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Conosci il pestith? Nuovo presidio Slow Food FVG

Pestith: nuovo presidio Slow Food FVG. Tutto nasce dalla scelta del seme (varietà Brassicola rapa rotunda) e dalla semina che, in base alle zone, avveniva tra luglio e agosto. La scelta del periodo di semina non era casuale, ma veniva scandita dalla luna, dalla festività legata a un santo o in base alla raccolta/semina di un altro ortaggio. Dopo una rapida germinazione e dopo alcune brinate (anche queste ben definite in base alla zona), arrivava il tempo della raccolta solitamente in occasione di San Simone (28 ottobre).

Si procedeva quindi con la pulizia e il lavaggio. Si proseguiva con una sbollentata in acqua salata per poco più di un minuto. A quel punto, in un recipiente di legno, si disponevano a strati le rape precedentemente tagliate a pezzi, unitamente alle loro foglie e intervallate da qualche granello di sale grosso, una spruzzata di aceto e qualche chicco di mais. Si terminavano quindi gli strati con una foglia di verza anch’essa sbollentata.

Il tutto veniva poi coperto con un coperchio di legno o con delle semplici tavole, dove veniva posizionato un pesante sasso, precedentemente pulito e disinfettato. La pressione del sasso aiutava la fuoriuscita dell’acqua delle rape. In base al livello di fuoriuscita oltre il coperchio, si valutava la corretta fermentazione, che terminava in corrispondenza del periodo natalizio. Le rape fermentate venivano lavate (ma non sempre) e posizionate sul tipico tagliere di legno (pestassa o pestatha) e tagliate con il manarùol (o manarùel, manarìn, manàra, manèra). Solo l’utilizzo di un tagliere di legno duro e di un coltello pesante garantiva la rottura dei fastidiosi filamenti delle foglie. Fonte: Fondazione Slow Food 

pubblicato su qb nell'aprile 2020 pubblicato su qb nell'aprile 2020 pubblicato su qb nell'aprile 2020pubblicato su qb nell'aprile 2020

 

 

Come si cucinano le rape per il pestitth

 

Le rape e le foglie sminuzzate venivano cucinate in un soffritto di olio, aglio, cipolla, sale e pepe e qualche volta anche di lardo o burro. La cottura avveniva in circa due ore; a dieci minuti dal termine veniva aggiunta una sorta di polentina liquida, chiamata scot, brout, suf o šuf a seconda delle zone. In alcuni casi, per insaporire maggiormente il pestìth, veniva aggiunta e mescolata al tutto anche della carne di maiale. Il pestìth poteva finalmente arrivare a tavola. Ad accompagnarlo c’era sempre del buon musetto, salsiccia e/o il salame grasso.

L'articolo completo è stato pubblicato nel numero di aprile 2020 di qb ed è anche il report di una serata con menu, creato e interpretato da Federico e da Riccardo del Rifugio Vallata di Barcis e produttore del prodotto protagonista della serata. In abbinamento sono stati scelti i vini dell’azienda agricola Rive Col De Fer di Caneva anche per la sua contiguità territoriale con la zona di produzione del pestìth. Abbiamo iniziato la cena con un aperitivo a base di Brodo di polenta e pestìth, accompagnato dal Verdiso frizzante - un evergreen del nostro territorio - per proseguire con una Battuta di Pezzata Rossa friulana, brunoise di rapa fermentata con emulsione delle sue foglie, in abbinamento al Verduzzo Secco. Il primo piatto è stato un tripudio di delicatezza e avvolgenza: Ravioli di Pestìth e Pitina al burro nocciola e ricotta affumicata. L’Arabis ha esaltato il tutto con la sua morbidezza e leggera acidità. Il secondo piatto ci ha riportato a un’epoca fatta di cibi sostanziosi e ricchi di energia: il classico Tegame di pestìth con carne di maiale, accompagnato da polenta, accompagnato da un vino strutturato come il Bakù, blend di Merlot, Cabernet Sauvignon e Refosco. Abbiamo terminato il pasto con due fettine di Pan di Cjasa in abbinamento al Ru n°5 che, dall’etichetta, ricorda proprio il noto profumo. Una serata davvero speciale #ociseioseguiqb

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