisto ponderato di un prodotto di qualità, tra l’altro, può educare le famiglie contro gli sprechi. Un pezzo di formaggio buono e scelto con cura difficilmente finisce per restare sul fondo del frigo. Oltretutto si tratta di prodotti ricchissimi di proprietà nutrizionali, capaci di regalare grandissime soddisfazioni sensoriali, e che, se inseriti in una dieta equilibrata diventano preziosi alleati per un’alimentazione sana.

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