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Cultura del prodotto ma anche del progetto

Sono 500 mila ogni anno solo le nuove stanze d’albergo che possono essere arredate

«L’arredo-contract friulano può conquistare nel mondo se alla cultura del prodotto unisce quella del progetto»

Pianeta Hospitality” al centro dell’ultimo seminario della Cciaa sul design, venerdì scorso in San Francesco

 

Le nuove frontiere dell’arredo contract presentano enormi opportunità in tutto il mondo, specie nei Paesi emergenti. E le aziende italiane – e friulane – possono conquistarlo non più con la sola cultura del prodotto, in cui sono già leader per qualità ed eccellenza, bensì «innamorandosi, più organicamente, della cultura del progetto», studiando e proponendo l’intero scenario visivo ed emotivo dell’ospitalità. All’ultimo seminario organizzato dalla Camera di Commercio nel contesto della mostra Udesign, curata dal Comune di Udine nella Chiesa di San Francesco, la moderatrice Anna Lombardi ha ricordato le parole di Roberto Moroso per riassumere le relazioni degli esperti chiamati ad animare la serata.

Il seminario, introdotto dal consigliere Cciaa Edoardo Marini e dall’assessore comunale Luigi Reitani, aveva come tema proprio il “pianeta hospitality”, comparto che dal ‘900 e, sempre più rapidamente, dagli anni ‘80 e ‘90, ha vissuto e continua a vivere cambiamenti rivoluzionari.

A ripercorrerli è stato Renato Andreoletti, direttore della rivista Hotel Domani. Andreoletti ha evidenziato come la tecnologia stia influenzando profondamente il design e gli alberghi siano sempre più automatizzati e attenti al risparmio energetico e alle energie alternative.

«I servizi – ha detto – sono sensibili al genius loci, commisurati alle esigenze di informazione e interattività della clientela, che è disposta a spendere solo se vive esperienze uniche. L'albergo contemporaneo è una fabbrica di sogni».

Una fabbrica dei sogni per i clienti ma anche per chi li costruisce o li arreda, ha specificato poi Aurelio Volpe, socio fondatore dello Csil di Milano ed esperto in ricerche di mercato per il settore.

«Realizzare un mobile senza un obiettivo preciso – ha spiegato - e poi venderlo a un albergo perché ce lo richiede, è un modo di operare che può andare bene in un mercato limitato, vicino, o di bassa gamma, ma che su mercati internazionali, o sulla gamma alta, non va più bene».

Bisogna dunque sapere fornire un servizio completo, immaginare l’intero contesto e proporlo con coraggio. Le possibilità sono immense: ogni anno sono circa 500 mila solo le nuove stanze da arredare; circa quattro volte di più sono quelle in gli cui arredi devono essere rinnovati.

E’ necessario però che le aziende sappiano trasformarsi «da produttori di un manufatto – ha concluso - a un misto tra industrie manifatturiere e studi di progettazione. Questo fa la differenza fra produrre in un cluster italiano e invece approdare sul mercato globale».

Ed ecco che entra in gioco, sempre più, il ruolo dell’architetto nel contract. Sull’argomento si è soffermato Carlo Toson,  uno degli ideatori dell’albergo diffuso.

La relazione, però, funziona e aggiunge qualità al progetto se l'architetto di sintonizza con il manager. «Solo così il prodotto finale può avere successo», ha detto. E da qui il segreto: l’architetto può far diventare un vero e proprio “luogo” lo spazio che sta progettando, ci deve mettere un'anima, costruire una atmosfera. Un luogo dove accadono le cose e i fatti. «Ormai una qualità di fondo ce la aspettiamo – ha concluso -. Cos’è che fa la differenza? Cosa rende l’albergo un luogo vero? La capacità di stimolare relazioni, esperienze sensoriali ed emotive. Ma dobbiamo essere capaci di fare questo con cultura e con intelligenza, altrimenti regrediremo anziché progredire».



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