Papaveri e grano

Stimavo Stanislao Nievo e, penso, anche io gli andavo a genio. Di lui mi piacevano la grande e mai doma passione intellettuale, il suo attaccamento alla vita, la sua scrittura diretta e, allo stesso tempo, profonda; il suo passato avventuroso. Da quando ci eravamo conosciuti credo che di me apprezzasse il lavoro da “cantastorie”: un modo divulgativo e caldo di raccontare la storia friulana. Vedeva dei personaggi di questa fatta percorrere i suoi “Parchi Letterari”

 per raccontare ai visitatori i vissuti di artisti, poeti e scrittori che con le loro opere avevano segnato interi territori che lui e i suoi collaboratori avevano poi, con tanta intelligenza, delimitato (e che, chissà, quale fine faranno ora…). Così, quando gli chiesi di tenere una rubrica sul mensile Fuocolento che allora dirigevo, mi rispose entusiasticamente di sì e per un anno intero (era il 2003) collaborò gratuitamente con la pubblicazione. Al momento di decidere un titolo per i suoi interventi periodici gli proposi “Grano e papaveri” che gli piacque. Era una specie di “Il pane e le rose”. Un connubio tra cibo e qualcos’altro, tra necessità quotidiana e poesia, tra “oro e sangue”. E i contenuti di cui riempì lo spazio a disposizione avevano proprio queste tonalità, depositate sullo sfondo friulano che lui, pur abitando a Roma, continuava ad amare incondizionatamente. “Per me, come per milioni di altri uomini - scrisse Stanìs – le piante che più mi attraggono sono due: il grano, come seme e spiga dorata, e il papavero, come fiore selvaggio e brillante, parsimonioso e ineducabile, vero figlio della parte istintiva del nostro pianeta”. È in omaggio a quella amicizia, a quella collaborazione, a quella profondità che ho voluto chiamare questa colonna “Papaveri e grano”. Senza presunzione alcuna. Continua a piacermi quello che sottosta a tale concetto: la cultura materiale e spirituale insieme, nello stesso campo, nel medesimo spazio scritto. Una sintesi di biodiversità. Anche alimentare, culinaria, enogastronomica. Una ricchezza di cui possiamo godere tutti i giorni, se solo lo vogliamo. Uno stimolo a non essere banali, a non essere grigi; né dentro, né fuori né, tantomeno, a tavola. E il Friuli Venezia Giulia ce lo consente, grazie ai suoi bravi agricoltori, ai preparati artigiani della tradizione, alle scrupolose aziende con il bollino d’oro. E il grigiore, dunque, sarà bandito da queste righe, a favore del colore delle riflessioni, delle proposte, delle provocazioni, del necessario dibattito.

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