Zash per Giuseppe Raciti chef etneo

La Sicilia è terra slow, lontana. Dove, nonostante la stancante arcaicità del ferry boat, è bello arrivare in treno, per avere interamente restituito il sentimento del viaggiare. Appena attraversato lo Stretto, la sua costa orientale ti cattura,
avvolgendoti in una resiliente bellezza. Il profilo della “montagna” brilla nel nero della terra e degli scogli, nello splendore carnale dei fiori dei frutti delle vigne degli orti. Né l’antropizzazione, spesso selvaggia, riesce a spezzare questa teoria di sensuale bellezza. Mi fermo a Riposto, il porto dell’Etna, mare in cui si specchia, verticale e diretta, la grande sagoma fumante del vulcano: la “montagna” per chi ci vive intorno e “sotto”. Una strada di mezzo, la provinciale, passata Acireale e tutti i borghi della riviera etnea, raggiunge Catania. Uno stradello luminoso, come un solco inciso negli agrumeti, che, declinando verso la costa, sembrano arrampicarsi su per le prime pendici dell’Etna. Il vecchio palmento, dagli anni Trenta del ‘900 proprietà della famiglia Maugeri, è là, in località Archi di Riposto (Strada Provinciale 2/ I-II n 60, Tel 095 7828932, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.).

Il rosso pompeiano della facciata, le dieci stanze distribuite tra il piano nobile della casa, la vecchia cantina e il verde del basamento. Palmento era, al Sud, il luogo adibito alla pigiatura dell’uva, e, nelle grandi vasche, alla fermentazione del mosto. Ma qui le vigne, a partire dagli anni Sessanta sono state espiantate a vantaggio degli agrumeti. Non solo bello, non solo banalmente chic e ben ristrutturato, lo Zash trasuda genius loci. Nel glossario dei fumetti “Zash” indica un movimento velocissimo nell’aria. Quello che a me ha trasmesso è l’eco di un suono che, come una scatola magica, ne racchiude tanti altri e molti ancora ne evoca. Mi piace pensare, trattandosi di una suggestione del tutto personale, che questa sinfonica evocazione di suoni sia uno dei fili sottesi che ha orientato il bel lavoro di restauro dello studio di architettura Iraci.

A seconda della collocazione le camere, (tra le quattro del primo piano una grand suite doppia di 100mq circa, terrazza con vista sul golfo di Taormina e una suite con l’Etna come sfondo) hanno tutte in comune un bianco abbagliante e caldo, che esalta, alternandole, matericità e trasparenze. Pietra lavica e legni pregiati, resine e grandi vetrate a trasformare in pareti gli alberi d’arancio che avvolgono da presso le camere del basamento oltre a circondare l’intera struttura. Si abita il paesaggio. La vista è assoluta, una larghezza di sguardo che suscita commozione (in senso latino: cum movere). In questo trionfo di bellezza trovano naturale dimora i sapori e l’arte del gusto dello chef Giuseppe Raciti, giovane ma certificata firma di una cucina d’eccellenza.


Mediterranea nella scelta delle materie prime che il territorio vulcanico, straordinariamente fertile, offre in varietà, quantità e qualità. Talentuosa nell’esecuzione, mette a frutto ed esprime la maestria di una formazione nella quale ha significativa parte la classicità della ristorazione di alta hotellerie, parte integrante del percorso professionale di Raciti (approdato alla cucina con una parmigiana di melanzane cucinata, narrano le sue note bio, a 9 anni…). Spiccano
quattro luoghi e quattro chef a cui ha voluto dedicare alcuni tra i suoi piatti più identitari. Una trasparenza di gambero per Massimo Mantarro, un controfiletto di agnello per Mirto Marchesi, un risotto con astice e zafferano per Dario Ranza e una tartare di manzo per Enzo Santin con quell’uovo poché, che tanto dispiacere gli aveva procurato perché la sua esecuzione non incontrava l’approvazione del Maestro.Ma il nostro chef etneo non si è arreso. E, a furia
di prove, ci è riuscito. Perché in cucina, come nella vita, la perfezione spesso coincide con la semplicità e la semplicità è difficile a farsi. Di Raciti ricordo l’arancino alle alici che gli valse il secondo posto (tra 40 partecipanti) al concorso Chef emergente 2015 a Napoli. Conquistò il mio cuore, entusiasta di ogni riso condito e fritto, comunque esso venga declinato (arancino, arancina, supplì, palla di riso…). Ultimo, ma assai rilevante trofeo, per Giuseppe è l suo essere tra i 12 finalisti del Bocuse d’Or 2016, il concorso di cucina internazionale, che premia chi meglio riesce a esaltare la materia prima, nel rispetto della sua essenzialità. Un piatto di pesce e uno di carne; materie prime: cervo storione e caviale… Il nostro ragazzo, orgogliosamente siculo, allenato dal lavoro nella Svizzera dei ristoranti dei grandi alberghi, ha fatto ben valere la sua maestria. Quando di recente l’ho incontrato allo Zash, mi ha
detto una piccola cosa, che a me è parsa esaustiva. “Diciamo che so fare un fondo bruno”. Diciamo che se l’essenziale si vede con il cuore, in quella divina terra di mezzo tra mare e vulcano credo si vedrà presto il luccichio di una stella speciale, Michelin.


Articolo completo uscito sul numero di maggio 2017 del mensile qbquantobasta

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