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Elogio della scarpetta: by Andy Luotto

Andy LuottoAndy Luotto

In occasione della presentazione a Eataly del libro  "Padella Story" Ricette storie di un cuoco sotto le righe, di Andy Luotto vi proponiamo l'intervista rilasciata alcuni mesi fa in esclusiva per qbquantobasta a Daniela Zanette. "Sono cresciuto a Brooklyn e ho un serio problema a dialogare con gente noiosa".  Così, senza preamboli, Andy Luotto - classe 1950, attore del clan di Arbore e cuoco eccellente - inizia a parlarmi della sua vita e della sua passione per la cucina. Il tutto in un contesto che ben si addice a un uomo colto e vitale, dotato di talento poliedrico: il Museo della Follia sull'Isola di San Servolo,  in occasione del primo evento cross mediale in Europa dell'artista newyorkese Henry Hargreaves  (No Seconds. Comfort food e fotografia) dedicato al rapporto tra cibo e cultura di massa e in particolare all'ultimo pasto di alcuni condannati a morte negli USA. Performer preferito? George Carlin (quello di “Seven Dirty Words”).
Cantante preferita? Beyoncé (per potenza vocale e sensualità).
Canzone preferita? Summertime (per la melodia).
Idolo? Muhammad Ali (perché fu il più grande pugile della storia e mise in gioco tutto per un ideale).
Letture obbligatorie? Shakespeare e Kafka.
Pittori preferiti? Salvatore Fiume e Fortunato De Pero.
Colore preferito? Giallo.
Piatto portafortuna? Il pancotto con broccoli, salsiccia e pomodoro. Ma anche le polpettine di baccalà con marmellata di cipolla rossa.
Suo piatto famoso? Carpaccio di carne di bufala con tartufo nero (presentato a Eataly a Torino, sei anni fa).
Donna più importante della sua vita?
Un unico nome: Maria Illuminati.
Lasciata Brooklyn da adolescente (era il 1965) - mi dice - arriva in Italia, nella casa paterna frequentata dall'intellighenzia dell'epoca e da grandi personaggi dello spettacolo quali Fellini, la Loren, De Sica e altri.
Mi si avvicina (odora di pane e latte, la sua barba sale e pepe è molto curata) e, scorrendo l'album del suo IPhone, mi fa vedere le foto di famiglia, orgoglioso in particolare di quella che ritrae suo nonno assieme a Pirandello.
"Non sapevo una parola di italiano, per mio padre ero un pochino scomodo"- continua - "così, escluso dai salotti intellettuali, passavo il mio tempo in cucina con la servitù, dove Maria Illuminati, cuoca e governante, mi accudiva con affetto. Lei non parlava la mia lingua, io non
parlavo la sua, ma ci capivamo a gesti, con gli sguardi e, soprattutto, mangiando insieme".
"Un giorno" - continua - "presi un pezzo di rosetta e lo intinsi al centro del tegame di sugo. Maria mi gridò no! la scarpetta si fa partendo dai bordi, non dal centro, perché è sui bordi che si concentra il sapore. Non l'ho mai dimenticato. Maria non si limitava a cucinare, era artefice di una grande magia: conosceva il segreto del sapore. Quella scarpetta cambiò la mia vita."
La laurea in comunicazione e in sociologia e l'attività televisiva e teatrale non lo hanno tenuto lontano dai fornelli, e non da dilettante:ha infatti studiato alta cucina in Puglia e in Toscana..
"Il sapore di un piatto va creato, riconosciuto e poi assaporato". Mentre me lo racconta, con il suo simpatico accento italo-americano, mi mostra le foto dei suoi figli di cui va molto fiero.
Alla conferenza stampa del pomeriggio esordisce con un'ironica citazione dell'amico Abatantuono:
"Sarò breve e circonciso" e presenta  il suo video-racconto sull'epifanica scarpetta. Un gesto semplice, popolare, spesso guardato con snobistica sufficienza, ma espressione di un sapere culinario antico che Luotto vuole salvaguardare e diffondere.

Il vernissage è stato seguito da un party nel corso del quale gli Chef Andy Luotto, Pietro Leemann e Pierchristian Zanotto hanno presentato la loro interpretazione culinaria del “Piatto dell'Ultimo desiderio”, tributo al comfort food, tema centrale dell'evento. Non potevano mancare il pancotto al cucchiaio, le coppette di pomodoro, di pesto, di crema di latte, di cioccolato preparate da Luotto e accompagnate da pezzi di pane croccante. Tutti gli ospiti sono stati invitati a godere del sapore della scarpetta, suo e nostro indimenticabile Comfort Food.

La terrazza del Museo della Follia regala una vista mozzafiato su San Marco da un punto  prospettico insolito e ignorato persino dai grandi vedutisti: San Servolo, dal 1725  sede del manicomio maschile veneziano. Come ha fatto notare Pierangelo del Zotto, Presidente della Fondazione San Servolo, l'isola, per secoli luogo di sofferenza, ospitando ora grandi eventi artistici emerge come straordinario esempio di trasformazione urbana, diventando luogo di convivialità e di bellezza.

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