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Il bitto storico della Valtellina

Si è conclusa la seconda edizione di "Raccontate il vostro formaggio del cuore!" concorso per appassionati scrittori di cucina promosso dall’Ecomuseo delle Acque del Gemonese e dalla Condotta Slow Food "Gianni Cosetti" con la collaborazione di qbquantobasta rivista mensile di gusto e buongusto nell’euroregione in occasione della manifestazione “Gemona, Formaggio… e dintorni”. Questo è il racconto di Mauro Giacomo Bertolli vincitore della menzione speciale.

Sono quasi vent'anni che ho casa anche in Valtellina, ho sciato in tutte le sue piste, passeggiato in quasi tutte le sue valli e mangiato nella maggior parte dei ristoranti rappresentativi del territorio. Decine sono le persone che ho invitato e a cui ho fatto da guida, e ognuno, al momento di ripartire, mi chiedeva più o meno la stessa cosa: "Dove
posso comprare un bel pezzo di bitto, di quello giusto?"


Di quello giusto... mai domanda fu più azzeccata, dato che il bitto è ormai da alcuni anni oggetto di una guerra o meglio ancora di una ribellione. Ma procediamo per gradi: il bitto tradizionalmente è un formaggio di latte crudo fatto sulle Prealpi Orobie, in una zona dove si incontrano le province di Sondrio, Bergamo e Lecco: sto parlando delle Valli del Bitto, in primo luogo la Val Gerola. Si produce con latte di vacca appena munto a cui si aggiunge una percentuale, inferiore al 20 %, di latte di capra orobica, una razza locale da salvaguardare, di rara bellezza e personalità.

Prima di approfondirne storia e caratteristiche voglio raccontarvi chi sono i "ribelli del bitto", e perchè si parla di guerra del bitto. Siamo negli anni 90, la richiesta di bitto è sempre più alta e viene prodotto non solo nelle
zone tradizionali: diventa una DOP nel 1996 e questo porta all'approvazione di un disciplinare di produzione molto meno restrittivo rispetto alla tradizione: in sintesi si può fare in tutta la provincia di Sondrio, non è obbligatorio usare il latte di capra, gli animali possono essere alimentati anche con mangimi e non solo con le erbe di montagna.

Un gruppo di casari, 12-13, decide di rifiutare in toto queste modifiche, vedendole come una minaccia alla salvaguardia della tradizione locale, e si riunisce nel Consorzio Salvaguardia Bitto Storico. Ha una sua casera di stagionatura a Gerola Alta, luogo magico dove si può acquistare bitto con stagionatura anche di 10 anni.
La guerra per carta bollata si protrae da tempo, e l'Expo sembrava aver fatto il miracolo di un accordo fra i contendenti, dando diritto di cittadinanza ad entrambi, il Bitto Storico ed il Bitto DOP, riconoscendone le diverse caratteristiche e peculiarità, anche perchè, parlando strettamente in termini numerici, di Bitto Storico ce n'è per pochissimi, e anche di Bitto DOP forse non ce n'è per tutti. Purtroppo l'Expo non è ancora finito, e già alla
Mostra del Bitto del 17-18 ottobre l'armonia si è rotta tra le parti, con la mancata partecipazione del Consorzio Salvaguardia Bitto Storico.

Tante sono le cose che voglio raccontarvi: la sua storia, come si fa, ma anticipiamo un momento di godimento, stuzzichiamo l'acquolina: come si mangia ? Un abbinamento classico è così com'è, meglio se con qualche anno di stagionatura, con un bicchiere di Sforzato, lo straordinario passito secco valtellinese, ottenuto da uve nebbiolo del biotipo locale chiavennasca.
Molti lo pensano ingrediente importante per i pizzoccheri, ma questo è un grosso errore: si deve usare la Casera, al massimo un bitto giovanissimo ma il risultato è peggiorativo, sia dal punto di vista del gusto sia da quello economico, per cui ricordate: Casera.


Un utilizzo veramente originale è quello che propone l'amica Anna Bertola del ristorante Altavilla di Bianzone, che io chiamo la "Signora degli sciatt", grande ricercatrice di formaggi da proporre ai suoi avventori: un tortellone fatto con pasta sfoglia sottile, ripieno di funghi porcini, servito su una fonduta di bitto. Delicatezza e succulenza,
un trionfo di sapori, in cui il nostro formaggio diviene protagonista assoluto.

E' al popolo dei Celti a cui dobbiamo la tecnica di lavorazione del Bitto: scacciati dalla pianura si rifugiarono in Valtellina e si dedicarono alla produzione di formaggi a lunga conservazione: il nome "Bitto" si pensa derivi da Bitu, che probabilmente significava "perenne", proprio per indicare la lunga durata che può avere questo formaggio. Furono probabilmente i primi ad allevare nella stagione estiva gli animali da latte negli alpeggi e a trasformare in formaggio il latte prodotto.
Del Bitto ne parla per la prima volta Ortensio Lando (1510-1558), noto umanista, che nella sua opera "Commentario de le piu notabili, & mostruose cose d’Italia, & altri luoghi, di lingua aramea in italiana tradotto, nel quale s’impara, & prendesi estremo piacere. Vi si e poi aggionto un breue catalogo de gli inuentori de le cose che si mangiano, & si beuono, nuouamente ritrouato, & da messer anonymo di Vtopia composto" dice testualmente: " Non ti scordar.....il cacio di Melengo (Valmalenco),et della valle del Bitto....".


Andiamo un po' più nel dettaglio di come si fa il Bitto Storico, che ricordo essere Presidio Slow Food: come già detto si produce solo nei mesi estivi in alpeggio, con latte di vacche di razza bruno alpina e di capre orobiche, nutrite solo dal pascolo alpino. Due mungiture al giorno e lavorazione del latte immediata, nel "calecc", un caseificio d'alpeggio, una sorta di baita senza tetto, coperta da un telone, in cui vi è la “culdera”, un grande paiolo in rame a forma di campana rovesciata.
Il latte è lavorato sul posto per evitare sia alterazioni da trasporto sia contaminazioni batteriche. Viene riscaldato nella “culdera” fino alla temperatura di 35-37° C, poi, tolta la “culdera” dal fuoco, si aggiunge il caglio di vitello per far coagulare il latte, ottenendo così la cagliata. Questa viene rotta con lo “spìgn”, un bastone in legno con fili metallici alle estremità. Si arriva a pezzettini grandi come un chicco di riso. A questo punto la “culdera” viene rimessa sul fuoco e in un paio d'ore portata alla temperatura finale di 50-52°C. Il casaro estrae la pasta di formaggio con un telo in lino e la pressa nelle fascere in legno circolari di diametro regolabile, intorno ai 50 cm.
Dopo la formatura e la salatura a secco, deve maturare per almeno 70 giorni, ma questa fase può durare anche 10 anni ed oltre. Tutti gli attrezzi usati sono in legno: i casari sono concordi nel dire che solo così si conservano le peculiarità di ogni alpeggio.
E' un formaggio delicato, con tendenza dolce e decise note aromatiche date dalle erbe d'alpeggio, che diventa sempre più intenso e strutturato con l'invecchiamento. Mi piacciono anche i sentori di fieno e frutta secca. Consiglio a tutti di venire in Valtellina e gustarselo in una malga come premio per una bella escursione sui sentieri.


http://www.italiadelvino.com

 

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