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Come si mangia la minestra

 

Mangiare la minestra: sembra facile, ma…

Il nome “minestra” deriva dal latino minister, servitore, addetto alle vivande; da cui il verbo ministrare, servire in tavola. È piatto caratteristico della cucina italiana e identifica genericamente la prima portata, sia essa pietanza liquida o asciutta. Il nostro galateo in proposito di minestra dice innanzitutto che va servita unicamente alla sera e senza bis (non si propone e non si chiede una seconda porzione). Nelle cene formali va fatta trovare già in tavola, mentre in quelle informali viene portata nella zuppiera da cui ogni commensale attinge con il mestolo la quantità desiderata, ma senza superare il bordo interno della fondina.

Il consommé va fatto trovare nell’apposita tazza a due manici, con il suo piattino e il cucchiaio, il quale va utilizzato solo per rigirare delicatamente il brodo e non per sorbirlo né per saggiarne la temperatura, e poi va lasciato sul medesimo piattino (non nella tazza). Il consommé si beve reggendo la tazza per entrambi i manici.  

Le minestre si attingono con un movimento del cucchiaio dal bordo verso il centro del piatto, riempiendolo solo a metà, giacché non si sorbisce più di una volta dalla medesima cucchiaiata. Non si piega la testa sopra il piatto per avvicinare la bocca al cucchiaio: si eleva questo alla bocca.

In merito allo svuotare il piatto, ci sono due correnti di pensiero: una afferma si debba arrivare fin che si può a raccogliere col cucchiaio ma senza ostinarsi, l’altra che si può inclinare la fondina leggermente verso l’interno della tavola, tenendo sollevato il bordo tra i polpastrelli del pollice (sotto) e dell’indice (sopra). Il galateo comunque ritiene non disdicevole lasciare qualcosa (piuttosto che lucidare il piatto!) e ciò vale per ogni portata che arriva. Finito di mangiare, il cucchiaio va lasciato nella fondina.

Quando la minestra contenga qualcosa di solido (pasta o tortellini, per intenderci), si introduce in bocca poco più della punta del cucchiaio, leggermente di traverso, senza soffiarvi sopra e senza aspirazioni rumorose. Se è puramente liquida, si porta alla bocca il cucchiaio di taglio, evitando sempre di soffiare e di “risucchiare”.

Tranne nel caso delle zuppe, non si infarcisce di pane la vivanda. «Chi fa un impiastro dentro la pietanza, può dar fastidio a coloro che gli mangiano accanto» era decretato già nel Medioevo. Non si chiede sale o pepe o formaggio per insaporirla a nostro gusto: certi “vizi” ce li dobbiamo soddisfare solo quando pasteggiamo nella nostra cucina.

Tutti i nomi della zuppa  Mentre in altri paesi prevale l’equivalente del termine “zuppa”, in Italia la minestra liquida si definisce propriamente «zuppa» quando è di cipolla o di pesce, ovvero quando può accompagnarsi con crostoni di pane, e si chiama «vellutina» o «vellutata» quando le verdure sono passate e rese cremose, come per es. nel caso di funghi o di zucca.

Altri termini sono «minestrina», se in brodo con pastina, e «minestrone», ove prevalgano le verdure o i legumi, a pezzetti ed eventualmente con aggiunta di pasta, orzo o riso. Il consommé è un brodo ristretto limpido (dal francese, propriamente “consumato”), che va servito caldo in apertura di cena o anche freddo nei banchetti con molte portate, per agevolare la digestione e distaccare i sapori. 

 

 

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