VERMOUTH di Torino: la storia

Il Vermouth di Torino è conosciuto nel mondo per la tradizione e la storicità della produzione. La sua fama è indissolubilmente legata al Piemonte e a Torino, dove nel secolo XVIII, si sviluppò una vera e propria aristocrazia di vermuttieri grazie ai quali, in misura e modi diversi, la diffusione del Vermouth divenne internazionale.  Nel corso degli anni si è assistito all’evoluzione delle tecniche di lavorazione. L’iter amministrativo: Il Vermouth (o Vermut) di Torino è inserito tra le denominazioni geografiche comunitarie sin dal 1991, senza che ne siano state indicate le caratteristiche o i processi produttivi per distinguerlo dalla più ampia categoria Vermouth a cui appartiene. Il decreto 1826 del 22 marzo 2017 con cui il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha accolto la richiesta di protezione presentata  dalla Regione Piemonte ha riconosciuto l’indicazione geografica Vermouth di Torino / Vermut di Torino. "Il Vermouth di Torino – si legge nel decreto - è il vino aromatizzato ottenuto in Piemonte a partire da uno o più prodotti vitivinicoli italiani, aggiunto di alcol, aromatizzato prioritariamente da Artemisia unitamente ad altre erbe e spezie". La zona di produzione comprende l'intero territorio del Piemonte.

Le caratteristiche sensoriali: Il Vermouth di Torino deve avere colore da bianco a giallo paglierino fino a giallo ambrato e rosso: le singole caratteristiche sono legate agli apporti cromatici determinati dai vini, dalle sostanze aromatizzanti e dall'eventuale impiego di caramello. Odore intenso e complesso, aromatico, balsamico, armonico talvolta floreale o speziato. Sapore morbido, equilibrato tra le componenti amare - indotta dalla caratteristica aromatica dell'Artemisia - e dolci che variano a seconda delle diverse tipologie zuccherine. Titolo alcolometrico tra 16% vol e 22% vol.
I principi aromatici: Possono essere estratti mediante le tecnologie disponibili utilizzando come supporto vino, alcol, acqua, soluzioni idroalcoliche.
Tra le materie prime principali del Vermouth di Torino ritroviamo le piante del genere ARTEMISIA, essendo obbligatoria la presenza delle specie absinthium e/o pontica coltivate o raccolte in Piemonte. Per la dolcificazione si può usare zucchero, mosto d'uve, zucchero caramellato e miele. Per la colorazione si può usare soltanto il caramello.
La denominazione può essere integrata con le diciture: EXTRA SECCO o EXTRA DRY per prodotti il cui tenore di zuccheri è inferiore ai 30 grammi per litro SECCO o DRY per vermouth con meno di 50 grammi per litro
DOLCE per prodotti il cui tenore è pari o supera i 130 grammi per litro. Nella lista degli ingredienti è possibile indicare il riferimento ai VINI BASE impiegati con le specifiche denominazioni d'origine o indicazioni geografiche qualora rappresentino almeno il 20% in volume del prodotto finito. Il disciplinare prevede la tipologia VERMOUTH SUPERIORE per il prodotto con un titolo alcolometrico non inferiore a 17% vol, composto di vini prodotti in Piemonte pari ad almeno 50% ed aromatizzato anche se non esclusivamente, con erbe - diverse dall'assenzio - coltivate o raccolte in Piemonte.

Se ti interessano gli appuntamenti si settembre 2017 con il Vermouth di Torino leggi il link https://www.qbquantobasta.it/nonsolovino/6277-sulle-strade-del-vermouth-di-torino

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A Sappada è tornata la saurnschotte

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saurnschottesaurnschotte

 Saurnschotte, antico formaggio tipico di Sappada. Un formaggio fresco, aromatizzato con il dragoncello di montagna, in lenta ma inesorabile estinzione. Ma uno speciale “arrivano i nostri” nelle sembianze soprattutto della cividalese Fabrizia Meroi, chef stellata del ristorante Laite, ha salvato la vecchia ricetta attualizzandola in modo da poterla produrre direttamente nella latteria del paese, la Plodar Kelder, rispettando ogni normativa. Un tempo la saurnschotte veniva fatta in tutte le case con il latte in eccesso, per non buttarlo: lo si lasciava per quattro giorni in recipienti di ghisa sul bordo delle stufe a legna fino a ottenere la giusta consistenza. La cagliata veniva fatta sgocciolare in sacchi di lino e, infine, la si mescolava al dragoncello prima di metterla a conservare in mastelli di legno. Un dragoncello particolare che sa di menta e finocchio, il perschtròmm molto diffuso negli orti di Sappada. Questa ricotta è ideale da spalmare sul pane nero o come ripieno dei gapitschta kropfn, sorta di tortelli ripieni. Appena uscita dal frigo ha una consistenza compatta, simile alla feta, così la si può anche sbriciolare, magari sulla carne affumicata o sullo speck croccante. La trovate sia al ristorante Laite (di cui vi abbiamo già parlato qualche tempo fa in un bell’articolo a firma Monica Bertarelli) sia alla Bottega di Sappada, in borgata Palù 15. 

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Sicuri di conoscere il cous cous?

Cous cous in umami style Cous cous in umami style

Globalizzazione delle dispense: di certo abbiamo tutti in cucina qualche scatola di cous cous semipronto per i momenti di emergenza. Il cuscus che si trova in vendita nei supermercati occidentali è solitamente passato al vapore una prima volta e poi essiccato; le istruzioni sulla confezione consigliano di aggiungervi un po' di acqua bollente per renderlo pronto al consumo. Basta mettere il cuscus in una ciotola e versarvi sopra l'acqua o il brodo bollente, coprendo poi la ciotola con un foglio di plastica. Il cuscus si gonfia e nel giro di pochi minuti è pronto da servire, dopo averlo rimescolato con una forchetta.

Ma il cous cous può diventare anche la base di un piatto raffinato come in questa versione di Alfredo Iannaccone, un cous cous in umami style (in sintesi cous cous cotto in acqua di polpo e acqua di pomodoro cuore di bue di Sorrento, con zenzero e limone sfusato amalfitano,  tentacoli di polpo tiepidi profumati con basilico greco e timo limonato).

 cous couscous cousLa préparation du couscous

Ma  siamo sicuri di conoscere la storia del cous cous? Un alimento tipico del Nordafrica, costituito da agglomerati, cioè granelli di semola cotti a vapore (del diametro di un millimetro prima della cottura).

Tradizionalmente veniva preparato con semola di grano duro, Triticum durum, quella farina granulosa che si può produrre con una macinatura grossolana anche utilizzando strumenti poco tecnologici, anzi diciamo pure primitivi. Oggi con questo nome ci si riferisce anche ad alimenti preparati con cereali diversi, come orzo, miglio, sorgo, riso o mais. Solitamente lo si accompagna a carni in umido e/o verdure bollite; può essere reso piccante accompagnandolo con la harissa (usata soprattutto in Tunisia), una salsa a base di peperoni piccanti, spicchi d'aglio, pizzico di cumino, olio evo, sale. 

Couscous sellers TunisiaCouscous sellers Tunisia

Uno dei primi riferimenti scritti al cuscus utilizzato in una ricetta viene dall'anonimo autore di un libro di cucina dell'al-Andalus, la Spagna musulmana del XIII secolo, il Kitāb al-tabīkh fī al-Maghrib wa l-Andalus. In lingua catalana appare nel romanzo Tirant lo Blanch (1464) con il nome de "cuscusó". Uno dei primi riferimenti al cuscus in Europa settentrionale è in Bretagna, in una lettera datata 12 gennaio 1699. Ma già decenni prima esso aveva fatto la sua comparsa in Provenza, dove il viaggiatore Jean Jacques Bouchard scrive di averlo mangiato a Tolone nel 1630. Vi sono indizi del fatto che il processo di cottura tipico del cuscus, in particolare la cottura a vapore dei grani sul bordo di una pentola in terracotta, potrebbe avere avuto origine prima del X secolo in un'area dell'Africa Occidentale dove oggi si trovano Niger, Mali, Mauritania, Ghana e Burkina Faso.

I chicchi di cuscus vengono fatti con la semola (grano duro macinato grossolanamente), aspersa d'acqua e lavorata con le mani per farne pallottoline, che vengono poi spolverizzate con semola asciutta per tenerle separate, e poi passate al setaccio. Le pallottoline che sono troppo piccole per costituire i chicchi di cuscus passano attraverso il setaccio e vengono di nuovo asperse di semola asciutta e lavorate a mano. Questo processo continua fino a che tutta la semola è stata trasformata nei minuscoli chicchi del cuscus. Nella società tradizionale del Nord Africa le donne si radunavano a gruppi per vari giorni per preparare insieme una grande quantità di cuscus in grani. Questi ultimi, seccati al sole, potevano poi durare per parecchi mesi. Al giorno d'oggi la produzione del cuscus che acquistiamo al supermercato è ovviamente meccanizzata.
Il cuscus dovrebbe essere passato al vapore due o anche tre volte. Quando è cotto come si deve è morbido e leggero, non dovrebbe essere gommoso né formare grumi.

Il metodo tradizionale di cottura a vapore prevede l'uso di un recipiente apposito per la cottura a vapore la  cuscussiera. La base è una pentola di metallo allungata a forma bombata in cui si cuociono le verdure e la carne in umido. Sopra questa base viene collocato il recipiente dal fondo forato in cui il cuscus si cuoce a vapore assorbendo i sapori del brodo sottostante. Se l'incastro tra il bordo della pentola inferiore e il recipiente superiore non è ermetico, spesso viene posto uno strofinaccio umido per non far fuoriuscire il vapore dai lati.

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