Che cos'è la colatura di alici?

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Dire "colatura di alici" significa riferirsi alla cittadina di Cetara sulla costiera Amalfitana.Trattasi di salsa con riconoscimento P.A.T. che si avvia al raggiungimento della DOP europea. E' una salsa liquida trasparente dal colore ambrato che viene prodotta da un tradizionale procedimento di maturazione delle alici in una soluzione satura di acqua e sale. Le alici impiegate sono pescate nei pressi della costiera amalfitana nel periodo che va dal 25 marzo, festa dell'Annunciazione, fino al 22 luglio, giorno di Santa Maria Maddalena. Le origini di questo prodotto gastronomico risalgono ai Romani, che producevano una salsa molto simile alla colatura odierna, chiamandola garum. La ricetta venne recuperata nel Medioevo da parte dei gruppi monastici presenti in Costiera, i quali ad agosto mettevano a conservare sotto sale le alici in botti di legno con le doghe scollate e poste in mezzo a due travi, dette mbuosti; sotto l'azione del sale, le alici perdevano liquidi che fuoriuscivano tra le fessure delle botti. Il procedimento si diffuse successivamente tra la popolazione della costa, che la perfezionò con l'utilizzo di cappucci di lana per filtrare la salamoia. 

"Alle alici, appena pescate, vengono rimosse la testa e le interiora, vengono quindi tenute per 24 ore in contenitori con abbondante sale marino. Sono poi trasferite in piccole botti di castagno o rovere (dette terzigni), alternate a strati di sale, e ricoperte da un disco di legno sul quale sono posti dei pesi, via via minori col passare del tempo. A seguito della pressione e della maturazione del pesce, affiora del liquido in superficie che, nel caso di preparazione di alici sotto sale, viene rimosso. Questo liquido fornisce la base per la preparazione della colatura di alici. Viene infatti conservato in grossi recipienti di vetro ed esposto alla luce diretta del sole che, per evaporazione dell'acqua ne aumenta la concentrazione. Dopo circa quattro o cinque mesi, quindi tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre, tutto il liquido raccolto viene nuovamente versato nelle botti con le alici, e fatto lentamente colare attraverso un foro, tra gli strati di pesce, in modo da raccoglierne ulteriormente il sapore. Viene infine filtrato attraverso teli di lino, ed è quindi pronto per gli inizi di dicembre" (da Wikipedia).

La colatura viene usata per condire gli spaghetti e le linguine che debbono essere cotte senza sale, essendo la colatura di alici molto salata.

A Cetara questo piatto è tipico della vigilia di Natale.

 

 

 

 

Leggi la ricetta Spaghetti con colatura di alici

 

Cetara conserva ancora l’atmosfera del piccolo borgo di pescatori. con una torre di avvistamento cinquecentesca. E' stata inserita dall’UNESCO nel Patrimonio dell’Umanità.

 

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Conoscete l'arnica montana?

 ARMO 1191

Oggi a Piancavallo ho conosciuto la nuova iniziativa dell'azienda ARMO 1191, fondata dalla famiglia Conzato per la coltivazione dell'arnica montana. Un'erba officinale o pianta officinale, utilizzata fin dall'antichità da popolazioni delle montagne alpine per le sue importanti proprietà. La radice contiene oli essenziali che sono potenti agenti antinfiammatori e analgesici. 

 fiore di arnicafiore di arnica

ARMO è la sigla di AR-nica MO-ntana e 1191 è la quota dell'aiuola pilota. "La prima piantina di arnica coltivata - mi spiega Francesca - è nata proprio a 1191 metri sul livello del mare, in questi prati che si intervallano ai boschi di faggio e guardano in lontananza la laguna di Grado, di Marano e quella veneta". La coltivazione - continua Antonio - è molto difficoltosa, impegnativa e costosa, oltre che poco conosciuta.

I fiori devono essere raccolti nel loro momento balsamico migliore, quanto la corolla è completamente aperta.

È necessario quindi fare più passaggi nella raccolta, per prelevare dalle aiuole solo i fiori che sono realmente maturi e pronti. "Le grandi case farmaceutiche non fanno investimenti in questo settore e spesso non hanno nemmeno dei prodotti registrati. La maggior parte dell'arnica utilizzata fino a questo momento nella produzione di prodotti cosmetici deriva dalla raccolta spontanea, pratica che nel tempo ha portato la specie a rischio di estinzione" - conclude Antonio. Le nuove legislazioni vigenti non sono sufficienti alla salvaguardia di quesa pianta, ed ecco che la coltivazione controllata diventa non solo un business ma anche un progetto di salvaguardia del territorio.

ARMO 1191: la qualità prima di tutto

L'arnica può essere facilmente contraffata. "Bisogna fare attenzione agli ingredienti utilizzati nei vari prodotti cosmetici e medici - sottolinea Antonio". Esistono infatti delle sottospecie della pianta, utilizzate spesso dalle grandi aziende produttrici, che non hanno però le stesse proprietà della vera arnica montana. "I nostri prodotti contengono arnica pura, non impieghiamo surrogati più economici, concentrazioni blande o scorciatoie sintetiche". 

.Arnica montanaArnica montana

 

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Conoscete il bue boscarin?

L'articolo Bue boscarin gigante buono è stato pubblicato su due pagine nel numero di marzo 2018 del mensile qbquantobasta. "La Podolia è una regione che si estende per circa 40.000 km quadrati nella parte centrale della attuale Ucraina tra il fiume Nistro e il fiume Bug. Una regione dal clima generalmente mite e dalla fertile terra nera. Erodoto cita la Podolia come zona di origine degli Azaloni e dei Neuri; vi giunsero poi i Daci e anche i Romani lasciarono le loro tracce con la costruzione di un vallo. Vi stazionarono gli Unni, provenienti dalla Mongolia con, al seguito, i loro animali, tra cui il Bos primigenius o “Uro Europeo”. Razza bovina che, in base a recenti ricerche, discenderebbe dal bos planifrans o Uro europeo o dal bos nomadico o Uro afroasiatico. Le razze a corna brevi avrebbero come progenitore il bos primigenius, quelle di grossa stazza e a corna lunghe il bos macroceros. Una sinteticissima premessa questa, per dire di chi può essere considerata discendente l’odierna razza podolica o della steppa, assieme alla razza iberica. Ma l’oggetto del nostro interesse è il bue boscarin (Istarsko govedo) conosciuto anche come gigante buono e che, fino agli anni Cinquanta del secolo scorso era ampiamente presente con un grande numero di capi in terra d’Istria.

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Rosa di Gorizia cos'è e come nasce

Tutto nasce da un seme. Anzi da alcuni semi gelosamente e caparbiamente conservati da alcuni agricoltori-orticoltori. il frutto della memoria, dell'attaccamento alla tradizione. Nel segno di un'identità territoriale forte.

Fabio Brumat, giovane portavoce dei dodici agricoltori che fanno parte dell'associazione che produce e tutela la Rosa di Gorizia, l'ha dimostrato con il suo intervento appassionato e competente, puntuale ed esaustivo, nel corso della conferenza stampa del Festival Rosa rosae rosae.

Il lungo ciclo della "cicoria rossastra" come veniva definita a fine Ottocento, comincia ad aprile con la semina - in terreni dal fondo ghiaioso per consentire un buon drenaggio ed evitare marciumi con eventuali ristagni dovuti a eccessi di piovosità- dei semi migliori e selezionati fra quelli raccolti nell'annata precedente. A fine novembre dopo le prime brine si arriva alla raccolta. Le piantine vengono estratte a mano mantenendo la radice e sono poi raccolte in mazzi successivamente legati e avviati alla forzatura. Lo sbiancamento avviene in modo naturale sistemando i mazzi in locali riparati e privi di luce. Nella foto in alto potete notare le tre diverse gradazioni di colore e il successivo apparire della parte bianca. E qui, la pianta, alimentata dalle foglie esterne che vengono eleiminate man mano che marciscono marce, dà alla luce il bocciolo, cioè le poche foglie rimaste si raggrinziscono e creano la fantastica forma identificativa a fiore.

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In questo processo va perso circa il 70% del prodotto, un dato che fa capire anche il motivo del prezzo più elevato rispetto ad altri radicchi. 

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Come lessare le sogliole

courtesy chioggiapescacourtesy chioggiapesca

Sembra facile fare del buon pesce lesso, invece sono numerosi gli accorgimenti di cui tenere conto per ottenere un buon risultato. Per assaporare interamente la delicatezza delle carni della sogliola il metodo migliore è infatti la lessatura (Sfoi lessai) anche se anticamente questa preparazione aveva un uso ben circostanziato e particolare. Era infatti una pietanza indicata par i malati "par chi che ga debolessa de stomego, par chi che se sente poco in sesto e par chi ga bisogno de tignirse lizieri. I va ben anca par i putei picinini”. Si inizia innanzitutto con la preparazione del Brodo par lessar pessi: in una pesciera si fanno bollire una carota, sedano, prezzemolo, uno spicchio d’aglio, una piccola cipolla, una fogliolina di alloro e un poco di aceto in acqua leggermente salata. Il brodo sarà pronto quando le verdure saranno ben cotte; si toglie dal fuoco e si lascia raffreddare.
Nel brodo freddo si dispongono le sogliole (preferibilmente grosse, da 300 grammi circa cadauna, preventivamente pulite e desquamate) senza accavallarle e si ripone nuovamente la pesciera sul fuoco facendo in modo di cuocere il pesce senza mai far bollire il brodo. La sogliola (e più in generale tutti i pesci) lessata in questo modo e con l’aggiunta di un poco di aceto, nell’acqua di cottura, rimane integra, senza rompersi e il brodo non si impregna dell’odore del pesce. Il tempo di cottura dipenderà dalla dimensione del pesce e la tradizione spiega che “i sfogi i xe coti quando ch’el so ocio el vignarà fora de la testa”. Si serve caldo o tutt’al più tiepido con olio e un po’ di pepe; il singolo commensale provvederà eventualmente ad aggiungere due granelli di sale fino (come si fa sui lessi di carne) sui filetti già puliti. Accompagnamento di prammatica: patate lessate nel brodo di cottura delle sogliole. Il brodo di cottura è ottimo anche per fare delle minestre leggere con pasta o riso. A tale proposito si concorda con Mariù Salvatori de’ Zuliani quando scrive: “Ma i venessiani (soliti gran signori) i ga più caro de doprar sto brodo (e ve garantisso xe un pecà) solamente par far la…supa al gato!”. 

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Perché il cappone è cibo delle feste

"Presso i medici è assai frequente l’impiego innanzitutto del brodo di cappone, soprattutto quello che chiamano consunto, detto volgarmente consumato, altri lo chiamano distillato, altri acqua di carne. Infatti non si può elogiare a sufficienza questo tipo di brodo nel ristabilire rapidamente le forze dei malati. Un autore sconosciuto garantisce che con il brodo di cappone le forze vengono recuperate in modo meraviglioso anche se il malato ne beve solo un cucchiaino..." Così scriveva il naturalista e medico bolognese Ulisse Aldrovandi (1522-1605). Quanto scritto sopra, spiega GuidoStecchi, nostra fonte per questa nota, è la traduzione di Elio Corti da Ornithologiae Liber decimusquartus. Qui est De pulveratricibus domesticis. Dal Rinascimento il gallo castrato divenne una sorta di status symbol, per le tavole più ricche; il cappone infatti era allevato per diventare dono alla gente importante per ingraziarsela (do you remember l'Azzeccarbugli del Manzoni? Renzo, quando decise di andare dal dottor Azzeccagarbugli, ricevette da Agnese quattro capponi "perché non bisogna mai andare con le mani vuote da quei signori"). Fu  dall'età del Rinascimento che nacque -pare - la tradizione del cappone e del brodo di cappone per il pranzo di Natale, il più importante dell’anno. Curiosità: nasce proprio dalla pelle del cappone o degli animali da cortile spennati in genere (c'è anche la pelle d'oca infatti) l'espressione accapponare la pelle, quando essa si raggrinza in segno di freddo o di terrore. Germano Pontoni nel numero di dicembre di qbquantobasta ricorda di quand’era bambino e in paese arrivava un uomo con un carretto attaccato alla bicicletta: il carretto conteneva una gabbia di legno intrecciato con dentro anche animali vivi. L'omino girava per le case dei contadini per castrare i polli, che in seguito diventavano belli grassocci, pronti per piatto di eccellenza delle feste natalizie. Se non c’erano soldini, l’omino si faceva pagare in natura ovvero con animali vivi, che a sua volta commercializzava. I capponi che dovevano finire in forno venivano separati e alimentati con ricchi pastoni e i migliori finivano sulla tavola del proprietario della campagna, se si era mezzadri. Il cappone ripieno all'epoca veniva cotto intero con le sue ossa e farcito con altre carni ed erbe aromatiche; la cottura, considerate le dimensioni dell’animale, era molto lunga e il cappone doveva essere continuamente bagnato con il fondo di cottura per rendere il petto e le cosce ben arrostite all'esterno e nello stesso tempo con le carni morbide. Questi gesti sapientemente tramandati da madre in figlia erano il tocco che dava l’eccellenza al Cappone delle Feste. 

Cappone lesso di Natale

Cappone lesso con ortaggi e salsa di rafano (cren)

Ingredienti per 8-10 persone: Un cappone da circa 3 kg, 50 g di lardo, 1 limone, 2 carote, ½ sedano rapa, 20 cipolline, 3 porri, 4 patate, 1 mela, 1 radice di cren o 1 vasetto di cren,  sale grosso e fine

Preparazione: 1. Pulire gli ortaggi, tagliare carote, sedano e patate a pezzettoni, i porri a rondelle di 2 cm, lasciare intere le cipolline. Mettere a lessare in abbondante acqua salata in tempi diversi (le patate per ultime) in modo da avere le cotture tutte uguali, poi tuffarle in acquaghiacciata e scolarle per mantenere il colore.

2. Tagliare il lardo a striscioline. Dopo aver eviscerato il cappone (nel caso ce ne fosse bisogno, anche fiammeggiatelo) lavarlo bene all’interno, fare delle incisioni sotto le ali e introdurre nel petto alcune striscioline di lardo (lo manterranno ancora più morbido durante la cottura). Strofinare tutto il cappone con il limone tagliato a metà, in modo che la pelle dopo la cottura rimanga chiara. Legare il cappone, portare a ebollizione l’acqua dove sono stati lessati gli ortaggi, nel caso aggiungere altra acqua e sale.

3. Immergere il cappone nella pentola quando inizia l’ebollizione; tenere schiumato e far sobbollire per circa un’ora e mezza. Si saprà quando è cotto incidendo la parte alta della coscia: fuoriesce un liquido chiaro. Servire caldo tagliato a pezzi in una pirofila alta con parte del brodo di cottura e con accanto gli ortaggi lessati.

Per la salsa: Sbucciare la mela, tagliarla a pezzi e cuocerla a vapore aggiungendo alcune gocce di limone affinché non annerisca, farla raffreddare, metterla in una scodella e aggiungere il cren e un pizzico di sale mescolando delicatamente. La salsa è ottima anche come accompagnamento per tutti i bolliti di carne.

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Ma cos'è questo sake?

Qualcuno lo definisce sbrigativamente il vino dei giapponesi. Ma si fa con acqua riso e kojikin. Non è un distillato. Anche se nelle declinazioni invecchiate (fino a 50 anni) è in grado di competere con un Cognac o un Armagnac. Il suo rituale è complesso quasi quanto quello della cerimonia del tè. Il sakè è entrato da alcuni anni nel mercato europeo e italiano. A partire dal Junmai, il sake di base. In Giappone i brand sono quasi un centinaio e almeno 1200 le aziende produttrici. Si fa con il riso,dunque, ma non il solito banale riso da tavola, almeno nelle versioni più sofisticate. Trattasi di riso proveniente da specifici terroir, come i cru francesi. Elemento determinante è la percentuale di raffinazione. La temperatura di servizio consigliata è fra i 5 e i 9 gradi. Si abbina in modo ideale, dicono gli esperti, a formaggi, prosciutto crudo, funghi, piatti sapidi in generale. Qualche
appassionato sostiene che può sostituire un Sauternes in presenza di foie gras e formaggi erborinati (e in più - aggiunge- è privo di solfiti). Per fare il sake servono dunque acqua riso e il fungo kojikin che rende possibile l’azione dei lieviti in fase di fermentazione. Ma le variabili sono numerosissime: il tipo di acqua, la qualità del lievito, le modalità di fermentazione e la temperatura di questo processo, le forme di pulitura e di cottura a vapore del riso, il tipo di filtratura finale. La raffinazione del riso avviene ponendo i chicchi in una mola che li fa girare vorticosamente ad alta temperatura da due a cinque giorni: alcuni produttori arrivano a eliminare oltre il 90% del chicco. Per veri intenditori c’è il sake trasparente che invecchia a una temperatura costante di cinque gradi sotto zero. Se ve ne regalano una bottiglia, conservatela al buio e non bevetelo caldo (questo è un pregiudizio da sfatare, a meno che non sia un sake complesso, con sentori di burro, noce, latte e miele: in questo caso servitelo ai vostri ospiti con una zuppa invernale o con un arrosto). Per saperne di più.

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Come si abbina il pane con il formaggio?

Pane e formaggio. Un abbinamento classico che ha quasi il profumo di tempi passati. Eppure nell’arte casearia e in quella della panificazione troviamo riassunti tanti elementi. Fresco, semistagionato, stagionato: ognuno preferisce il formaggio seguendo il proprio gusto… E il pane? Spesso svolge solo il ruolo di “contenitore”. Al contrario, anche con pane e formaggio è possibile ricercare l’abbinamento ideale, nel quale le caratteristiche e le peculiarità di entrambi vengano valorizzate ed esaltate vicendevolmente. Nel corso della Festa delle Risorgive a Cinto Caomaggiore, con la validissima e preziosa collaborazione del panificatore Enzo Marinato, ho proposto una serata con vari abbinamenti. Da formaggi di latte vaccino, da un “fresco” a uno “stagionato”, ai pani con lievito madre e farine “povere” o grissini. Abbinamenti che tengono conto sia dell’intensità e persistenza dei profumi e degli aromi al naso e al palato, sia della sensazione tattile, sia alla consistenza.

1- Pane alle noci – formaggio a pasta molle tipo Stracchino
Pane di colore beige leggermente brunito a lunga fermentazione, con noci al naturale non tostate. E’ un pane molto morbido e soffice che accoglie un formaggio molle, neutro, pulito. I sentori olfattivi “semplici” del formaggio parlano di latte, yogurt, e leggero burro fresco. In bocca le noci caratterizzanti il pane, trovano stemperata quella pseudo-tannicità nel morbido formaggio fresco. La sofficità del pane accompagna la masticazione del formaggio morbido, lasciando un palato con il ricordo di una bella dolcezza accompagnata da una leggera nota acida.

2- Pane al Farro integrale – Formaggio Latteria mezzano
Formaggio a latte crudo di media consistenza che manifesta anche una percettibile elasticità. Al naso i sentori sono di latte e burro cotto, mou, fieno, brodo di carne e noci. Il formaggio di buon corpo e corredo aromatico di buona prestanza richiede un pane compatto dal sapore netto e definito. Ideale un pane nel quale è stato utilizzato il lievito madre, che trae da esso leggere note dolciastre e lievemente acidule tale da non risultare mai aggressivo o amaro ma decisamente bilanciato.

3- Grissini all’Olio EVO – Latteria fresco
Formaggio dal colore giallo paglierino molto tenue, caratterizzato da elasticità e buona adesività. Si esprime al naso con sentori freschi e giovani di latte, burro, yogurt, mollica di pane, è molto solubile in bocca con finale tendenzialmente dolce e rimandi di leggera sapidità. L’abbinamento con i grissini all’olio extravergine di oliva risulta decisamente un classico, e punta alla valorizzazione del formaggio sfruttando la friabilità del grissino. Sorprendente la sensazione tattile al palato: l’elasticità e l’adesività del formaggio vengono recuperate dalla friabilità del grissino, che si esprime con note di pane biscottato e fragranti, riportando la bocca in sostanziale equilibrio.

4- PanPolenta – Formaggio affinato al Sambuco
Caratterizzato da una crosta marchiata dal sambuco, questo formaggio si presenta a macchie di color rosso e con una umidità piuttosto evidente. Al naso si percepiscono sentori animali di stalla, latte fuso e cuoio bagnato. Al palato ha una buona consistenza e nel finale, la sensazione dolce-sapida lascia via via il posto alla sola dolcezza. Il PanPolenta è un pane che in cui viene inserita, nell’impasto, la polenta cucinata la sera prima. Il risultato è quello di un pane con umidità molto accentuata tanto da risultare particolarmente adatto a bilanciare, in bocca, l’impastamento provocato dal formaggio, agevolando la deglutizione. I granelli di mais in superficie rendono questo pane accattivante anche nella presentazione.

5- Pane al Farro e Segale – Formaggio Ubriaco
Formaggio a pasta dura, affinato sotto le vinacce per 13 mesi. Presenta all’olfatto note delicate ed eleganti di latte cotto e buro fuso, patate bollite, vinacce e castagne bollite. Al palato regala un’originale alternanza di dolce e salato, con finale di leggera piccantezza. Per un formaggio piuttosto deciso è stato abbinato un pane color testa di moro con lievito madre e malto tostato; un pane che caratterizza la bocca con i tipici sentori della tostatura e offre compattezza ad un formaggio ugualmente resistente.

6- Pane alle Pere – Montasio Stagionato Dop
Formaggio di 18 mesi a pasta dura color giallo dorato. I profumi sono molteplici e vanno dal burro fuso al fieno, dalle noci al miele, dalle castagne ai sentori animali. Si tratta di un formaggio importante caratterizzato da una lunghissima persistenza e decisa consistenza, con finale di bocca  sapido. Di contro, il pane con lievito madre è caratterizzato da morbidezza e umidità generate soprattutto dalla centrifuga di pere inserita nell’impasto. Questa compensazione tra morbidezza del pane e consistenza del formaggio sembra portare verso l’abbinamento perfetto. A seguire, la dolcezza del pane nel contrastare la sapidità del formaggio lascia la bocca in perfetto equilibrio nel ricordo del classico “formaggio con le pere”.

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Sapori autunnali in una tazza da tè. Come abbinarli

Zucca, caramello, fichi e marron glacèe: non sono gli ingredienti di un dolce fatto in casa, ma i protagonisti di infusi e tè autunnali presentati al Tea Time di Trieste. Una degustazione che noi di qbquantobasta non potevamo perderci!
Cominciamo dagli infusi: ottimi per grandi e piccini e ideali a tutte le ore del giorno.
Rising Sun BIO: mela, zucca (15%), bucce d'arancia, carote, curcuma (3%), cannella, pezzi di cacao, calendula, chiodi di garofano, aromi naturali.
Profumo delicatamente dolce e avvolgente, al naso come in bocca percettibili la cannella e i chiodi di garofano, il sorso ha una chiusura leggermente dolce data dalla presenza della zucca; è un infuso dalle proprietà antiossidanti e anti-infiammatorie grazie alla presenza della curcuma. Abbinamento consigliato: biscottini allo zucchero di canna e cannella.
Red Passion BIO: mela, cinorrodo, aroma naturale, ibisco, caramello (zucchero, aromi naturali), lamponi (4%), popcorn, malva. Un infuso bello da vedere e buono da gustare, ottimo il connubio caramello e lamponi, il profumo stuzzicante del caramello preannuncia un sorso dolce che viene controbilanciato dall’acidità tipica dei frutti rossi.  Abbinamento consigliato: frollini integrali con crema mou

Se invece siete degli amanti dei Tè consigliamo:

Arancio Mango BIO: Tè verde China Sencha, China Sencha Extra, mango (8%), scorze di arancia, aroma naturale, calendula.  L’incontro tra il gusto estivo del mango e quello invernale dell’arancia è ideale per coloro che faticano a lasciarsi l’estate alle spalle. Profumo ricco e caldo, non spiccano i sentori erbacei e di fieno caratteristici del Tè verde; il sorso è avvolgente con una chiusura piacevolmente amarognola data dalle scorze di arancia. Abbinamento consigliato: è un Tè che definirei “da meditazione”, abbinabile a una bella coperta calda durante una giornata uggiosa.
Settembrino: Tè bianco China Mao Feng, tè verde China Jasmine, Dragon Pearl, Silvery Needle, Chun Mee, lychee, fichi, camomilla, malva, verbasco. Conquista anche i palati più difficili, per coloro che vogliono godere delle straordinarie proprietà del Tè verde senza rinunciare al gusto pieno e aromatico: al naso è molto floreale per la presenza del gelsomino e del lychee che conferiscono un profumo delicatamente dolce, il sorso è pieno caratterizzato da una chiusura leggermente tannica e amarognola che lascia la bocca asciutta e pulita, retrogusto di fichi secchi. Abbinamento consigliato: biscottini al burro scozzesi.

Tourbillon: Tè neri Cina e ceylon, marron glacèe, biscotto, caramello, fiori d'arancio e albicocca. Tè dal bellissimo colore ambrato, percettibili i profumi caldi e golosi di marron glacèe e caramello, il sorso è morbido e ben strutturato per nulla stucchevole, bilanciato da una chiusura amarognola che invoglia un altro assaggio. Abbinamento consigliato: torta di carote e farina di cocco.

Naturalmente da Tea Time trovate tante altre combinazioni su misura! Per finire una bella immagine d'epoca: il tè di Jane Austen.

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Come degustare i formaggi

Nel numero di luglio del mensile cartaceo qbquantobasta è stato pubblicato questo apprezzatissimo articolo, che riproponiamo on line in occasione del convegno "Dal latte alla tavola" che l'Accademia Italiana della Cucina Delegazione FVG propone il 23 settembre 2017 a Gorizia alle 15 nella sede di casa Sticsa Krainer in via Rastello. "Le innumerevoli trasmissioni televisive che affollano i vari canali, satellitari o terrestri, con programmi aventi per oggetto la cucina hanno portato alcuni a scoprirsi giudici severissimi delle varie preparazioni, senza peraltro avere la possibilità di assaggiarle; altri invece a scoprire la necessità, e il piacere, di sapere qualcosa in più sull’argomento. E ben venga la curiosità che porta a uno sviluppo del gusto! Nel linguaggio comune il gusto è l'insieme delle sensazioni che si provano mettendo in bocca un cibo o una bevanda. Tuttavia queste sensazioni non sono le sole con le quali giudichiamo un alimento: usiamo anche l'olfatto, la vista (il solo senso che utilizza il giudice di cui sopra), il tatto, l’udito. Quindi il gusto va considerato come una percezione globale, costituita da tutte le sensazioni che un alimento ci trasmette e che utilizziamo per dare un giudizio. Come gustare al meglio un formaggio, lasciando le degustazioni in termine strettamente tecnico ai panel di professionisti?
Dovremo sottoporre il nostro formaggio a un esame visivo, olfattivo e gusto-olfattivo, ma prima dovremo rispettare alcune regole importanti. Chi ama il vino sa che la temperatura di servizio è fondamentale: per il formaggio vale lo stesso principio, anche se il discorso è più semplice. I formaggi vanno quasi tutti assaggiati a temperatura ambiente, salvo quelli più freschi e cremosi che richiedono temperature leggermente più basse.
Molto importante è la scelta del coltello: vale la regola che più la pasta è molle e più la lama deve essere sottile e stretta. Al limite, per paste molto molli si può usare un filo metallico. Con i formaggi a pasta dura, invece, vanno usati coltelli a lama larga e spessa. Con formaggi che presentano una grana grossolana, come il Grana o il Parmigiano, ma anche alcuni Latteria stagionati, si usa il classico coltello a mandorla che "spacca" il formaggio per
esaltarne la granulosità.

Selezione di formaggi della Malga alta CarniaSelezione di formaggi della Malga alta Carnia

Dal momento in cui viene tagliato, il formaggio entra in contatto con l'ambiente esterno ma soprattutto con l'ossigeno dell'aria, che porta a un graduale peggioramento delle caratteristiche. È quindi opportuno acquistare quantità piccole di formaggio e consumarle nel tempo più breve possibile. Rispettati i criteri basilari sopra elencati, possiamo passare all’analisi sensoriale del formaggio.
Le prime caratteristiche da valutare sono la forma, le dimensioni e le caratteristiche della crosta. Quest'ultimo dato ci informa sulle caratteristiche di lavorazione. Per esempio le croste fiorite sono caratterizzate da presenza
di muffe sulla superficie; le croste lavate caratterizzano i formaggi maturati lavando la crosta con siero, salamoia, olio o alcol; inoltre le croste possono essere lisce, rugose o canestrate a seconda del contenitore nel quale è stata
posta la cagliata per dare la forma.  L'unghiatura è la parte sottostante la crosta, che assume generalmente un colore più scuro: deve essere presente, ma non troppo spessa ed evidente. L'occhiatura è la presenza di buchi all'interno della forma: è bene che sia ripartita regolarmente, con dimensioni omogenee dei fori.La consistenza della pasta si esamina al tatto: può essere molle, semidura o dura, elastica, granulosa, untuosa, secca.


I profumi che un alimento può offrirci sono molteplici, e infatti l'analisi olfattiva è la più complessa tra le analisi sensoriali. Il momento più difficile è quello di identificare, dandogli un nome, un particolare odore che percepiamo distintamente. Le principali famiglie degli odori riferiti al formaggio sono: odori lattici (latte fresco, latte acido, latte bollito, yogurt, burro, panna); odori vegetali (erba, muschio, fieno); odori speziati (pepe, noce moscata, zafferano, chiodi di garofano,); odori floreali; odori di tostato (cioccolato, caramello, vaniglia, di bruciato, di affumicato); odori animali (stalla, cuoio, pelo di animale). Come gusti si possono riconoscere unicamente il dolce, il salato, il piccante, l'acido, l'amaro e l’astringente. Gli aromi, ovvero le sensazioni olfattive che ritornano per via retronasale, saranno simili ai profumi percepiti con l'olfatto ma modificati, resi più complessi. La persistenza gusto-olfattiva è la durata del sapore, che può variare da qualche secondo fino a oltre 30 secondi. Da ultimo, si potrà valutare la consistenza in bocca, che può essere dura, elastica, deformabile, fine, granulosa, gommosa.
Il discorso può sembrare complesso, in parte lo è, ma apre un mondo di nuove sensazioni".

credit foto Ennio Pittinocredit foto Ennio Pittino

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Come fare il vero pesto alla genovese

Prima che finisca l'estate, raccogliamo o acquistiamo il basilico e facciamo scorte profumate per la cucina d'inverno. Ecco la ricetta del Consorzio Basilico DOP

8 mazzetti o 1 bouquet di Basilico Genovese DOP (g 70 circa di foglie)
50 g di parmigiano reggiano (preferire quello stagionato 36 mesi)
10 g di pecorino sardo (preferire quello stagionato 15 mesi)
due cucchiai di pinoli freschi di Pisa di prima scelta
3 spicchi di aglio (preferire l’aglio di Vessalico)
una presa di sale grosso
3 cucchiai di olio extra-vergine Riviera Ligure DOP

Staccare le foglie di basilico, lavarle e asciugarle con delicatezza. Se non avete il mortaio tritare gli ingredienti nel tritatutto del frullatore a bassa velocità, con l’accortezzza di aggiungere l'aglio pestato solo a fine preparazione per evitare che sovrasti gli altri sapori (poiché col calore l'aglio si ossida), e aggiungere l’olio alla fine versandolo a filo.

Il pesto nel mortaio: la tradizione dice che…
Bisogna porre l'aglio già mondato nel mortaio, pestarlo col pestello fino a ridurlo in poltiglia e fare altrettanto con i pinoli; si uniscono poi basilico e sale e si schiaccia (senza più pestare) a lungo, roteando sino a ottenere un composto omogeneo; si aggiungono i formaggi grattugiati e, sempre rimestando, si versa pian piano l'olio versato a filo.

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