Americanesi part one
Questa è la prima parte di un piccolo racconto legato al mio passato più o meno recente, passato che ha fortemente influenzato la mia vita e il mio rapporto con la cucina.
Piccola fondamentale premessa ; provengo da una famiglia napoletana , come amo dire, praticante ortodossa. Tradizionalista a oltranza, dove il tradizionalismo degli usi e dei costumi, della lingua e prima di tutto della cucina, si fonde con la vita quotidiana senza un appuntamento preciso. Si vive e basta.
All’ età di otto anni bruciai il mio primo uovo fritto, con mio grosso stupore e mi chiesi nel mutismo riflessivo e un po’ imbecille della mia persona chiedendomi come mai questa cosa fosse potuta accadere.
Ci riprovai questa volta accorciando i tempi di cottura, andò meglio.
Da allora non ho più smesso di provare, non a bruciare uova ma di “sentire” la cucina.
L’ immagine di mia madre che “ allacciava ‘o llardo” , cioè preparava un battuto di lardo a coltello caldo per i mezzanelli alla allardiata o per la pasta e papate è ferma nella mia mente graniticamente.
Poi dopo gli studi, prima il liceo e poi l ‘università, fatta un po’ distrattamente, la vita mi mise di fronte ad una scelta.
Il dilemma era, continuare a studiare mezzo programma di ciascun esame e affidarmi alle mie doti eclettiche di venditore da strada per la restante parte o cedere finalmente alla mia passione ?
La laurea quella poi l’ ho finita dopo e ho lasciato lì il pezzo di carta, credo infatti che sia ancora negli uffici della facoltà. Il mondo accademico tutto mi ringrazia ancora per non aver pensato a una carriera universitaria.
Fu quindi nel febbraio del 1996 , lasciando una Napoli bellissima alle 7,00 del mattino con un sole splendido che già si adagiava sulla collina di Posillipo ,che il mio amico di sempre Pippo mi scortò all’ aeroporto di Fiumicino, in partenza per gli Stati Uniti.
Perché proprio lì ?
Beh, questa è un’ altra storia ,che alcuni come Pippo conoscono bene.
Dopo aver abbracciato il mio amico mi imbarcai su un cargo battente bandiera panamense, no anche questa è un’ altra storia.
Mi imbarcai invece su questo volo che faceva Roma - Philadelphia.
L’ aereo giunto a destinazione non riusciva a venire giù per una tempesta di neve che rendeva improponibile l’ atterraggio.
Fu in quel momento che dissi a me stesso con ancora il sole di Posillipo nel cuore, ma che caspita sto combinando ? (“Caspita” l’ ho usato veramente contro voglia.)
Fatto sta che mi ritrovai in posto freddo, freddissimo, con gente che parlava un inglese non inglese e in una realtà del tutto differente da quella che avevo lasciato 9 ore prima.
E’ da dire che gli Stati uniti li avevo visitati nel lontano 1984 e poi avevo già visitato tutta Europa.
Quella partenza però avveniva in un momento storico della mia vita molto diverso, non voglio dire che fosse una fuga ma quasi.
Fatto sta che dopo 48 ore mi ritrovai in un ristornate gestito da un napoletano che l’ America aveva indurito e che Napoli aveva rifiutato il quale faceva dell’ ignoranza la sua caratteristica principale e nulla per nasconderla.
Eppure anche da uno come lui ho potuto imparare delle cose.
Alla fine in ogni caso c’ ero riuscito, ero finalmente in un ristorante a tentare di andare incontro ai mie desideri.
Fui assunto, come buzz boy.
Cos’è il buzz boy ?
E’ il tipo che quando un cliente si siede al tavolo si fionda per portare acqua e pane , rifà il tavolo e funziona da jolly per ogni necessità.
Il termine “buzz” viene dal tipico ronzio delle api , il “ronzare” del buzz boy tra i tavoli richiama la tipica andatura dell’ insetto.
Qualcuno mi disse qualche anno dopo che la vera America, quella dell’ emigrazione di inizio secolo l’ avevo fatta io.
Non potrei smentirlo.
L’ ambiente che trovai era a dir poco allucinante, duro , difficile, di emigrazione italiana arrabbiata e con poco da perdere.
La vita tuttavia mi ha sempre dato una grande mano, lì trovai quelli che sono stati la mia ancora di salvezza e senza i quali sarebbe stato tutto molto più difficile.
I due server di punta erano due fratelli Teo e Dora, con i quali strinsi una fraterna amicizia che ancora resiste dopo tanti anni.
Mi protessero da atti di antipatia e sopraffazione che in quel posto e nei ristoranti con quelle caratteristiche erano il pane quotidiano.
Incontrai altre persone care come Davide di Roma , Toni dei Camaldoli di Napoli, Mamadou del Mali metà filosofo e metà matto totale e i ragazzi della cucina, Joselito in primis.
In ogni caso un carico di umanità che funzionò da schermo per le difficoltà quotidiane e del lavoro.
Il primo shock forte fu quando con mia sorpresa capì che gli americani mangiano prima l’ insalata e poi la main corse.
La seconda quando la dovetti servire, questo proprio non mi andava giù e litigai con lo Chef cileno, Renè. Fan di Pinochet però rifugiato in America.
Mi confrontai con lui su questo tema solo una volta.
Dalla composizione dello staff , chi come me ha vissuto queste esperienze può capire a cosa mi riferisco.
La vera globalizzazione.
A parte gli amici con cui sono ancora in contatto mi chiedo ogni tanto gli altri che fine abbiano fatto.
Ma questa è una storia, che racconterò nella seconda parte.
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