Certificazione SQNPI. Il logo dell'ape per la qualità del vino

vigneti sqnpivigneti sqnpiCertificazione SQNPI. Tecniche agronomiche rispettose della salute dell’ambiente e dell’uomo da un lato. Trasformazione digitale dall’altro. È il doppio beneficio del protocollo di certificazione SQNPI con cui la Cantina Produttori di Valdobbiadene, una delle realtà più rappresentative del Prosecco Superiore DOCG, sta accompagnando i 600 soci viticoltori dalla vendemmia 2019. Un lungo, impegnativo percorso che con la prossima vendemmia 2021 consentirà di arrivare a un ambizioso traguardo: avere tutti i 1000 ettari di vigneto dei soci certificati con il logo dell’ape, che apparirà gradualmente su tutte le etichette.

Sede Cantina Produttori ValdobbiadeneSede Cantina Produttori Valdobbiadene

OBIETTIVO: 1000 ETTARI PER LA CERTIFICAZIONE SQNPI - Sistema di Qualità Nazionale di Produzione Integrata

 

 

Il processo di certificazione ha richiesto anche la completa digitalizzazione dei quaderni di vigna in cui si registrano tutte le operazioni effettuate dai soci agricoltori, con un importante travaso di competenze intergenerazionale: i giovani trasferiscono ai padri le competenze tecnologiche, i padri e i nonni condividono l’esperienza in vigna. Proprio in queste settimane in Cantina si imbottigliano i primi Valdobbiadene DOCG con il simbolo dell’ape. Tra questi, l’Uvaggio Storico, un prodotto più unico che raro, frutto di un progetto di tutela dei vitigni autoctoni Verdiso, Perera e Bianchetta Trevigiana che la Cantina porta avanti da alcuni anni con sei soci per conservare un patrimonio del territorio che rischiava di scomparire. Per fare rivivere un Prosecco "dal gusto antico". 

uvaggio storicouvaggio storico
“In queste ultime settimane – spiega Alessandro Vella, Direttore Generale della Cantina – abbiamo iniziato a imbottigliare le prima etichette della DOCG Valdobbiadene che potranno fregiarsi della certificazione. Partiremo dal nostro Uvaggio Storico, che ha in sé un valore importante di territorio.  Un lavoro enorme ed estremamente impegnativo, che parte da un sistema di autocontrollo aziendale con verifica dei requisiti di conformità ai disciplinari di produzione per ogni singola attività svolta, in vigna come in ufficio: dalle operazioni colturali al tracciamento dell’acquisto e utilizzo dei prodotti fitosanitari, dalle analisi del suolo alla taratura delle macchine irroratrici. 

Il Gruppo Cantina Produttori di Valdobbiadene – Val D’Oca è la prima società cooperativa del settore vitivinicolo del Veneto a essersi dotata di un Bilancio di Sostenibilità applicando la metodologia internazionale GRI Standard – Global Reporting Initiative ai fini dell'attuazione dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals) sanciti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.  Per fare ciò la società investe nel riconoscere incentivi ai soci che applicano le tecniche di produzione biologica e integrata, valorizzando l’impegno di famiglie di agricoltori che da generazioni con il loro lavoro quotidiano contribuiscono a custodire un territorio che per le sue peculiarità è stato riconosciuto dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità.

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Conoscete la Tasting Academy del Colli Orientali?

La sala della Tasting Academy La sala della Tasting Academy

#TastingAcademy Il 2020 è stato l’anno del 50° anniversario della Doc Friuli Colli Orientali e del Consorzio; erano in programma diverse attività ed eventi per festeggiare tale ricorrenza tracciando un segno per il futuro della denominazione. Lo stop imposto dalla pandemia non ha comunque frenato le attività tecniche e di promozione che si sono adattate alle esigenze, ci spiega Matteo Bellotto. Per dare un segno concreto di continuità e di speranza è stata inaugurata recentemente  la Friuli Colli Orientali e Ramandolo Tasting Academy. Un luogo, dedicato alla formazione di alto livello dei professionisti, aperto tutti i giorni su prenotazione, con 32 postazioni dispenser per degustare in autonomia vini provenienti da tutta la denominazione con specifici focus periodici.

Grazie ai tecnici del Consorzio che da oltre 13 anni raccolgono i dati stagionali nella relazione tecnica “Le Stagioni e le Uve”, si potrà essere introdotti, degustando, alla comprensione dei sentori specifici di ogni angolo della denominazione. L’obiettivo è che la Tasting Academy diventi un’opportunità per fare diventare ristoratori, enotecari, sommelier, giornalisti e winelovers degli ambassador dei Colli Orientali del Friuli.

Il grande schermo della postazione multimediale consente di potersi collegare on line e di organizzare degustazioni a distanza in tutto il mondo e possibili visiti multimediali virtuali. Un luogo unico, negli spazi di Villa Nachini Cabassi di Corno di Rosazzo,  capace di trasformare la promozione in risorsa per tutti condividendo le conoscenze e le professionalità del Consorzio.

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Conoscete la Polacca aversana? In versione rustica?

Polacca rustica di Biagio MartinelliPolacca rustica di Biagio Martinelli

La Polacca, regina indiscussa della tradizione pasticciera di Aversa, è un dolce di pasta brioche e ripieno di crema pasticciera e amarene; ne esistono due versioni: a fagotto, ideale per la colazione, e a torta, più adatta come dolce domenicale. Alla Pasticceria Biagio Martinelli c'è anche la Polacca aversana in versione rustica con provolone e salsiccia. 

polacca aversana dolcepolacca aversana dolce

Ma che ci fa un dolce che si chiama polacca in provincia di Caserta? L’origine del dolce risalirebbe agli anni ’20 del secolo scorso, quando una suora polacca donò a un pasticcere la ricetta di una torta che preparava per le consorelle del convento. Con il passare del tempo Nicola Mungiguerra, il pasticciere in questione, rivisitò la ricetta affinché potesse incontrare il gusto dei suoi compaesani. Da quel momento nacque questa leccornìa, il cui nome rende omaggio alla suora polacca. Nel 1926 Nicola aprì una pasticceria intitolata come il famoso dolce che divenne il suo maggior vanto. Si racconta che per circa mezzo secolo, ogni domenica, Il pasticciere si sia recato al convento per far assaggiare alle suore una polacca aversana in segno di gratitudine.

Biagio Martinelli, giovane pasticciere figlio d’arte che nel 2017 ha aperto una pasticceria che porta il suo nome, oltre a realizzare squisitie polacche tradizionali, ha creato prima una Polacca alla Mela Annurca, divenuta ben presto patrimonio comune di tutte le pasticcerie del territorio e in seguito anche una versione salata. Nella Polacca rustica l’impasto con parmigiano e pepe nero avvolge una crema pasticciera salata al parmigiano arricchita da dadini di provolone del monaco Dop e salame di suino nero campano. Del resto Martinelli punta a una pasticceria contemporanea in cui alla proposta dolce viene affiancata una produzione di pasticceria salata e una cocktail list con drink alcolici e analcolici.

Pasticceria Biagio Martinelli via Paolo Riverso, 101, Aversa (Ce)

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Conoscete i girini? Un primo piatto stellato de la Subida

girini briciole di pasta buttata condite dallorto La Subidagirini briciole di pasta buttata condite dallorto La Subida

Una ricetta semplice, essenziale e perfetta, che riprende un piatto della tradizione e lo rielabora in modo impercettibile ma tale da farlo sembrare un'altra preparazione. Le briciole di pasta buttata sono anni in menù nel ristorante stellato La Subida.  

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Conoscete il bulgur? Qui una gustosa proposta

 

 

 bulgur e bio dado allo zafferano bulgur e bio dado allo zafferano

Conoscete il bulgur? È grano spezzato, costituito da grano duro integrale germogliato, che subisce un particolare processo di lavorazione. I chicchi vengono cotti al vapore e fatti essiccare, poi vengono macinati e ridotti in piccoli pezzetti. È molto diffuso in Turchia, Tunisia e in altri paesi del Medio Oriente; il suo nome deriva dal turco bulgur, che significa "orzo bollito". Vi sono diverse forme di bulgur a seconda della grandezza dei granelli: le pezzature più grandi sono utilizzate per preparare minestre, quelle più fini per piatti freddi e insalate. Esiste anche il bulgur crudo, non germogliato e non precotto. Si ottiene spezzando direttamente il grano duro selezionato, fino a ottenere una granulometria che permette la cottura in 10-15 minuti. Questo tipo di bulgur, non avendo subito i processi di germogliazione, essiccazione e precottura, mantiene tutte le caratteristiche e i benefici del cereale integrale: i granelli di grano duro infatti sono avvolti dalla loro crusca e provvisti del germe, conservando così le proprietà e il colore vivo del grano duro, inoltre dopo la cottura i granelli rimangono più consistenti. Il bulgur precotto deve essere messo in ammollo in acqua per 20-30 minuti per farlo reidratare, poi viene messo a cuocere in una quantità d'acqua pari al doppio del suo volume per 10 minuti circa; successivamente lo si lascia nell'acqua di cottura per altri dieci minuti per un'ulteriore crescita di volume. Si può servire caldo come pilaf o freddo come tabbouleh.

Bulgur con cipolla, gamberetti, briciole croccanti e dado allo zenzero Bio Bauer 

 

INGREDIENTI

 

320 g di Bulgur

2 cipolle rosse fresche

250 g di gamberetti sgusciati (anche surgelati)

4-5 fette di pane (anche raffermo)

1 o 2 dadi allo zenzero bio Bauer 

olio extravergine d’oliva q.b.

sale q. b.

 

Preparazione 

 

In un padellino antiaderente versate due cucchiai di olio extravergine d’oliva e lasciatelo scaldare.

Aggiungete il pane sbriciolato e lasciatelo cuocere circa 5 minuti a fiamma moderata, il tempo necessario per far diventare croccanti le briciole. Tenete da parte.

Versate in una pentola 1 litro di acqua, mettete all’interno il dado allo Zenzero, lasciate sciogliere e portate a bollore.

Nel frattempo, in una padella capiente antiaderente versate un filo d’olio extravergine d’oliva, unite le cipolle tagliate a fettine sottili e i gamberetti sgusciati.

Lasciate soffriggere per un paio di minuti; unite quindi il bulgur, lasciatelo tostare e aggiungete il brodo fino a completa cottura.

Suddividete il bulgur nei piatti, aggiungete in superficie le briciole croccanti e servite.

La ricetta è del blog elviradolciecucina.it

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Fassoneria riapre. E voi conoscete la Fassona?

Fassoneria: ripartenzaFassoneria: ripartenza

#ripartenza. Riapre la Fassoneria di piazza Emanuele Filiberto 4 a Torino, e lo fa con un progetto di rinnovamento, affidato a due nuovi giovani gestori, Daniele e Serena, che hanno preso in mano lo storico punto vendita del Quadrilatero, là dove nacque la Fassoneria nel 2013.  “L'idea è  quella di seguire il percorso che la Fassoneria ha intrapreso negli ultimi anni, trasformandosi da semplice hamburgeria gourmet in ristorante monoprodotto, con piatti di carne 100% di Fassone di Razza Piemontese”. Il menu è stato quindi ampliato  ed è stata aggiunta una proposta a scaffale con prodotti del territorio: “vogliamo che la nostra Fassoneria diventi una vetrina di piemontesità”, spiegano. 

Per la riapertura, fissata per sabato 8 maggio, hanno pensato a una battuta condita con una spuma di mozzarella di bufala, pomodorini secchi e foglie di basilico fritte, un piatto che con i suoi colori ricordi la "rinascita", in questo caso la riapertura dell'Italia.

Gli orari:  lunedì: chiuso, martedì-venerdì: dalle 19:00 alle 22:00 (come da attuali disposizioni) o 23:00  sabato-domenica: dalle 12:00 alle 15:00 e dalle 19: alle 22:00 (o 23:00)

Il progetto Fassoneria, nato nel 2013 da un'idea del giovane imprenditore torinese Fabrizio Bocca, ha l'obiettivo di rafforzare l'identità della carne Fassona e divulgarne la cultura in tutta Italia. A incontrarsi nel marchio Fassoneria sono infatti Compral, una cooperativa agricola di allevatori della provincia di Cuneo e Coalvi, Consorzio di Tutela della Razza Piemontese, primo organismo in Italia ad aver messo a punto un disciplinare di etichettatura volontaria sviluppato esclusivamente per la Razza Piemontese, attivo dal 1984.

battuta al coltellobattuta al coltello

La Fassona. Il termine Fassone, o Fassona, è entrato in uso nel vocabolario commerciale per indicare il bovino di Razza piemontese. Questo termine è il risultato di una traduzione letterale e puramente fonetica del sostantivo “fasson”: è probabile che l’utilizzo del termine, con il significato di vitello di Razza Piemontese di pregio, si sia consolidato sui mercati zootecnici del Piemonte raccogliendo un’espressione usata dai commercianti francesi i quali commentavano i vitelli migliori dicendo che erano “de bonne façon”.

 

 

 

 

La Razza bovina Piemontese può vantare caratteristiche di alto pregio sia a livello organolettico sia di resa al macello. La particolarità che la rende immediatamente riconoscibile è  l'ipertrofia muscolare o groppa doppia, dovuta a una mutazione naturale comparsa probabilmente a inizio del Novecento. Si tratta di una razza a spiccata attitudine alla produzione di una carne di eccellente qualità, poco grassa e molto tenera.

 

 

 

 

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Conoscete i carducci? E il Moretto di Brisighella?

carciofo moretto in cestacarciofo moretto in cesta

Nome scientifico: Cynara Scolymus. Terreno preferito: siliceo-argilloso,, tipico dei calanchi, ben esposto al sole. È il carciofo, il  bocciolo dell’infiorescenza che si raccoglie immatura, cioè prima che sbocci, nel mese di maggio. Nel caso del Moretto di Brisighella, carciofo dal colore viola con riflessi dorati,  i petali terminano con acute spine di colore giallo. È una varietà rustica, sulla quale non sono stati fatti interventi genetici, diversamente da altre, largamente coltivate nel bacino del Mediterraneo, e ciò ha consentito di mantenere inalterate nel tempo le caratteristiche e gli aromi originari. È protetto da un disciplinare di produzione della D. O. C.  che delimita fra l'altro l'area di produzione  delimitata a Nord-Est con il comune di Faenza, a Est con il comune di Castrocaro, a Sud-Est con il comune di Modigliana, a Sud con il comune di Marradi, a Ovest con il comune di Palazzuolo, a Nord-Ovest con il comune di Casola Valsenio e a Nord con il comune di Riolo Terme.

carciofo moretto carciofaia ph fabio liveranicarciofo moretto carciofaia ph fabio liverani

La pianta si presenta come un cespuglio che può raggiungere un’altezza di 150 centimetri, il fusto è eretto con getti basali chiamati “carducci”, che vengono usati per la riproduzione. Le foglie, verdi-grigiastre, sono grandi e spinose, pendenti all’infuori. Il Disciplinare prevede che l’impianto sia effettuato per via vegetativa prelevando da piante madri di carciofo un numero variabile, max 20, getti vegetativi (carducci).

carciofo moretto primo piano ph fabio liveranicarciofo moretto primo piano ph fabio liverani

Il “Moretto” si mangia crudo e leggermente lessato, condito con sale e olio, preferibilmente con il Brisighello”, con il quale si sposa molto bene, in quanto i due prodotti hanno una base aromatica comune. Nel “Brisighello” infatti, il consumatore avverte con chiarezza, fra i vari sentori, i profumi e i gusti del carciofo verde. Piacciono del Moretto la leggera sensazione di amaro carciofo-cardato tipica dei carciofi non selezionati e la freschezza sellerina (sedano). 

Lo sapevate? Le  foglie del carciofo sono la base per la produzione di tutti gli amari, tanto che un tempo, fino agli anni Trenta del secolo scorso, venivano tagliate dopo il raccolto, fatte essiccare, imballate e spedite in Germania per la produzione di amari.

 Una ricetta speciale ddel ristorante Gigiolè di Brisighella (ora ceduto dalla famiglia Raccagni ad altra proprietà) 

MOSTARDA DI CARCIOFI MORETTI ALLA SENAPE PER ACCOMPAGNARE FRITTI DI GAMBERI

 Pulire circa 20 carciofi moretti, tagliarli grossolanamente e immergerli in una soluzione di ¼ aceto bianco, 200 g di zucchero semolato, ¼ di vino bianco secco. Lasciarli a marinare una notte intera.
L’indomani porre i carciofi con la marinata in una casseruola e far bollire a fuoco lentissimo per alcune ore affinchè il liquido diventi sciropposo come il miele.

Aggiungere, fuori dal fuoco, alcune gocce (in verità pochissimo) di estratto di senape che troverete in erboristeria.

Mescolare e sistemare in barattolini di vetro a chiusura sigillata questa mostarda che, se ben fatta, può durare anche un anno.
N.B.: si sposa bene anche con altri tipi di fritto che non sia solo pesce.

 

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Conoscete l'Iris fritta?

iris frittairis fritta

Siamo a Palermo nel 1901. I melomani sono in grande fermento per il debutto della nuova opera di Pietro Mascagni: “Iris”. Il pasticciere Antonio Lo Verso, sull’onda dell’entusiasmo generale,
prepara una sorta di ciambella priva di buco, da consumare calda, appena fritta, farcita di ricotta fredda mantecata con lo zucchero, con cioccolato fuso e a pezzetti. È apoteosi!

Da quel momento la pasticceria di Lo Verso divenne talmente famosa che cambiò presto il nome in Pasticceria Iris, oggi purtroppo scomparsa. Dell’Iris esistono versioni differenti: a esempio l’Iris fritta catanese è farcita con crema pasticciera gialla o al cioccolato.

iris fritta by blog siciliairis fritta by blog sicilia

Nonostante sia un dolce, i siciliani annoverano l’Iris tra le proposte di street food tradizionali palermitane. Del resto è figlia di una creazione precedente molto famosa a Palermo e ancora oggi ben conosciuta: la ravazzata. Una brioche cotta al forno con dello zucchero nell’impasto, ma farcita internamente con ragù di carne e piselli. Ne esiste anche una variante identica per impasto e ripieno che però viene fritta e che prende il nome di rizzuola. E ovviamente ci sono ravazzate e rizzuole diversamente declinate. A Castelvetrano la farcitura di questi due capolavori culinari è con carne tritata, prosciuttocotto e mozzarella vaccina. Ad Alcamo con il termine ravazzata si indica un dolcetto composto da un involucro di pastafrolla ripieno di ricotta e gocce di cioccolato.

rizzuola by fornelli di siciliarizzuola by fornelli di sicilia

Nel Dizionario Siciliano-Italiano pubblicato a Palermo nel 1840 “ravazzata” è tradotto semplicemente con “specie di torta”, senza alcun riferimento alla farcitura di carne e piselli, mentre con il diminutivo “ravazzatina” si intende una “specie di pagnotta piena”. Oltre alla versione classica con il sugo e il macinato, nelle abitazioni palermitane è diffusa anche la ravazzata con gli spinaci e la ricotta di pecora, una ricetta delicatissima più adatta alla stagione estiva. Tipicamente invernale, invece, la variante con cimette di cavolfiore lesse, salsiccia, formaggio primo sale e olive nere, riportata dalla gastronoma Alba Allotta nel volume “La cucina siciliana in 1000 ricette tradizionali”.

rizzuola by sicilia fanrizzuola by sicilia fan
È proprio dalla ravazzata che forse si deve partire per ritrovare un’origine all’Iris fritta che a questo punto abbiamo compreso essere un’imitazione con pasta lievitata anziché frolla della ravazzata alcamese. Effettuando le dovute ricerche emerge che, come spesso accade, la ricetta deriverebbe dalle mani delle monache di clausura: nelle loro interminabili giornate di meditazione occupavano parte del tempo nel confezionare dolci che venivano poi venduti portando così piccoli proventi al convento. Le ricette poi sarebbero passate nelle mani dei pasticcieri locali che le avrebbero ulteriormente elaborate.
In sostanza quello che nel 1901 fece Antonio Lo Verso dando alla rizzuola (la ravazzata fritta per capirci) un ripieno dolce. Creando la mitica Iris. Nella ricetta antica si usavano dei panini simili alle rosette, da cui veniva raschiata la crosta, venivano svuotati dalla mollica, e bagnati con latte dolcificato, poi riempiti di ricotta, con una leggera panatura e fritti.

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Conoscete la cabossa? Nuovo sorbetto al frutto del cacao

gelato cabossa ph RenataVeselygelato cabossa ph RenataVesely

Avete mai assaggiato il frutto del cacao? Difficile, ma ora possibile grazie alla CHOCOLATE ACADEMY, che, con il Choco gelato chef Ciro Fraddanno in collaborazione con ROGELFRUT, azienda che lavora frutta surgelata e purea di frutta,  propone un nuovissimo sorbetto al gusto tropicale del frutto del cacao. 

gelato cabossagelato cabossa

Per secoli, il frutto del cacao è stato raccolto solo per i suoi semi e nel tempo si è persa l'associazione con il frutto. Tuttavia, proprio come una mela o un'arancia, il cacao ha il suo gusto fruttato tipico. I suoi alberi crescono nelle regioni tropicali intorno all'equatore. Cresciuto sul tronco e sui rami dell'albero, il frutto del cacao chiamato cabossa, è costituito dalla buccia, la polpa e i semi (fave). I semi vengono lavorati per fare il cioccolato e rappresentano solo il 30% circa della composizione del frutto. Una volta mature, le cabosse colorate vengono accolte a mano, pulite e aperte per eliminare i semi e la polpa bianca e fresca. Solo una parte di questo frutto viene usato per consentire alle fave di fermentare

gelato cabossa biancogelato cabossa bianco

Oggi grazie allo studio di Cabosse Naturals, brand del gruppo Barry Callebaut, è possibile usare l’intero frutto del cacao e godere delle sue straordinarie qualità.

Il prodotto destinato al mercato della gelateria artigianale e realizzato in collaborazione con RogelFrut, contiene  il 40% di polpa del frutto del cacao ed è facile da usare perché pronto all’uso. Ciro Fraddanno cconsiglia di abbinare al sorbetto il gruè di cacao per dare croccantezza e un'esperienza di gusto dell’intero frutto: come ritrovarsi in una piantagione di cacao!

gelato cabossagelato cabossa

Chocolate Academy – è la scuola professionale dedicata al cioccolato fondata nel 2017 da Barry Callebaut, azienda leader mondiale nella produzione di cacao e di cioccolato. Il maître chocolatier Alberto Simionato è il direttore della Chocolate Academy™ di  Milano (centro internazionale del gelato al cioccolato artigianale).

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E gli studenti delle scuole alberghiere in pandemia?

ristorazione ospitalità evento on line 2 aprileristorazione ospitalità evento on line 2 aprileRistorazione & ospitalità: parole chiave della crisi economica e sociale dovuta alle restrizioni per la pandemia. E gli studenti della scuole alberghiere, i futuri cuochi o il futuro personale di sala come vivono questo periodo? Ne parleremo venerdì 2 aprile 2021

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Come fare un arrosto perfetto?

arrosto al forno

Succulento e profumato, è il secondo piatto classico del pranzo della domenica, per la tavola delle feste e per ogni occasione speciale. È ancora più buono se servito insieme a un contorno di croccanti patate. Per portare in tavola un ARROSTO davvero PERFETTO eccovi pochi semplici suggerimenti:

1) Al momento di acquistare la carne scegliete pezzi di primo taglio come lo scamone, la noce o il magatello (girello). Queste sono infatti le parti più povere di collagene, che, per restare tenere, non richiedono tempi di cottura molto prolungati.

2. Prima di mettere l’arrosto sul fuoco, tenete la carne a temperatura ambiente per almeno un’ora, tamponatela bene con carta assorbente da cucina e massaggiatela a lungo con olio extravergine di oliva (l’olio facilita la trasmissione del calore alla carne) e con un trito di aglio ed erbe aromatiche.  Accendete il forno in modalità statica e portate la temperatura a
200 °C;  poi, in una casseruola di ghisa, scaldate l’olio e rosolate la carne a fiamma alta per circa tre minuti per lato, così da sigillarla e ottenere un sugo più saporito.

3. Terminata la rosolatura, sfumate con un bicchiere di vino bianco, lasciate evaporare e passate l’arrosto in forno, per circa 40 minuti, girandolo soltanto una volta.

4. Al termine della cottura, estraete la teglia dal forno, regolate di sale, avvolgete l'arrosto in un foglio di carta stagnola e lasciatelo riposare almeno 15 minuti, in modo che i succhi si possano distribuire in modo omogeneo all’interno della polpa.

5. ntanto riscaldate il fondo di cottura sul fornello, regolate di sale, aggiungete un po' di acqua e, servendovi di un cucchiaio di legno, staccate gli eventuali residui di carne, per preparare il sugo di accompagnamento dell’arrosto.

6. Se preferite continuare la cottura dell’arrosto in una teglia, prima di porvi la carne non dimenticatevi di riscaldare la teglia stessa: in questo modo, infatti, la parte inferiore e quella superiore dell’arrosto continueranno a cuocere nello stesso momento.

Il segreto finale. Passato il tempo di riposo, versate sulla carne un po’ di olio extravergine e infornate per qualche minuto a 200 °C, per ottenere l’esterno croccante. Successo assicurato! 

arrostoarrosto

Ma che ne dite di questa domanda? L’arrosto è maschio e Il bollito è femmina?

Cucinare, nel senso di cuocere, ha generato l’abitudine a mangiare insieme in un posto e in momento prestabiliti, rendendo l’uomo più sociale e socievole. Cucinare, per il solo piacere di farlo, significa poter scegliere di dedicare una parte del nostro tempo a un’attività che sa gratificarci. La trasformazione dal crudo al cotto, avvenuta con la scoperta del fuoco, ha segnato l’evoluzione umana e ha coinvolto le civiltà nel corso dei millenni, anche se la differenza tra le cotture è rimasta sostanzialmente quella tra gli alimenti esposti al fuoco e quelli cotti nell’olio, nel burro o nell’acqua. La differenza tra il crudo e il cotto ha fondato il passaggio definitivo dalla natura alla “cultura”, proprio attraverso la cottura del cibo. 


Si deve a Lévi-Strauss la distinzione tra la cottura fatta direttamente sul fuoco e quella fatta in un recipiente con del liquido.

 

 

 

Arrosto e bollito sono quindi due diversi modi di cottura, dai quali si è giunti all’antinomia tra maschile e femminile, che riconduce l’arrosto - praticato un tempo all’aria aperta, anche frettolosamente durante la caccia - al genere maschile e il bollito, contraddistinto da una cottura al chiuso, lunga e paziente, a quello femminile. La suddivisione tra lo spiedo e la pentola ha rafforzato nei secoli, la netta divisione dei ruoli nella famiglia. 

Che diranno le femminsite di oggi? 

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