L'Harry's Grill di Trieste

 

Il Grand Hotel Duchi d’Aosta è da quasi un secolo e mezzo il luogo di riferimento eccellente per coloro che frequentano Trieste e desiderano il confort, l’amorevolezza, il relax che un Grand hotel può garantire ai suoi ospiti. Perfino una piccola ma accogliente piscina, nel termarium, assieme alla sauna e al bagno turco. Il tutto nella cornice impagabile di Piazza Unità d’Italia, cuore della città.

Questa elegante struttura alberghiera, che emana già nell’aspetto architettonico i dettami della cultura della Mitteleuropa, si trova tra il Palazzo della Regione e la casa comunale. Ma non è solo per la sua ubicazione che da decenni mantiene il primato tra le strutture ricettive di Trieste. Accade anche perché rimane la splendida testimonianza dei fasti passati. Con gli arredi e le rifiniture che sembrano avere fermato d’incanto lo scorrere del tempo.

I locali arredati con eleganza e stile fanno ritornare con la memoria ai salotti buoni della grande città. Accanto a questi aspetti esteriori, che si rivolgono soprattutto ai turisti alla ricerca delle emozioni che genera la riscoperta delle consuetudini di un passato non molto lontano, il Grand Hotel Duchi d’Aosta cura molto la cucina per i suoi ospiti. E ne beneficiano così anche i gourmet e i frequentatori occasionali o abituali del ristorante. L’Harrys Grill, rappresenta la parte del fabbricato alberghiero protesa verso Piazza Unità. Con il suo bar elegante. Quasi il biglietto da visita dell’Hotel.

L’alta cucina proposta nel cuore della città Vi chiederete il motivo di questa lunga premessa per introdurre una rubrica di enogastronomia. Era necessaria per motivare la scelta della nostra recensione di questo mese. Ma anche per assicurare la giusta cornice alla scoperta interessante che ci attendeva nel ristorante, fatto di sale da pranzo di non grandi dimensioni. Che permettono al personale, preparato e motivato, di accudire attentamente la clientela. Arricchite da finestre che non celano gli scorci quasi pittorici della grande piazza.

A dire il vero, dobbiamo confessare che l’Harry’s Grill, nonostante la frequentazione della città, non lo conoscevamo affatto. Salvo qualche rapido caffè consumato al bar, per la vicinanza alle istituzioni. Ma la segnalazione di un’amica ci ha incuriosito. Volevamo nel contempo rimuovere un pregiudizio, motivato da esperienze antiche. Dove si possono mangiare a Trieste piatti innovativi, ma saldamente ancorati al territorio? E degustare nel contempo i grandi vini del Carso? Enunciata dal maitre, la serie di portate che abbiamo assaggiato ha soddisfatto queste nostre attese.

Lo chef, oltre che attento ricercatore delle materie prime locali, stagionali, di pregio, è un grande appassionato della cucina innovativa. Di quella corrente di cuochi che mira a proporre novità interessanti senza però stravolgere le consuetudini alimentari o le emozioni sensoriali al palato e olfattive. Né perseguendo mode ormai scontate. Una prima sorpresa ce la offrono i camerieri. Che ci declinano perfettamente la composizione dei piatti, mentre li svelano rimuovendo il coperchio.

Per esempio, i quadretti farciti da patate in tecia con salsa di fagioli borlotti, tartufi di mare e pomodori zatterini. Frutto della contaminazione delle esperienze internazionali dello chef. Il quale, giunto a Trieste soltanto un anno fa, si è subito innamorato della cucina locale. Tanto da richiamarla nelle pietanze trainanti del suo menù. Come il rombo d’amo dell’Adriatico con aglio, rosmarino, patate novelle al forno, salsa di mortadella, cedro e una frittella di pecorino romano. Nell’ultimo elemento di questo piatto lo chef ci svela la sua provenienza, che è Trastevere.

Che dire delle mazzancolle dell’Adriatico con guanciale di Sauris salsa di piselli alla vaniglia e verdure croccanti all’aceto di Josko Sirk? Una piccola sintesi delle potenzialità dell’agroalimentare dell’intera regione. A un primo esame di queste pietanze, appare evidente che Massimiliano Sperlì ama le risorse del territorio. Ama presentarle ai suoi commensali ‘scomposte’ nel piatto. Per offrire loro la rara opportunità di scegliere gli abbinamenti tra i vari componenti e la sequenza degustativa degli stessi. Per poter rendere chiunque protagonista dei suoi piatti. Una cucina viva e dinamica, dunque. Nella quale il cliente assume un ruolo essenziale nel successo delle diverse portate. Ciò che entusiasma di questa cucina è anche il fatto che Sperlì utilizza esclusivamente prodotti freschi e genuini del territorio.

Ci entusiasma perché per arrivare a questa conclusione apparentemente ovvia, Massimiliano nonostante la giovane età, ha soltanto 34 anni, è passato attraverso un’esperienza davvero eccellente. Acquisita in alcune delle più grandi strutture alberghiere d’Europa. Dopo avere frequentato l’istituto alberghiero a Rieti, per la cucina uno degli istituti più formativi della Penisola, ha lavorato per sette anni al Lord Byron di Roma. Passando dalla nouvelle cuisine alla tipica cucina italiana, classica ma rivisitata per i palati moderni. Da lì è passato, sempre a Roma, al Convivio di Troiani, una stella Michelin. Quindi all’Hilton di Glasgow e poi allo Startword, a una cinquantina di chilometri di distanza, nel più grande golf club d’Europa. Blasonato da 4 Rose, l’equivalente britannico delle Stelle Michelin. Si è poi trasferito a Madrid, a Parigi e infine a Creta, all’Orangerie, grande ristorante della cucina mediterranea.

E’ nel corso di quest’ultima esperienza che ha conosciuto Alex Benvenuti, patron del Grand Hotel Duchi d’Aosta. Ed è giunto a Trieste. Dove ha impiegato i primi mesi di attività per conoscere l’offerta dell’agroalimentare locale e il territorio. Con le sue abitudini e le tradizioni. Ciò gli ha consentito di comporre un menù nel quale le peculiarità locali e la sua importante esperienza all’estero creano una sintesi stuzzicante di sapori e profumi. Sintesi che si avvale della stagionalità.  “L’80 per cento del pesce che proponiamo, ci racconta, è della zona; la carne proviene dagli allevamenti dei pascoli della Slovenia”. Le verdure ce le procuriamo al mercato di Gorizia; mi piace molto usare le piante selvatiche e biologiche, bruscandoli o la mentuccia”. Massimiliano Sperlì non ha dunque grandi segreti da celare ai suoi commensali. La base delle sue ricette è l’impiego delle materie prime locali, freschissime, che anche qualsiasi massaia può reperire. A Sperlì piace anche l’autunno. La stagione dei funghi: gialletti, porcini, trombette di morto, finferli - dopo una stagione così umida se ne trovano facilmente - ma anche dei tartufi. Ovviamente proposti in uno dei suoi piatti di cucina innovativa e scomposta. Come gli agnolotti di pasta all’uovo fatta in casa al nero di seppia farciti con ricotta di pecora, zucca verde salsa di burro fatta in casa tartufo nero e tartare di scampi nostrani profumata all’arancio. Piatti interessanti davvero.

Avete tre mesi di tempo per assaggiarli. Perché ogni tre mesi si rinnova completamente il menù. Piatti che potrete assaggiare in completo relax: perché uno dei paradigmi di questo chef eclettico e attento alla clientela sono i tempi di servizio: mai i piatti debbono essere serviti a tavola a meno di dieci minuti l’uno dall’altro. Ciò per permettere ai commensali di degustare pienamente le sue creature culinarie. Rompiamo il protocollo e gli chiediamo di scegliere dei vini dal vigneto Friuli Venezia Giulia.

Predilige quelli del Carso, per esempio il Terrano di Beniamino Zidarich “che è molto morbido”. Ma gli piace anche sconfinare. Per esempio, con il filetto di capriolo abbina il Gewurtz Traminer Col Terenzio. Secondo lui i vini bianchi del Nord possono essere abbinati facilmente a tutta la cucina nostrana. Così gli oli: quelli del Carso si abbinano facilmente a tutto perché sono equilibrati. A questo punto ci svela il segreto della sua grande passione per la cucina e i sapori del territorio: suo nonno, sua nonna, la madre e la zia erano tutti cuochi.

E qual è stato invece l’elemento scatenante della sua passione per i sapori del Friuli Venezia Giulia? “Il grande coinvolgimento nel loro lavoro – spiega – dei produttori dei vini e degli agricoltori; con loro si instaura subito un rapporto diretto che è eccezionale”. “Ciò può accadere solo in zone come questa regione, dove le distanze non sono un limite e dove si conoscono tra loro quasi tutti i protagonisti dell’agroalimentare; le distanze ridotte, la filiera corta fanno sì che i prodotti lavorati sul posto ci arrivino così freschissimi. Questo non accade nelle grandi città”. E per far gustare al massimo le sue idee di cucina, Sperlì  predispone carte di menù brevi, con una scelta di piatti limitata.

“Se mi manca anche uno solo degli elementi che caratterizzano uno dei miei piatti, lo tolgo dal menù perché chi lo dovesse degustare non potrebbe provare le stesse sensazioni organolettiche di chi l’ha preceduto”. “I piatti prima vanno pensati nel loro risultato, poi scomposti a tavola”, conclude Massimiliano. Che al termine del nostro incontro ci confida: “non faccio mai prove prima di proporre un nuovo piatto nel menù. Lo penso e dopo avere verificato la disponibilità della materia prima lo propongo a tavola”. I risultati li abbiamo potuti costatare di persona.

 

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